VII.

Il cavalier Squiti, padrone di casa, alto impiegato della Provincia e persona molto grave, non aveva solo la moglie. Gaspare vide, alcune volte, alla finestra.... Che bellezza! Due occhi tra celesti e verdi; capelli biondi; portamento modesto e gentile.... Assomigliava alla signorina che si recava al giardino pubblico il dì mortale dello zio Giorgio. Lei?

Forse non era; ma le assomigliava in modo che a vederla una dolcezza grande veniva, per gli occhi, al cuore di Bicci e, insieme, un panico quasi alla presenza di una divinità. Rapidamente, con la rapidità del destino, egli, che dalla brutta tresca aveva avuti incitamenti all'amore buono e al consiglio dello zio, ne rimase conquiso. Tale, infatti, tale gli appariva la donna vagheggiata ne' sogni dai giorni che non conosceva l'amore al dì ch'egli l'aveva conosciuto! Tale era la donna amata e da amare: fatalmente. Bando, dunque, al peccato! Mai più signora Silvia! Pace e salute all'ingegner Tredòzi! E a Gaspare, certo che stavolta era la buona, gli bisognava accertarsi anche se il cavaliere Squiti presto o tardi gli darebbe l'angelica giovinetta in moglie.

Accadde che circa ventiquattr'ore dopo aver visto quell'angelo per la quinta volta, Gaspare uscendo s'imbattesse appunto nel cavaliere, che usciva; e s'accompagnassero per istrada.

Scambiati i soliti complimenti: - Ah suo zio! Che galantuomo! - esclamò l'uno.

E l'altro: - Lo conosceva?

- Eravamo amici. Un po' originale, a dire la verità; un filosofo; ma che cuore, che cuore! E che carattere! Uomini d'antico stampo, caro Bicci!

- Ah sì!

- E che bene le voleva, a lei! A discorrere di suo nipote, ci godeva; proprio come un padre.

- È strano - disse Gaspare: - di me non ne parlava mai con me.

Ma il cavaliere si fermò di botto.

- A proposito: lei, senza dubbio, suona?...

Distratto dal ricordo dello zio o dall'apparente incongruenza di quell'a proposito, Bicci chiese:

- Suono?...

- Il piano?

- Sì, alla peggio.

- Anch'io suono - disse il cavalier Squiti levandosi gli occhiali, pulendone le lenti e rinforcandoli: - non il pianoforte, però; uno strumento più geniale - come dire? - più canoro, più.... cordiale.

- Il violoncello?

- No, il clarinetto.

Gaspare si figurò la persona grave del cavaliere col clarinetto in bocca; e tacque.

- Creda a me: la musica è il miglior conforto nelle disgrazie - seguitò l'altro.

- Lo credo.

- Se mi favorirà qualche volta, suoneremo.

Gaspare allora esclamò entusiasta:

- Volentierissimo!

- Stasera?... Potrebbe?

E gli occhi dello Squiti rifulgevano dietro le lenti.

- Sissignore, posso.

Ripresero la strada; e il cavaliere riprese a dire, senza più sorridere, con tutta gravità:

- Io in casa ci avrei una pianista; ma adesso non ha tempo.

- La sua figliola? - domandò Bicci, al quale battè forte il cuore.

- Non ho figliole: la mia pupilla.

«La sua pupilla? La signorina era sotto la sua tutela?» E Bicci pensò con nuova tenerezza: «Orfana come me!»

- La signorina Roccaforte è per me quel che era lei per suo zio. L'ebbi in casa bambina. Il padre....

Gaspare ascoltava il racconto religiosamente, intanto che benediceva suo zio e il clarinetto.

Poi, essendo già innamorato e con la testa nel cuore, si dimenticò di chiedere allo Squiti perchè la signorina Roccaforte non aveva tempo di sonare.

Nè (importa notarlo?) si ricordava più affatto della signora Silvia. Ah la virtù di ogni amor buono su ogni amore disonesto!

Mai, mai come la sera di quel giorno il giovano Bicci si studiò di rendersi elegante; ed entrò dagli Squiti con grandi palpiti e insieme con la disinvoltura d'un uomo uso al mondo. Ma il cavaliere, che scartabellava della musica, l'accolse solenne; in tono ufficiale lo presentò alla moglie, che faceva la calza. E chiamò ad alla voce:

- Erminia!

Ella dalla finestra (aperta: era di maggio) si fece innanzi, lentamente....

- La signorina Erminia Roccaforte - ....e voltosi a un giovane, che la seguiva (oh Cielo!), il cavaliere presentò: - L'avvocato Enrico Griboldi, suo promesso sposo.

- Tanto piacere.... - All'imbarazzo di Gaspare, la signorina Erminia sorrise a pena a pena.

- A noi! - esclamò lo Squiti in un'istantanea mutazione di gioia. - Badi che io odio la musica tedesca. Non è mai accaduto a lei, caro Bicci, di odiare una cosa bella?

- Ah sì! - rispose Gaspare, che ora odiava la signorina Erminia.

Il primo pezzo - del Faust - procedè a meraviglia, quantunque le mani di Bicci qua e là affrettassero come un cavallo che abbia amor proprio e cui rincresca restar addietro al compagno. Finito il pezzo, la signora Squiti depose la calza e battè le mani; la signorina avvertì che la gente si arrestava per la strada ad ascoltare; il cavaliere, deposto il clarinetto, abbracciò il compagno dimenticandosi d'esser grave.

- Oh che orecchio! che orecchio!

Ma gli altri pezzi ebbero peggior sorte, per colpa di Gaspare che cadeva in pensieri estranei. Pensava: «Io non sono forse meglio di colui? Si può dire un bel giovane? robusto come me? - Avvocato! - E non sono ingegnere, io? Che meriti avrà? Niente: fortuna! Quest'è fortuna! Una moglie bella - così bella! - ricca; e orfana...; nemmeno la suocera!

- Pazienza...: Terza battuta: là! - riprendeva il cavaliere.

Al diavolo anche il clarinetto! Bicci sudava: con il freddo nel cuore.

Già infelice, sembravagli d'esser stato sventurato sempre; di dover essere infelice sempre, per tutta la vita; e pativa della più grande sventura che possa capitare a un uomo: quella d'innamorarsi d'una ragazza innamorata e fidanzata d'un altro.

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