X.

Quando alla signorina Erminia non mancava che un mese per compiere l'anno di lutto, Gaspare Bicci ne chiese la mano al tutore cavalier Squiti. Non si meravigliò il tutore, ma assunse nella risposta un'apparenza anche più solenne della solita.

- Il padre della signorina affidata alle mie cure mi lasciò l'obbligo di non concederla in moglie a chi non esercitasse una professione; fosse anche milionario. Lei....

- Io sono ingegnere! - affermò Bicci con l'impeto di un naufrago che si salva.

- Dunque eserciti!

Ma come? ma dove? Gaspare smarrì l'animo di nuovo ricordando e avvertendo che erano brutti tempi, quelli, per gl'ingegneri.

Allora lo Squiti: - È indetto un concorso al Genio Civile. Perchè non concorre? La raccomanderò io a due deputati miei amici e otterremo ciò che vorremo.

Fu buono il consiglio; e Gaspare concorse; e attese confidando. Un mese passò; ne passaron due, tre. Ma non se ne doleva egli, che impaziente, fuor che un po' nell'amore, non era stato mai, e che giudicava non perduto il tempo del fare all'amore.

Provava, intanto, una gran voglia di lavorare; scopriva in sè una naturale disposizione a valutar terre, a costruire case e ponti, a tracciar strade, a riparar fiumi.... Ed ecco, dopo soli tre mesi e mezzo, cioè abbastanza presto, venir la notizia del concorso. Per i suoi giusti meriti Bicci era riuscito fra i primi. Si comprende dopo ciò che per quelle tali raccomandazioni non gli doveva riuscir difficile nemmeno l'ottenere il posto desiderato alla sede di Bologna.

E non con altro sentimento che una trepidazione di gioia, al giorno e all'ora prefissi, Gaspare Bicci entrò all'ufficio, su, in Palazzo Comunale. Ma ahi! con una trepidazione diversa guardò all'ingegner capo. Misericordia!

Quegli stava scrivendo; e mentre scriveva, aggrottate le ciglia, immoto il viso ferino, senza guardare, chiese:

- Lei è il signor Bizzi?

- Nossignore: Bicci.

- Uhm! Cominciamo male! - grugnì l'altro. Aggiunse: - Il decreto dice Bizzi. - Però, nell'atto dell'alzar gli occhi, dovè ammettere un errore nel decreto; giacchè fece una smorfia di meraviglia.

- Oh bella! Il nipote del signor Giorgio!

Misericordia! L'ingegner capo era....

Balbettò Gaspare:

- Sissignore, sono io - ; quantunque, a dir vero, fosse divenuto irriconoscibile a riconoscere colui: Tredòzi!

- Bene! Son contento! Suo zio era un bravomo.

- Cercherò....

- Benone! Venga di qua.

Lo condusse nella camera attigua, in cui altri due giovani scrivevano o disegnavano; e prese alcune carte.

- Oggi mi bisognerebbe questo, e questo.... Alle quattro vedremo che cosa avrà saputo farmi.

- Non son cose difficili. - disse Bicci.

- Benissimo! E prima d'andarsene Tredòzi lo battè con la mano su la spalla:

- Gran bravomo suo zio!

Dopo un poco uno dei giovani colleghi si volse a Gaspare:

- Fortunato lei!

E il compagno:

- È il primo che quel cane non tratta da cane.

Se non che anche di così innocente fortuna, dovuta in gran parte a una virtù o memoria famigliare, Gaspare ebbe a dolersi presto: alle quattro; allorchè tornò l'ingegner capo.

Il quale, esaminata l'opera di lui, disse: - Benone! - ; disapprovò l'opera degli altri due; poi, appena costoro furono usciti, ordinò a Gaspare:

- Lei oggi verrà a desinare da me.

- Impossibile!

A quella decisa risposta sparì dal viso di Tredòzi ogni impronta di umanità.

- Tenga a mente che per me non c'è nulla d'impossibile, mai!

- Ma...; ecco....

- Che cosa.... ecco?

- Io sono fidanzato....

- Benone! No! malissimo!

- .... e per stasera ho promesso....

- Meglio! Cominci dal mancar lei alle promesse; l'avvezzi per tempo, la sposa. Crede che sua moglie un giorno manterrà tutte le promesse che le fa ora?

Fu inutile resistere.

