Come Dioneo che siede appresso a Fiammetta, Panfilo , che il primo giorno sta accanto a Neifile, dev'essere di Neifile l'innamorato. Ella infatti canta per volere di lui, ed egli - fatto re - concede ad essa, ciò ch'ella tiene per grand'onore, di dare prima svolgimento all'altissimo tema della decima giornata, ed egli loda piú d'ogni altro la leggiadra novella di lei. Panfilo e Neifile sono due amanti felici; piú felici di Dioneo e di Fiammetta, perché Dioneo, dubitando nella veemenza della sua passione di non essere amato quanto egli ama, è spinto ad invocare la pietà della sua donna, e Fiammetta, nell'ardore dell'amor suo soffre per gelosia. Ma come Neifile, Panfilo non ha ragione di rammaricarsi d'Amore, giacché esso è anche per lui soavità, gioco, allegrezza, e la letizia che gli trabocca dall'animo e gli appare su 'l chiaro viso è tale che a lui
ogni parlar sarebbe corto e fioco pria n'avesse mostrato pure un poco.
Se non che sin nell'entusiasmo del canto, ch'egli leva pieno di gioia, riflette e pensa che quand'anche potesse, non dovrebbe dimostrare il suo piacere, «il quale se fosse sentito da altri gli tornerebbe in tormento», e che non sarebbe creduto qualora dicesse il tempo e come poté indurre a baci ed a carezze la sua donna. Panfilo, al contrario di Dioneo, riflette sempre, e ammonimenti morali egli trae dalla considerazione di Dio e della virtú: ammonimenti di religione - ad esempio - reca nel racconto di ser Ciappelletto; di virtú, nella storia dell'Andreuola alla quale si avverò il sogno fosco; dei doveri verso gli amici, nella novella del Saladino. E porge prove di senno ed avvedutezza se dica i casi della figlia al Soldano di Babilonia, goduta in quattro anni da nove uomini e maritata poscia come vergine al re del Garbo, o della Niccolosa che dormí con l'amante mentre sua madre ostessa giacque con altri che con suo marito, o di Lidia che moglie a Nicostrato e amante di Pirro fu sí audace e lasciva.
Questo giovane assennato e osservatore sottile non resta od è lasciato in disparte, come asserisce il Landau, ma anzi è dai compagni avuto quasi tacitamente a capo; ed infatti egli che è primo a novellare, è coronato re dopo tutti, come colui che essendo ultimo potrebbe emendare il difetto degli altri reggenti e novellatori. E re ordina: «Domani ciascuno di voi pensi di ragionare sopra questo, ciò è: di chi liberamente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno ai fatti d'amore, o d'altra cosa».
Ma se Panfilo, a quando a quando rigido ammonitore, non si abbandona alla licenza onde Dioneo parla, non è però piú castigato di Filostrato, e come lui con voluttuosa compiacenza cede alle lubriche frasi e si spinge alle frasi oscenuccie; e pur predicando «quanto sieno sante, quanto poderose, e di quanto ben piene le forze d'amore, le quali molti, senza saper che si dicano, dannano e vituperano a gran torto», racconta novelle d'amore poco sante e di poco ben piene: ciò perché Panfilo non deve solo contrapporre la saggezza propria alla leggerezza di Dioneo, ma rallegrare pur egli le belle donne che stanno ad ascoltarlo. Ad esse egli si rivolge ubbidientissimo coi nomi piú dolci, e le chiama amorose e graziose e reverende e dilettose e carissime. Egli per esse e con esse non ha gli ardimenti di Dioneo e gl'impeti di Filostrato; è gentile sempre; è tutto amorevolezza.