IX.

Una corbelleria senza dubbio. Ma intanto che passava il tempo, la cotta permaneva. La passione del nipote diveniva una passione più grave, più affannosa forse che quella del povero zio! Perchè se Erminia fosse morta dopo avere amato lui, com'era accaduto allo zio, meno male! Erminia invece non lo amerebbe mai: Erminia amerebbe sempre quell'altro! E Gaspare era innamorato in modo che quando, in certi momenti, credeva d'esser guarito e si rallegrava tutto, ecco d'un tratto tornargli la parvenza cara e nemica, e con essa quella pena al cuore come di un male che, dopo un breve assopimento, rincrudisce; un'amarezza quale di torto ricevuto o di oltraggio patito; una intollerabile smania di rivedere in realtà l'amata donna; una rodente gelosia. Oramai egli non si diceva neppur più uno stupido, convinto sempre più che Erminia era per lui la donna unica; che lei, proprio lei aveva incontrato al passeggio nel giorno funesto; che altre bionde così belle o più belle ne potevano esistere, ma che egli non avrebbe potuto amarle; che, quasi quasi, l'amore è più forte del buonsenso. Essendo perciò impossibile la guarigione e assurda ogni speranza, Bicci aspettava il compimento del suo destino, qualunque si fosse. E compieva frattanto il ristauro della villa; il quale era proceduto a meraviglia.

Appunto la mattina di quel memorabile giorno - 26 luglio - egli se ne stava tra gli operai allorchè Luigi gli portò la posta. C'era, coi giornali, un annuncio di morte. A Gaspare - sempre triste - parve di veder l'annuncio della sua morte; ma, aperto il foglio e letto il nome - oh! - rimase lì stordito, sbalordito, e non di dolore. Oh gioia! A precipizio, come pazzo, discese e corse dietro a Luigi.

Dentro, una voce gli gridava: «jettatore! jettatore!»; eppure un'onda di gaudio gli travolgeva ogni pensiero; gli travolse ogni sentimento umano; e, in un abbraccio all'amico servo, con lagrime ferme su gli zigomi - lagrime di felicità - gridò:

- È morto!

- Chi?

- L'avvocato Enrico Griboldi!

Ebbene: tosto che gli fu scemata la grande commozione, Gaspare, con moto quasi inconscio dell'animo, riuscì a conciliare l'amore al buonsenso.

Riflettè che per una ragazza il perdere un «ottimo partito», non in colpa sua, sì della morte, giova di réclame: e che egli, se non fosse se cauto, poteva restar privo d'Erminia un'altra volta. D'altra parte - riflettè - si consola più presto una vedova propriamente detta che una fanciulla vedovata prima del tempo ed inesperta»; e però gli bisognerebbe aspettare.

- Quanti mesi?

Gaspare non temeva d'offendere la bontà di Erminia augurandone più breve che fosse possibile il cordoglio.

E verso la metà di settembre Gaspare fu a trovare in ufficio il cavalier Squiti; che, desolatissimo, gli disse:

- Morte fura i migliori e lascia stare i rei.

Rimorso come reo, Gaspare parlò sinceramente, in un'induzione dal caso singolare a un genere di sventura.

- Ha ragione, signor cavaliere. Che cosa terribile dev'essere morire nella pienezza della gioventù! con uno splendido avvenire! amato!...

- Per fortuna - rispose il cavaliere, - Griboldi è morto senza saperlo, d'una meningite acuta!

- Meno male! - fece Bicci. Dopo chiese, pallido: - E la signorina?

L'altro scosse il capo.

- Sempre lagrime; sempre sospiri; non vuol più veder nessuno; non esce di casa: un martirio! Le è venuto a noia anche il clarinetto. anche la musica, che è il miglior conforto nelle disgrazie.

«Aspettiamo», si ripetè Gaspare. Infatti non tornò ad abitare a Bologna che al termine dell'ottobre.

Ah che battaglia, la prima visita! Dirle: - Mi condolgo - oppure: - Signorina, le mie condoglianze - gli repugnava; non poteva. Egli salutò e tacque, senza sospirare; Erminia tacque, volgendo gli occhi a terra; la signora Squiti sospirò e taceva. Finalmente - poichè il silenzio si prolungava un po' troppo - Bicci ebbe una espressione felice: - Povero giovane!

