APPENDICE I.

Pensieri dei tirolesi sul futuro destino della lor patria, e sulla sorte di Hoffer. Egli viene tradito, arrestato e condotto a Mantova. Suo processo e sua morte. Impressione universale. Gratitudine dell’imperatore Francesco verso la di lui famiglia, e monumento che gli erige a memoria.

Spenta nel Tirolo la guerra dell’anno 1809, i figli suoi rassegnati e sommessi reprimevano nel silenzio il sentimento della patria libertà, rallentavano il bollente sdegno con religiosa rassegnazione e pazienza, e fra il timore e la speranza in sul cominciare dell’anno 1810 volgevano le menti all’avvenire. Due gravissime cose gli occupavano principalmente. L’una era quella di sapere il dominio a cui verrebbe sottoposta la tirolese provincia nel diffinitivo scompartimento che le vincitrici potenze farebbero dei territori conquistati a danno dell’Austria; l’altra riguardava il risultato delle investigazioni che praticate venivano dal nuovo Governo per l’arresto di alcuni dei principali capi della sedata sollevazione, e per quello massimamente di Hoffer. Varie e contraddicenti eran le voci sulla scomparsa e sull’asilo di quest’uomo interessante. Chi credevalo rifuggito a Vienna per chiedere l’intercessione di Francesco presso Napoleone; chi si persuadeva ch’ei si fosse furtivamente annidato nella Svizzera, e chi pensava ch’egli avesse il nascondiglio in Tirolo. Scorreva il dicembre del 1809, e parte del gennaio del 1810; continuavano incessanti le ricerche per lo suo scoprimento da parte del comando militare.

Una piccola montana spelonca, chiamata Kellerlahn, posta nella valle di Passiria, a cinque ore da Sand, quasi sepolta dalla neve, era divenuta l’abituro d’Andrea. Quivi egli vivea solitario, colla mente aliena dai mondani romori; quivi menava i suoi giorni, ripensando alle passate vicende, dolendosi sull’infelice loro risultato, e rassegnandosi ai voleri del cielo per tutto ciò che di lui accader potesse in avvenire. Un solo pensiero grandemente l’affliggeva, il pensier della moglie e dei figli, che come buon marito ed ottimo padre amava, ed oltremodo stavangli a cuore. Vild, Strobel, Laner, Illmer, Staffel, suoi amici e confidenti, sapevano il luogo del suo ritiro, e gli fornivano le più minute notizie del corso giornaliero delle cose, delle disposizioni del comando militare, e dei movimenti eseguiti da’ soldati per la scoperta e pel suo arresto. Essi eran quelli che gli recavano di soppiatto il cibo, e che introducevano nel suo casolare i messi segreti provenienti da Vienna, uno dei quali gli venne inviato, diceasi, dallo stesso imperatore Francesco, a cui grandemente interessava un uomo sì sviscerato per la sua Casa. Chi esortavalo alla fuga, accennandogliene il modo, ed il luogo; e chi eccitavalo a radersi la lunga barba, che facilitava il di lui riconoscimento. Sordo alla voce degli amici ed agli eccitamenti dei messi, egli persistette irremovibilmente nella risoluzione di menare in quel monte la solinga sua vita, in un colla moglie e co’ suoi figliuoli, vicino alla patria, che non volea assolutamente abbandonare.

