Emone, Antigone, Creonte
Guardie
Emone
Al palco? Arresta...
Antigone
Oh vista!... Or, guardie, or vi affrettate; a morte
strascinatemi. Emon,... lasciami;... addio.
Emone
Trarla oltre più nessun di voi si attenti.
Creonte
E che minacci, ove son io?...
Emone
Deh padre !...
Così tu m’ami? così spendi il giorno
concesso a lei?...
Creonte
Precipitar vuol ella;
negargliel posso?
Emone
Odi; oh! non sai? ben altro
a te sovrasta inaspettato danno.
D’Atene il re, Tesèo, quel forte, è fama
che a Tebe in armi ei vien, degli insepolti
vendicatore. A lui ne andar le Argive
vedove sconsolate, in suon di sdegno
e di pietà piangenti. Udia lor giuste
querele il re: l’urne promesse ha loro
degli estinti mariti; e non è lieve
promettitor Tesèo. – Padre, previeni
l’ire sue, l’onta nostra. A te non chieggio
che t’arrendi al timor; bensì ti stringa
pietà di Tebe tua: respira appena
l’aure di pace; ove a non giusta guerra
correr pur voglia in favor tuo, qual prode
or ne rimane a Tebe? I forti, il sai,
giaccion, chi estinto in tomba, e chi mal vivo
in sanguinoso letto.
Creonte
A un timor vile
mi arrendo io forse? a che narrar perigli
lontani, o dubbj, o falsi? A me finora
Tesèo, quel forte, non chiedea pur l’urne
de’ forti d’Argo; e non per anco io darle
negato gli ho: pria ch’ei le chiegga, io forse
suo desir preverrò. Sei pago? Tebe
riman secura; io non vo’ guerra. – Or, lascia,
che al suo destin vada costei.
Emone
Vuoi dunque
perder tuo figlio tu?... Ch’io sopravviva
a lei, né un giorno, invan lo speri. È poco
perdere il figlio; a mille danni incontro
tu vai. Già assolta è Antigone; l’assolvi
tu col disfar tua legge. A tutti è noto
già, che a lei sola il laccio vil tendesti.
La figlia amata de’ suoi re su infame
palco perir, Tebe vedria? di tanto
non lusingarti. Alte querele, aperte
minacce, ed armi risuonar già s’ode;
già dubbio...
Creonte
Or basta. – Sovra infame palco,
poiché nol vuoi, Tebe perir non vegga
la figlia amata de’ suoi re. – Soldati,
la notte appena scenderà, che al campo,
là dove giaccion gl’insepolti eroi,
costei trarrete. Omai negar la tomba
più non dessi a persona: il gran Tesèo
mel vieta: abbiala dunque, ella, che altrui
la diè; nel campo l’abbia: ivi sepolta sia,
viva...
Emone
Oh ciel! che sento? A scherno prendi
uomini e Dei così? Versar qui pria
tutto t’è d’uopo del tuo figlio il sangue.
Viva in campo sepolta? Iniquo;... innanzi
estinto io qui; ridotto in cener io...
Antigone
Emon, dell’amor mio vuoi farti indegno?
Qual ch’egli sia, t’è padre. A fera morte
già, fin dal nascer mio, dannata m’ebbe
il mio destino: or, che rileva il loco,
il tempo, il modo, ond’io morrò?...
Creonte
Ti opponi
indarno; ah! cessa: lei salvar non puoi,
né a te giovare... Un infelice padre
di me farai; null’altro puoi...
Emone
Mi giova
farti infelice, e il merti, e il sarai; spero.
Il trono iniquo por ti fa in non cale
di re, di padre, d’uomo, ogni più sacro
dovere omai: ma, più tu il credi immoto,
più crolla il trono sotto al rio tuo piede.
Tebe appien scerne da Creonte Emone...
V’ha chi d’un cenno il mal rapito scettro
può torti: – regna; io nol darò; ma, trema,
se a lei...
Antigone
Creonte, or si t’imploro; ah! ratto
mandami a morte. Oh di destino avverso
fatal possanza! a mie tante sventure
ciò sol mancava, ed al mio nascer reo,
che instigatrice all’ira atroce io fossi
del figlio contro al padre!...
Emone
Or me si ascolti,
me sol, Creonte: e non di Atene il ferro,
né il re ti mova; e noti di donne preghi,
né di volgo lamenti: al duro tuo
core discenda or la terribil voce
di un disperato figlio, a cui tu stesso
togli ogni fren; cui meglio era la vita
non dar tu mai; ma, che pentir può farti
di un tal don, oggi.
Creonte
Non è voce al mondo,
che basti a impor legge a Creonte.
Emone
Al mondo
brando v’ha dunque, che le inique leggi
può troncar di Creonte.
Creonte
Ed è?
Emone
Il mio brando.
Creonte
Perfido. – Insidia i dì paterni; trammi
di vita, trammi; osa; rapisci, turba
il regno a posta tua... Son sempre io padre
di tal, che omai figlio non mi è. Punirti
non so, né posso: altro non so, che amarti,
e compianger tuo fallo... Or di’; che imprendo,
che non torni a tuo pro? Ma, sordo, ingrato
pur troppo tu, preporre ardisci un folle,
e sconsigliato, e non gradito amore,
alla ragione alta di stato, ai dritti
sacrosanti del sangue...
Emone
Oh! di quai dritti
favelli tu? Tutto sei re: tuo figlio
non puoi tu amare: a tirannia sostegno
cerchi, non altro. Io, di te nato, deggio
dritto alcuno di sangue aver per sacro?
A me tu norma, in crudeltà maestro
tu sol mi sei; te seguo: ove mi sforzi,
avanzerotti; io ’l giuro. – Havvi di stato
ragion, che imprenda iniquitade aperta,
qual tu disegni? Bada; amor, che mostri
a me così, ch’io a te così nol renda...
Delitti, il primo costa; al primo, mille
ne tengon dietro, e crescon sempre; – e il sai.
Antigone
Io t’odio già, s’oltre prosiegui. Ah! pria
d’essermi amante, eri a Creonte figlio:
forte, infrangibil, sacro, e il primo sempre
d’ogni legame. Pensa, Emon, deh! pensa,
che di un tal nodo io vittima pur cado.
Sa il ciel, s’io t’amo; eppur tua man rifiuto,
sol perché meco non si adirin l’ombre
inulte ancor de’ miei. La morte io scelgo,
la morte io vo’, perché il padre infelice
dura per lui non sopportabil nuova
di me non oda. – Ossequïoso figlio
vivi tu dunque a scellerato padre.
Creonte
Il suo furor meglio soffrir poss’io,
che non la tua pietà. – Di qui si tolga. –
Vanne una volta, vanne. Il sol tuo aspetto
fa traviare il figliuol mio. – Nell’ora
ch’io t’ho prefissa, Eurimedonte, in campo
traggasi; e v’abbia, anzi che morte, tomba.