II.

Invece di crescere, il soccorso della figlia, da Firenze, scemò. Essa gli scriveva che il marito non guadagnava abbastanza da risparmiarle sacrifici, e lo scongiurava di rivolgersi a questo o a quello per entrar nel Ricovero.

Ma Procolo Granari a mendicare raccomandazioni da questo o da quello preferiva rivolgersi alla pietà anonima, su la strada.

Ahimè! Al male preferibile non è sempre agevole adattarsi, e per quanto egli si ripetesse che era necessario provare il castigo, quando stava per stender la mano al passante gli mancava l'animo; non sentiva più la fame.

E il cane sbadigliava.

Fu appunto un lungo e tacito sbadiglio di quest'altro disgraziato che gli suggerì un giorno il mezzo a superar la vergogna: mendicare non per sè, ma per lui, il solo amico che gli rimaneva.

Se lo tirò dietro fin in Piazza San Domenico. Aspettò davanti alla chiesa.

Quando ne vide uscire una vecchia signora, mosse verso di lei col cappello in mano.

— Un po' di carità per questa povera bestia.

Aveva parlato così sommessamente che la signora ne aveva inteso a fatica le parole e, meravigliata della richiesta, a volgere gli occhi diè un grido.

— Che orrore, mio Dio!

In fretta traeva due soldi dalla borsetta. Ma li porse con viso turbato. E disse, tremante di sdegno:

— Perchè lo tenete se non avete da dargli da mangiare?

— Non ho coraggio...

— E avete il coraggio — interruppe andando — di vederlo morire di stento!

Procolo traversò la piazza; entrò dal fornaio a comperar due soldi di pane. E sbocconcellandone la metà, intanto che spezzava e dava al cane l'altra metà, guardava con occhi pieni di lagrime; e il rimprovero della signora gli pareva giusto.

L'elemosina per cui rompeva il digiuno l'aveva avvelenato.

Eppure gli convenne ripetere l'esperienza che non era riuscita male del tutto. E affrontò un tale nella cui faccia di ricco borghese credè scorgere buon cuore e buon umore.

— Mi scusi...

Il signore s'affoscò. Prevenne:

— Non sapete che l'accattonaggio è proibito?

Procolo tentò giustificarsi accennando al cane.

L'altro lo considerò un istante, ne potè trattenersi dal ridere, dal dire:

— Va a lavorare anche tu!

Lo scherno.

E a testa bassa, senz'ira, anzi con un'amarezza di coscienza colpevole, il vecchio si incamminò per una strada appartata, sebbene nel centro della città.

Ivi ricuperò la speranza.

Una giovane bella, elegante, si fermò ad osservar non lui ma la carcassa ambulante; e con mirabile ingenuità, non sapendo che altro pensare, dimandò seria:

— È una réclame?

Senza rispondere a parole Procolo scosse il capo, e chinò gli occhi.

Allora la passeggera comprese; aperse il portamonete. Ma l'ufficiale, che essa attendeva, giunse in tempo a fermarle la mano.

— Non capisci? — esclamò. — Fan patir le bestie per eccitare la pietà pubblica!

E vòlto al colpevole:

— Se ci fosse una guardia — minacciò — vi farei arrestare!

Rincamminandosi a testa bassa, il vecchio udì che la bella voce diceva: — Che delitti! Il cane potrebbe arrabbiare, rompere la museruola...

... Se rincasato Procolo Granari non avesse ricevuta una cartolina-vaglia della figliuola (venti lire), non solo avrebbe dimessa l'idea che la mattina gli era parsa sagace, ma avrebbe accusato il solo amico che gli restava al mondo di essergli anche lui causa di soffrire.

E la notte sognò che andava a caccia con Reno per una prateria fiorita, ed erano felici tutti e due finchè il sole del sogno lo svegliava angosciato.

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