III.

— Pazienza un corno! — brontolava il signor Astolfo, cui finalmente riuscì di portar la cagna nella camera da desinare, — Un danno grande! per colpa di quel gatto senza cervello! Stupido! Cretino! Imbecille!

La moglie lo udì, e apriti cielo! Maledetta la cagna! Così stupida che non conosceva neppure le persone amiche di casa, così imbecille che non sapeva nemmeno d'esser bianca e andava a fregarsi contro le calderine e anneriva e insudiciava da per tutto; così cretina e ignorante da compiacersi dello spavento che incuteva in una povera bestiola. Animalaccio — la cagna — ostinato come un mulo, ineducato come un asino. Intollerabile!

— L'ammazzo! la voglio ammazzare! — la signora gridava, ormai fuori di sè.

Quando, nella scena che volgeva al tragico, sopravvenne, discretamente, Monterúmici. A inchini e a sorrisi entrò, domandò la parola, disse:

— Ci penso io, signori! Fra due o tre giorni la Lillín e Rossello saranno amici per sempre. Prometto, garantisco: sissignori! Vedranno!

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