Ma se quell'uomo, ch'egli aveva rispettato e compianto troppo tardi, fingeva, lo traeva in un'insidia?

- Senza complimenti, s'intende - disse quell'uomo - perchè io sono alla buona: leale, sincero, schietto come suo zio e come sarà lei.

Respiro! L'insidia pareva proprio da escludere. Nondimeno non era una disgrazia anche questa? correr pericolo che Silvia, in uno scatto d'amore o d'odio, si compromettesse e lo compromettesse? E in tal caso che accadrebbe, buon Dio?

Nulla accadde. Silvia, invece, fu mirabile; lieta a conoscere di persona il nipote del signor Giorgio, che (già!) conosceva solo di vista.... Non un discorso in cui ella s'imbarazzasse, o che imbarazzasse. Benissimo! E Gaspare, a tanta disinvoltura e sicurezza di spirito, si convinse d'essere un giovane spiritoso e disinvolto.

Ma a tavola, al secondo piatto, l'ingegnere uscì a dire - e aveva uno sguardo torvo:

- Sai che questo disgraziato prende moglie?

Passò, negli occhi di Silvia un lampo; per il quale Gaspare rabbrividì.

Invece ella, dopo, sorrideva.

- Davvero? Me ne congratulo!

- E io me ne dolgo! - ribattè il marito. - Io lo compiango! Una corbelleria! uno sproposito! un delitto che, se suo zio fosse al mondo, non commetterebbe!

Rispose Gaspare: - Tutt'altro! Me lo consigliò lui, quand'era moribondo....

- Ah sì? Ciò prova che quando si è moribondi si ha perduta la testa!

Intanto Silvia esortava Gaspare:

- Non gli badi. Scherza.

- Eh! - proseguì Tredòzi - ; se Bicci stesse per annegare e io gli allungassi una mano, ci si attaccherebbe; ma perchè lo consiglio di annegarsi piuttosto che dar retta alle donne, sta pur sicura che darà retta a te!

- Tredòzi!

Imperterrito il marito proseguì:

- Pensare che io cederei fino mia moglie!

- Tredòzi! Tu mi offendi! - gridò la signora Silvia rossa in viso, in atto d'alzarsi. Ma Tredòzi non si scompose.

- Non offendo nessuno. Confronto il bene della libertà individuale al vincolo del matrimonio e dico che se debbo augurare a Bicci la minor sventura possibile, gli auguro la fortuna che ho avuta io.

- Grazie! - scappò detto a Gaspare.

Per fortuna la signora Silvia introdusse un altro discorso, e l'ingegnere, il quale perdeva l'argomento preferito, si quietò e riparlò solo tardi, ad annunciare che usciva per i sigari.

L'ora della cavata d'occhi era giunta. «Ci siamo!» riflettè Gaspare.

- Dunque è vero? - chiese, sorridente, la signora.

- Capirete.... Ho ventiquattr'anni.... Oh! Ella non si turbava.

- Ammògliati pure: una moglie non è un'amante; e io non ne sono gelosa.

Per gratitudine, Gaspare quasi quasi l'avrebbe baciata. Ma non c'era da fidarsi ch'essa interpretasse giustamente la ragione di quel bacio.

- Ed è bionda, o bruna?

- Bionda.

- Ho piacere; tanto piacere!... Quanti anni ha?

- Diciannove.

- Una bambina! Tanto, tanto piacere!

Si vedeva che gioiva. Credeva forse che d'una bionda si stancherebbe, presto? E volle le narrasse la vera storia dell'innamoramento; a che egli accondiscese con qualche ripiego d'innocenti bugie, nella maniera di tutti gli autobiografi. Infine la signora chiese:

- Perchè, caro Gaspare, se non ci è più lecito amarci, non possiamo volerci bene?

La distinzione d'Erminia!

- ....e non restiamo amici?

- Anzi amicissimi! - -esclamò l'ingenuo, lieto, salvo. S'imaginava d'esser salvo da ogni castigo.

....Quando fu di ritorno, Tredòzi guardò all'orologio e parlò pacatamente:

- Se il far la corte a mia moglie bastasse, caro Bicci, per mandare a monte il suo matrimonio, la pregherei di restar qui sino a mezzanotte; ma non avendo questa speranza, l'avverto che sono le dieci, e andiamo a letto.

Share on Twitter Share on Facebook