I soldati napoleoniani, sempre intenti a scoprirne le tracce, ivan di continuo per la pianura e pei monti, cercandolo dappertutto. Le loro indagini sarebbero forse tornate infruttuose, o pure lo scoprimento di Hoffer sarebbe forse accaduto più tardi, cioè quando l’ira vendicatrice nemica avesse sfogato i suoi primi furori, se intramezzato non si fosse il tradimento. A Donay, all’amico, al confidente, viene esso da molti principalmente attribuito. Avvertito da lui Baraguey d’Hilliers, che Staffel (da taluno chiamato Raffel) era a cognizione dell’asilo di Hoffer, che molto penava per il timore che se ne venisse al chiaro; che gli ultimi sinistri avvenimenti aveano destato nell’animo di esso Staffel un forte spavento, e che per l’avidissimo e pieghevole suo naturale s’avrebbe indotto a manifestarlo, il faceva senza più condurre avanti di sè in Bolzano. Avutolo, incominciò a minacciarlo orribilmente, e poscia coprì le minaccie con grandiose promesse. Ben presto egli ottenne dal pusillanime Staffel la voluta rivelazione. Un grossissimo drappello di 1500 francesi del 44.º reggimento di linea con 50 gendarmi e 70 cacciatori a cavallo, guidato dal capitano Renouard, indirizzava poco dopo i presti suoi passi verso la scoscesa montagna, in cui Hoffer menava gli stentati suoi giorni. Nel tempo stesso 2000 soldati stavano in vicinanza allarmati e pronti alla difesa, se mai il popolo facesse qualche moto a sollievo del tirolese comandante, e tutto il resto della soldatesca avea l’ordine di stare attento se dato venisse il segno dell’allarme generale. In fra le tenebre della notte, che segue al dì 27 gennaio, gli assalitori di Hoffer, guidati dal medesimo Staffel, arrampicavano il monte stritolando il ghiaccio, squagliando sotto i lor piedi la neve, e tremando pel freddo; all’appressarsi dell’aurora del giorno 28 afferravano la sommità, e divisi in alcune quadriglie attorniavano la di lui abitazione rallentando viemmaggiormente il romore. Il menzionato capitano s’appressa al tugurio, in cui Hoffer giaceva coll’amata consorte, col figlio Giovanni, e con un giovane scrivano, certo Döninger, che con ardente entusiasmo avea ovunque seguito la di lui fortuna. Il capitano picchia. Hoffer si scuote, ondeggia in sulle prime fra molti pensieri, indi fra i gemiti de’ suoi apre la porta. L’aprire, il ravvisare la gente armata, l’intimargli l’arresto, l’assalirlo ed afferrarlo furono tutt’uno. Con animo imperturbato e sereno: Se cercate, ei dice, Andrea Hoffer, son io. Fate pure di me ciò che più vi piace, o soldati, ma rispettate, soggiunse con voce più sommessa e più commovente, l’innocenza della moglie e de’ figli. I soldati, pronti all’avuto comando, senz’altro dire, caricano e stringono di catene il disgraziato Andrea, e legato, non che maltrattato, il conducono seco, unitamente alla moglie, all’impubere figliuolo e al giovane secretario. Il convoglio che lo scorta discende il passiriano monte, e verso la vicina città di Merano volge il cammino. Viaggia Hoffer in mezzo a lunghe file di soldati, ammirato da tutti, compianto dagli amici e dai compatrioti, che sulla strada per cui passava ovunque si affacciano. I soldati tripudiano e fanno gazzarra; i tirolesi piangono, guardano dolenti il più illustre difensore della patria, e sentono nelle loro viscere una profonda commozione. Hoffer, con aspetto ridente anzi che no, ma che ben lascia intravedere le tracce del patimento, osserva taciturno la folla che mestamente l’adocchia, incoraggisce con eroica rassegnazione l’addolorata consorte, e i piangenti amici, confortandoli tutti a sperare nei titoli, che appoggiati al proclama del Vicerè, lo costituiscono innocente rispetto a quello che avvenne dopo il pubblicato generale perdono. Il vede finalmente Bolzano. Baraguey d’Hilliers, che con avidità l’attendeva, comanda che Hoffer venga subitamente sciolto dai ceppi, e sostenuto in una prigione decente. Quivi egli è visitato da molti uffiziali napoleoniani, in riconoscenza dell’umanità da lui usata coi prigionieri francesi ed italiani; anzi uno di essi gli presenta in ricordo una tabacchiera, ed altri il provvedono di ristoranti vivande. La desolata moglie è posta in libertà insieme al singhiozzante figliuolo; e viene rimandata in Passiria. Qual dolorosa scena abbia offerto la loro separazione, è facile immaginare. Non potè Hoffer nascondere le lagrime dell’acerbo suo dolore ai singulti, ai gemiti inconsolabili della moglie e del tenero figlio. Il dì 1 di febbraio, due ore dopo il meriggio, arriva a Rovereto, procedente da Trento in una carrozza, scortato da una compagnia di soldati francesi. Quivi, per concerto preso dal Podestà col comandante militare, ebbe stanza nel cittadino palazzo presso il bargello; desinò e cenò di buona voglia, e senza manifestare il minimo turbamento. Fra il dì mandò a chiamare il pellicciaio Gaspare Padovani, da lui conosciuto alle fiere di Bolzano, e il pregò d’un paio di guanti, che tostamente si ebbe. Nel seguente mattino la scorta medesima il tradusse ad Ala, e poscia di stazione in stazione a Mantova, luogo destinatogli invece di Milano con un posteriore decreto. La curiosità di vedere il prode tirolese si manifesta non men nel Tirolo tedesco ed italiano, che nei paesi del regno d’Italia. Le genti corrono in folla dovunque egli passa, e se grande è stata la maraviglia nell’udire le gloriose sue gesta, altrettanto grande ed universale diviene la compassione per la prigionia di un uomo tanto pietoso in verso la patria, cui altro non restava che un chiaro nome, ed un’avversa fortuna. È però trattato come un graduato prigioniero di stato.

