XII.

A chi non piacerebbe Milano? Ebbene, alla signora Bicci non piaceva. Una città, a parer suo, di bassa gente boriosa, idonea solo a mercare e in tutto sprovveduta del senso d'arte: bastava a convincerne l'architettura plebea e goffa, d'un fasto da parvenus. La Galleria? Un ridotto per i cantanti a spasso e le cocottes. Il Duomo?... Oh il Duomo d'Orvieto!

Quanto Erminia avrebbe preferita la mistica solitudine d'Orvieto al pandemonio di Milano! Una donna invero, Erminia Roccaforte, da fare un poeta, o un eroe. Suo marito, al contrario, si sentiva non più che un borghese pacifico nell'equilibrio delle sue facoltà; un ingegnere al Genio Civile; un uomo che aveva nome Gaspare, che si chiamava Bicci, e a cui Milano sembrava la più bella città del mondo.

Diversi i gusti, diversi gli animi. In breve la dimora a Milano fu causa e pretesto ai dissidi, dei quali per l'addietro la gelosia era parsa la sola cagione; in breve appicchi e ripicchi si acuirono. Che giovava a Gaspare l'arrendersi?

Fomite alla discordia era anche il trovarsi d'accordo. Se egli dava torto alla moglie, erano raffacci, lagrime, svenimenti, convulsioni: un inferno; e se le dava ragione o taceva, essa inveleniva perchè non voleva la considerasse malata o matta.

Addio al tempo in cui la sventura era sconosciuta e non temuta! Addio sereni giorni del celibato! Addio voluttuosi giorni della luna di miele!

E come per l'addietro si era compiaciuto di non aver figlioli, risparmiandosi tutte le pene dell'allevamento e dell'educazione, così adesso il povero Gaspare attribuiva alla mancanza dei figli la sua disgrazia coniugale. E almeno avesse avuta la suocera, che per lui sarebbe stata, adesso, di sollievo. Ridotto a desiderare la suocera!

Ma finalmente Erminia si ammalò davvero.

- Isterismo - disse il medico. - Si distragga! - E al marito - : La distragga.

Ahi! come distrarre una creatura che preferiva Orvieto a Milano? che non voleva uscire di casa? che non voleva veder nessuno e non conoscer nessuno? che non parlava quasi più? E venne il dì che a Gaspare parvero invidiabili i giorni in cui almeno si litigava.

Durante quel silenzio ostinato e irragionevole della sua signora i più neri pensieri, i più foschi sospetti trovavano luogo pur nella testa di Bicci; tali, che una sera anticipò d'un'ora il ritorno a casa, abbreviò la consueta passeggiata e la sosta al caffè. Anticipare, lui, d'un'ora, il ritorno a casa? Non solo! Non solo! Quatto quatto entrò: al buio, nell'ingresso; poi, in punta di piedi, venne alla cucina. Buio anche là. Avanzò allora fino all'uscio della camera da pranzo, ascoltando...; e udì, lieve come un sospiro:

- Enrico!

Oh non aveva dunque avuto torto di sospettare! Infami!

Furibondo, irriconoscibile, quale un uomo che non s'è adirato mai in vita sua, Gaspare spalancò l'uscio.... E la signora e la serva, senza far motto, lasciarono andare il tavolino su cui avevano tenute a contatto le mani.

- Via! Via di casa mia! Fuori di qua! Domattina.... A te! A te! - e con voce strozzata, dopo avere indicata la porta, il padrone trasse, gettò, venti, trenta lire alla serva che lo contemplava stupita.

- Vattene! Vattene!

- Ma cosa ho fatto?

- Tener mano!... Via! fuori!

- Ma che male c'è? - cominciarono a dire insieme le due donne.

- Via! Via!

Sempre più minaccioso, con la destra in alto, lui, Bicci, Gaspare!, spinse con la sinistra la serva al di là dell'uscio e si volse. Erminia sorrideva sarcastica.

- Sei impazzito? - ella chiese. - Non m'hai insegnato tu? non mi dicevi tu che faceva così tuo zio?

A tanta audacia, a vedere e a udire l'uso che la sciagurata aveva fatto e faceva d'una confidenza ricevuta al tempo della luna di miele, Gaspare non trovò più parola: perdè forza o fiato: cadde a sedere su di una seggiola e si strinse il capo tra le mani. Muoveva a pietà; quantunque Erminia sorridesse sempre. Poi scotendo il capo, tranquillamente, ella si mise a leggere il giornale.

«Siamo seri! Ragioniamo!» in quel mentre Gaspare diceva tra sè, già stupito lui stesso d'essersi lasciato trasportare a tal punto. «Vediamo un poco.... Può darsi che sia da considerare, questo fatto che mi ha esasperato, come uno scherzo, un gioco, un innocente passatempo.... Ma no: è una cosa tremenda; che faceva terrore a un filosofo quale mio zio.... Un'esperienza? È in questo caso un delitto! un delitto enorme; tant'è vero che non è nemmeno contemplato nel codice! Sì, un tradimento mostruoso...: intendersi con l'amante morto quando il marito è vivo! Orribile!... Eppure, Erminia ci ride...; e anche la serva non ci vedeva niente di male.... La scienza positiva ne ride.... Ma insomma!, io ho o non ho il diritto di riposare almeno la notte? di dormire i miei sonni tranquilli?...»

Dopo di che egli s'alzò e parlò con voce tremula e bassa:

- Erminia, a te sembra una cosa da nulla quella che a me sembra una colpa grandissima. Un accordo tra noi due non è dunque più possibile; bisognerà venire alla separazione.

Erminia aveva alzati gli occhi a guardarlo impavida. Gaspare proseguì:

- A ogni modo, prima, interrogherò il cavalier Squiti....

Solo a quest'ultima parola Erminia impallidì, si fece seria; e quindi scoppiò in pianto dirotto, e cominciò a lamentarsi e a scongiurare:

- Hai ragione, Gaspare! Perdonami! Ti giuro che non lo farò più.... Mai più!

Fosse la soggezione e il tedio ch'ella sentiva, anche da lontano, del cavalier Squiti, o la paura di essere ancora condannata al clarinetto, il fatto fu che mai un marito ingannato ebbe la consolazione di veder pentita la colpevole come Gaspare vide Erminia, quella sera.

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