SCENA TERZA

Romilda, Almachilde.

Romil.

Ah! spenta

cadrotti al fianco... Il vo' seguire... Infame,

tu mel contendi? Ad ogni costo...

Almac.

Ah! soffri,

ch'io, sol per poco, or ti rattenga.

Romil.

Oh rabbia!

Oh dolor!... Lascia, al fianco suo...

Almac. Mi ascolta.
Romil. Troppo giá t'ascoltai... L'amante...
Almac.

Or vedi,

seguir nol puoi;... ma, non temere: io il serbo

a libertade, a vita; e a te fors'anco,

mal mio grado, lo serbo. In carcer crudo

tratto ei non fia: da me niun danno, il giuro,

ei patirá. Ben io il rimembro; in vita

per lui son oggi: or passeggera forza

gli vien fatta. - Ma,... oh ciel!... lasciar rapirmi,

sol ben ch'io m'abbia al mondo, la tua vista!...

Romil.

Ancor d'amore?... Ah! che non ho quí un ferro,

onde sottrarmi a' detti tuoi?

Almac.

Deh! scusa;

piú non dirò. Spero, ampiamente, in breve,

del picciol danno ristorar tuo amante;

(ahi nome!) e spero in un seco disciormi

di quanto mai gli deggia.

Romil.

Uman t'infingi?

Tanto esecrabil piú. Che dar? che sciorre?

rendi a noi libertá: mai non ti para

innanzi a noi, mai piú; sol dono è questo,

che far tu possa a me.

Almac.

Cederti altrui,

nol posso io no: ma possederti forse

mal tuo grado vogl'io?

Romil.

Ben credo: e fatto

verriati ciò, finché un pugnal mi avanza?

Ingannarmi, o indugiarmi, invan tu speri.

Col mio amante indivisa...

Almac.

Io ti vo' donna

di te, di lui, di me: fraude non celo

nel petto. A me per or sol non si vieti

d'adoprarmi per te. S'io giá ti tolsi

il padre, e render nol ti può né pianto,

né pentimento; io ti vo' render oggi

quant'altro a te si toglie. Eterna macchia

è Rosmunda al mio nome: al sol vederla,

entro il mio cor la non sanabil piaga

de' funesti rimorsi, ognor piú atroce,

piú insopportabil fassi: e il letto, e il trono,

e l'amor di quell'empia ognor mi rende

(fin ch'io il divido) agli occhi altrui piú reo,

piú vile a' miei. Tempo omai giunto...

Romil.

Tempo

di che?... Favella. - O di Rosmunda degno,

di lei peggior, la sveneresti forse,

a un mio cenno, tu stesso? - Or, sappi, iniquo,

che per quant'io l'abborra, aver vo' pria

di te vendetta, che di lei. La strage

del mio misero padre, è ver ch'ell'era

di Rosmunda pensier; ma, il vil che ardiva

eseguirla, chi fu? - Va; ben m'avveggio,

al tuo parlar, che a spingerti a' misfatti

non è mestier gran forza.

Almac.

Un ne commisi;

ma ben piú d'una in mente opra da forte

volgo; e fia prima lo strapparmi or questa

non mia corona dal mio capo, e darla

a te, che a te si aspetta; a qual sia costo

io difensor d'ogni tuo dritto farmi;

di chi t'opprime (e sia chi vuol) l'orgoglio

prostrar sotto i tuoi piè: quand'io secura

vedrotti in trono poscia, allor de' tuoi

sudditi farmi il piú colpevol io,

e il piú sommesso, e umile; udir mia piena

sentenza allor dal labro tuo; vederti

(ahi vista!) al fianco, in trono, a me sovrano

fatto Ildovaldo: e trar, finché a te piaccia,

obbrobriosi i giorni miei nel limo,

favola a tutti: e fra miseria tanta,

niuna serbare altra dolcezza al mondo,

che il pur vederti: - il non mai mio misfatto

avrò cosí, per quanto in me il potea,

espíato; e...

Romil.

Non piú; taci. Non voglio

trono da te: rendi a me pria l'amante,

che piú lo apprezzo, ed è piú mio. Se il nieghi,

me di mia man cader vedrai.

Almac.

- Sarammi

dunque, del viver tuo, pegno il tuo amante.

Di lui farò strazio tremendo, io 'l giuro,

se tu in te stessa incrudelisci. Bada...

giá troppo abborro il mio rival:... giá troppa

smaniosa rabbia ho in petto: a furor tanto

non accrescer furore... - Altro non chieggo,

che oprare in somma a favor tuo; te lieta

far di sua sorte, e del mio eterno danno...

E qual vogl'io mercé? l'odio tuo fero

scemarmi alquanto, e la mia infamia in parte...

E sí 'l farò, vogli, o nol vogli. - Il tutto

volo a disporre: ah! piegheran te forse,

piú che i miei detti, or l'opre mie. Ti lascio

tempo intanto ai pensieri... Empio me puoi

tu sola far, se a dirmi empio ti ostini.

Share on Twitter Share on Facebook