Il francese generale Drouet, comandante nel Tirolo tedesco, annunzia pubblicamente il 31 gennaio dalle sue stanze d’Innsbruck l’arresto di Hoffer in questo modo:

«Andrea Hoffer, denominato Oste al Sand, e Capo-complotto della ribellione del Tirolo, che così di sovente infranse la sua data parola, e che mai non cessò di eccitare il popolo con false dicerie, venne a questi scorsi giorni preso ed arrestato con un suo correo mediante le truppe di S. M. l’imperatore dei Francesi e re d’Italia, che stanziano nel Tirolo settentrionale.»

Un consiglio di guerra è adunato in Mantova per giudicarlo. Presidente del medesimo è il generale Bisson, quello stesso Bisson che il dì 13 aprile del 1809, fu nei dintorni d’Innsbruck costretto a capitolare a discrezione dei tirolesi, e a darsi prigioniero di guerra con tutta la sua colonna. S’incomincia il processo. L’esito del medesimo desta l’attenzione de’ popoli, e segnatamente dei tirolesi. Hoffer è patrocinato dal giovine avvocato Basevi. Per buona ventura i suoi giudici non sono tanto ingiusti e perversi, come furon quelli che trattaron la causa del Cristo, ch’egli portava appeso al petto, e che cristianamente venerava. Le difese dell’avvocato trionfano, sotto l’ombra in ispecie del vicereale decreto dei 12 novembre 1809. Esse hanno l’efficacia di penetrare nei petti militari dei giudici; essi sbandiscono dai loro cuori il rigore precipitoso praticato durante la guerra, e fanli piegare a sentimenti di pietà e di giustizia. Già la maggioranza dell’adunato consiglio allontana l’idea della capitale condanna, e pende per un carcere a tempo; già due giudici inclinano a liberarlo, e già vicina era la salvezza della sua vita. La sentenza era aspettata con universale ansietà, quando una risoluzione inopinata del governo di Milano, annunziata al consiglio per mezzo del telegrafo, arresta il giudiziario processo aperto contro di Hoffer, ed ordina ch’ei sia moschettato entro 24 ore, obbliando i titoli della sua innocenza, abusando del perdono promesso dal vicerè, scordando che Hoffer ha umanamente trattati i prigionieri napoleoniani, e fatti raccorre con ogni pietà i feriti. Preparato Hoffer ad udire l’assoluzione egualmente che la condanna di morte, ascolta con eguale intrepidezza il barbaro decreto, pronunziato non già da un tribunale di giustizia, nè coll’osservanza della legge, ma dal desiderio della vendetta e dall’odio ancora bollente di un guerriero furore. Lo ascolta il mondo, e ne rimane sopraffatto e stupito. Come l’abbiano ascoltato i tirolesi, è inutile dirlo. Hoffer colla rassegnazione del vero cristiano si prepara per rendere l’anima a Dio, avendo già pensato e disposto per la sua famiglia. A sua richiesta gli è concesso da un’apposita commissione militare in assistente spirituale Giovangiacomo Manifesti, preposito ed arciprete di San Barnaba Egli tira un velo sopra le vicende della vita, e tutti i suoi pensieri rivolge alla morte. Sorge l’aurora del dì 20 di febbraio, l’ultimo di Hoffer. La soldatesca stanziata in Mantova si mette in movimento: suonano le ore undici, e i tamburi battono a raccolta. Si raduna un battaglione, in mezzo del quale viene collocato Hoffer testè estratto dal carcere, e già volge la lugubre marcia verso il bastione di Ceresa, dietro la caserma della cittadella. La virtù conduce ed assoda i passi di Andrea. Al fianco del suo confessore, egli guarda con aria serena il porto in cui fra brevi istanti dev’essere trasportato dalle regioni della vita a quelle dell’eternità: la religione gli offre un ammirabile conforto. Passando dinanzi alle casematte di porta Molina, lo scoprono i tirolesi, che in esse son relegati; n’escono fuori i licenziati, si gettano a terra ginocchione possibilmente vicini, e pregando pace all’infelice loro comandante, innalzano al cielo un pianto generale, accompagnato da acutissime strida; accrescono il duolo e l’orrore, e implorarono la di lui benedizione. Ei benedice qual padre amoroso i suoi dilettissimi compagni, non senza un grave cordoglio cagionatogli da tanta loro desolazione, e chiedendo loro perdono se qualche colpa egli avesse della loro disgrazia; gl’incoraggisce a sperare, che la mano di Dio farà presto tornare l’afflitto Tirolo sotto l’anelato dominio dell’indimenticato imperatore Francesco. Fatte queste parole, volge pietoso lo sguardo a Manifesti, e a lui consegna fra l’altre cose la sua tabacchiera d’argento, la sua bella corona, ed alcune note della banca austriaca di circa 500 fiorini, acciò siano distribuiti ai suoi compatrioti. Pervenuto il convoglio al luogo del supplizio, i soldati formano un quadrato aperto nella schiena di Hoffer, che in mezzo al medesimo è posto di fronte a dodici granatieri preparati ad ucciderlo soldatescamente: abbraccia il ministro dell’altare, donagli in ricordo il suo piccolo crocifisso d’argento, e gli dà l’estremo addio, mandando ad un’ora per l’ultima volta un sospiro alle tirolesi sue alpi, che la moglie e i figli raccolgono. Un tamburino gli presenta un bianco fazzoletto per bendarsi gli occhi; ei lo rifiuta, dichiarando con franca risolutezza, che la vista delle armi a lui rivolte non gli arreca timore. Gli fa cenno d’inginocchiarsi, ed Hoffer risponde, che ritto si trova innanzi al Creatore del mondo, e ritto vuol rendergli l’anima che gli ha data. Getta una moneta d’argento da carantani venti, coniata durante la sua dittatura, al caporale che gli si era avvicinato, colla raccomandazione di sparar bene; e poscia, guardando i tiratori ad alta voce prorompe: Fate fuoco. Si ode l’orribile scoppio. Al primo tiro, da cui è Hoffer colpito, lo si vede sollevare al cielo gli occhi gravi ed ottenebrati dalla morte, e piegando il suo corpo sul fianco sinistro, balzar quasi in piedi. I secondi sei colpi, seguiti colla velocità del lampo, lo stendono al suolo, e gli tolgono l’ultimo filo di vita. Il caporale appressa tosto dopo il proprio moschetto alla di lui testa, e gli vibra l’ultimo colpo, quasi avesse voluto sdebitarsi dell’avuta moneta.