Allora la signorina scoppiò in singhiozzi e la signora intraprese l'elogio del morto. Annuiva Gaspare ad ogni lode, e gli costava così poco!; ma spesso gli occhi gli sfuggivano a guardar la dolente; e pensava: «O il dolore è per le donne, o le donne sono per il dolore: diventano più belle!»

Quella visita, insomma, fece bene a tutti e tre; di guisa che la Squiti, accompagnandolo sino alla porta, gli susurrò:

- Lei abita in casa nostra; lei è un amico di casa, e la sua compagnia ci sarà di sollievo. Se ne ricordi.

- Non dubiti, signora.

Gaspare non chiedeva di meglio. Non di rado però nelle seguenti visite quotidiane, non volendo mentire o mentir troppo, fu per smarrire la bussola. Poco giovava che la signora Squiti s'appigliasse a tutti gli argomenti, se tutti i discorsi cadevano nel muto affanno d'Erminia.

Come Dio volle, egli ebbe un'idea.

- Perchè non si prova a leggere, signorina?

- Non posso; no; è impossibile!

- E se leggessi io?

- Anzi! - disse la signora Squiti; - distrarrà anche me. Bravo, signor Bicci!

E Gaspare andò a leggere ogni giorno.

Dava tempo al tempo. Venne il dicembre; si avvicinarono le feste natalizie. «Quanto saranno tristi per lei! - Bicci pensava. - Non la conforterebbe sapere che io l'amo, anche se lei, per adesso, non abbia voglia di far all'amore?»

Còlto quindi un momento che la signora Squiti non v'era, egli interruppe una lettura per guardare Erminia negli occhi. I quali si abbassarono; subito il bel volto si afflisse. Non era un'esagerazione, oramai? Un po' troppo, via!...

- Come lo ha amato! - esclamò Bicci perdendo la bussola.

- No - Erminia rispose in modo semplice e in tono tranquillo.

Ora parve a Gaspare di cader dalle nuvole.

E lei:

- Io gli volevo molto bene.

E poichè Gaspare non capiva, ella si spiegò:

- A me sembra che amare significhi più e meno di voler bene. A Enrico io gli volevo bene, perchè egli mi amava; ma sono certa che divenuto mio marito mi avrebbe anche voluto bene. Capisce?

Gaspare avrebbe capito subito, se non fosse rimasto perplesso a chiedersi: «E io che cosa dovrei dirle? Che l'amo, o che le voglio bene?» Tuttavia, a poco a poco, la luce si fece nel suo cervello. Evidentemente, pur volendo bene assai al Griboldi, Erminia non ne era molto innamorata. Perbacco!... Quasi spinto da una molla allora balzò in piedi:

- Signorina! Questo ufficio di consolatore mi è odioso!

Ella interrogava con lo sguardo, stupita.

- L'amo! Io l'amava due giorni prima di sapere che lei era fidanzata; forse l'amavo avanti di conoscerla! Io l'amai solo a vederla, un giorno che lei andava al giardino; e adesso che la vedo soffrire, l'amo e le voglio bene!,

La signorina, fredda, rispose:

- Me ne dispiace per due ragioni: la prima, perchè adesso il mio cuore è di pietra; la seconda, perchè, dopo quello che lei mi ha detto, io debbo pregarla di cessare le sue visite.

- Oh questo poi no! - esclamò risolutamente Gaspare. - Io non vivo senza vederla! Muoio anch'io! Mi conceda la grazia che io la veda ogni giorno....

Ella taceva.

- Signorina....

Gli occhi a terra; e zitta.

- Me la fa la grazia? - ripetè Gaspare a mani giunte, attendendo.

Per fortuna, nell'entrare, la signora Squiti s'arrestò, trattenuta da un improvviso sospetto; così Erminia dovè concedere due grazie in una volta.

- Sì. - E alla signora Squiti: - Il cavaliere - ella disse - può riprendere il clarinetto.

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