XI.

Come certe cose procedono sempre a un modo per tutti, non è da far meraviglia che anche per Gaspare ed Erminia le nozze, il viaggio di nozze e il resto, tutto procedesse bene. Ma per Erminia e Gaspare la luna di miele sarebbe durata Dio sa quanto, se Dio non avesse permesso a una cattiva donna d'intorbidarne il dolce chiarore; di provare quel che possa l'odio di una donna e a che perfidia la sospinga la vendetta.

Fu così: l'ingegner capo, quando Bicci tornò all'ufficio, riebbe ore di umor buono; durante una delle quali disse a lui, il solo benvisto subalterno: - Silvia desidera fare la conoscenza della sua signora. Contentiamola. Tanto, da mia moglie sua moglie non imparerà nulla che già non abbia imparato.

Tredòzi errava, ignorando che Silvia qualche cosa sapeva la quale Erminia non avrebbe dovuto saper mai. E a parte anche ogni sospetto, a un uomo onesto quale Bicci ripugnava un'alleanza tra sua moglie e l'antica amante.

Sarebbe un'immoralità! Faremo una visitina di dovere, e basta....

Ingenuo! La signora Silvia, ch'era sagace, in questo mentre aveva conchiusa amicizia con la Squiti; cosicchè la relazione temuta e sconvenevole diventò naturale, necessaria.

Eppure Gaspare s'illudeva ancora; perchè alle conversazioni in casa Tredòzi venivano, oltre che gli Squiti, molti altri; e si ciarlava e sonava (solo Tredòzi fuggiva appena vedeva il clarinetto); nè rimanevan tempo e agio per confidenze tra Silvia e Erminia.

Ma a poco a poco la perfida donna, abile a non farsi scorgere da alcuno fuorchè dalla sposina, cominciò a tormentar Gaspare con occhiate patetiche. E non bastava: gli susurrava, fugacemente, parole all'orecchio; parole di nessun conto, ma piano piano, quasi in segreto.

«Se Erminia non ingelosisce - pensava Bicci - è un angelo».

Più! più! La cosa andò tant'oltre che egli dovè pensare:

«Se non ingelosisce, non mi ama». Ah! l'infelice - molto infelice, tra breve - non imaginava in che belva l'angelo si trasformerebbe, in che demonio scatenato!

Infatti incontratolo un giorno per via, Silvia gli disse:

- Oh, caro amico! Andiamo! Accompagnatemi a casa.

Si schermì: non poteva; l'attendeva Erminia.

- Allora accompagnerò io voi.

- Non importa....

Ella sorrise.

- Non temete che Erminia sia gelosa. Non è una stupida, lei!

Altro che gelosa! Lo accolse, dopo, un mostro infernale.

- Miserabile! Infame! Vi ho sorpresi, finalmente! Quella sfacciata t'accompagna anche a casa, dopo i convegni!

- Non è vero!

- Sì: me l'han detto! lo so! lo sapevo! Chi era quella che veniva a trovarti quando io era fidanzata a Enrico? E me ne sono accorta troppo tardi! Assassino!...

- Erminia, t'inganni....

- Infame! Mi son lasciata ingannare! Io! A questo modo! Io! da te!

La bile si disciolse in pianto; ed ella prese a invocare il morto, in guisa che straziava l'anima:

- Ah Enrico, Enrico! Tu mi amavi! Tu mi saresti rimasto fedele eternamente!... Non mi avresti tradita, tu, con la moglie del tuo capoufficio! Oh il mio Enrico!... È un'infamia! un'infamia!

Proteste, giuramenti non valsero; la confessione sincera e piena non fu creduta; la felicità di due che s'adoravano, distrutta per sempre; il letto coniugale diviso per sempre....

No: il letto restò diviso solo due notti; chè Erminia volle togliere al marito ogni ragione di tradirla.

Ma certi libri dello zio spaventarono, atterrirono Gaspare un mattino ch'egli li consultò, sentendosi alcune fitte alla nuca. Urgeva, secondo quei libri, un rimedio.

«Mi farò trasferire lontano di qui; dove mia moglie non abbia più ragione d'amarmi tanto».

Maledetta però la gelosia! Dice il proverbio chi sta bene non si muova; e chiedere un trasferimento da Bologna valeva come sfidare la pazienza dei superiori. Ah quanto fu brutto quel mese d'incertezza affannosa nell'attesa del trasloco!... Lo manderebbero in Sicilia? in Sardegna? in Calabria? Dove? Dove, buon Dio?

....Fu trasferito a Milano. Ma eccoli che anche questo bel colpo di fortuna non fu sufficiente alla pace di tutti, alla contentezza assoluta di Gaspare. Perchè, alla notizia, Luigi divenne cupo; scosse il capo mestamente.

- A Milano? A Milano, io? Signorino, le due torri io non le lascio! Eppoi, se con la signora, andiamo poco d'accordo a Bologna, s'imagini a Milano! Insomma, io non ci vengo.

- Luigi, ti prego....

Ogni preghiera fu inutile. Asciugandosi gli occhi, Luigi scoteva il capo, e ripeteva nel suo linguaggio:

- Povero padrone! Che «zuccata!» Oh che «zuccata» abbiamo avuta!

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