Così Hoffer finiva la vita, nell’età di circa 43 anni; così, fu rapito al Tirolo il suo valoroso campione, tanto temuto dagli avversari, tanto encomiato dalle nazioni. La sua spoglia fu portata dai granatieri in una bara coperta di nera gramaglia nella vicina chiesa di San Michele, ove venne esposta al pubblico durante il funebre officio solennemente cantato, e quindi sepolta alla presenza di gran numero di persone.

La fama manifestò subitamente la di lui morte. Udilla l’Europa, che rimase oppressa da maraviglia; udilla il Tirolo, che restò compreso da profonda mestizia; udilla la moglie, che fu colpita da un immenso ed ostinato cordoglio; udilla l’austriaco imperatore, che sentì ingrandirsi il duolo delle sofferte sventure, ed aprendo il pietoso suo cuore ai sentimenti della gratitudine, decretò primamente che alla superstiste famiglia del valoroso Hoffer fosse pagata una somma di trenta mila fiorini per assicurarle il futuro stato, e per indennizzarla del saccheggiamento dato dai soldati nemici alla di lui casa in Sand di Passiria. Commise nello stesso tempo la cura del figlio Giovanni all’abate Gottardo Kugelmajer, consiglier intimo di Stato. La vedova di Andrea, amando di vivere piuttosto fra le passiriane native sue rupi, in cui sino allora s’era tenuta, che di stanziarsi nell’Austria dov’era per sovrano volere chiamata colle sue figlie, non si giovò degli altri beneficii, che vivendo sotto l’austriaco cielo avria potuto sperare dal cuore magnanimo di Francesco. Ma questo virtuoso monarca non obbliò giammai la memoria del prode Hoffer. Stabilita la pace d’Europa, in virtù della quale il Tirolo, già ripreso nell’anno 1813 dall’armi austriache, ritornò stabilmente sotto l’antica signoria, egli assegnò, col suo decreto dei 14 dicembre 1818, alla vedova d’Hoffer una pensione annuale di 500 fiorini, ed altra pensione di 200 a ciascuna delle quattro di lei figliuole, colla condizione che maritandosi dovessero esser loro pagati una volta per sempre 500 fiorini di dote; ordinando altresì, che al figliuolo Giovanni fosse comperato un ragguardevole podere per suo godimento, conferendogli il grado di nobiltà. Volendo poi che la memoria delle luminose azioni dell’Hoffer con un monumento perenne venisse tramandata alla posterità, fece scolpire da insigne scalpello la di lui statua, che nella chiesa di Corte, ossia dei Francescani in Innsbruck fu collocata il 5 maggio 1834 con solenne funzione, durante la quale il prelato di Wiltau recitò un analogo discorso. In questa chiesa erano già state deposte sino dell’anno 1823 le di lui ossa, trasportate da Mantova.

Andrea Hoffer vive continuamente nelle lingue e nei petti de’ suoi compatrioti; esso è rammentato con orgoglio da’ suoi nazionali, e con alta maraviglia dagli stranieri; esso già risplende negli annali della storia, e vivrà nella memoria de’ più tardi nipoti; e finchè la virtù sarà pregiata dagli uomini, ei sarà citato ad esempio di quanto possano un animo forte, una singolare semplicità, ed una inalterabile fede.

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