L’ostinatezza d’alcuni capi aizzata da alcuni stranieri e fuorusciti mantiene ancora in qualche parte del Tirolo tedesco la fiamma della sollevazione. Certo Kolb si distingue fra quelli, e inganna il credulo Hoffer sottraendo lettere a lui indirizzate. Hoffer inculca resistenza a fronte degli eserciti nemici che l’attorniano. Sui monti intorno a Bolzano, alla Chiusa di Mühlbach, sulle alture di Spingel, Merorsen e di Rodeneck si affollano tirolesi armati. A Bolzano, il general Peyri, rientrato in Tirolo, è posto in pericolo. Ei viene liberato dalla gente del generale Vial. I napoleoniani rinvigoriscono; i tirolesi cedono intorno a Bolzano, e rientrano ai loro focolari. Qui han fine le scene del Tirolo meridionale, salvo quelle di stranieri e disertori. S’ode il cannone nelle valli di Ziller e di Wintschgau. A Zell s’accende una grave zuffa. Il valor tirolese qui mostrasi novellamente; così alla Chiusa di Mühlbach, dove Rusca infierì. Ritorno de’ Deputati inviati al vicerè. Sua risposta ai medesimi, e passaporti loro rilasciati per emigrare. Dichiarazione esortatrice di Hoffer per la quiete. Altra consimile del vescovo di Bressanone. Riunione de’ due principali eserciti in Bressanone. Ordine severo del vicerè contro i renitenti stranieri. Sua partenza per Parigi, a motivo del matrimonio di Napoleone coll’arciduchessa Maria Luigia. Il generale Baraguey d’Hilliers comanda in sua vece. Nuova sommossa de’ tirolesi della Passiria, cagionata dalla tirannia dei generali Rusca e Barbau ecc. Hoffer è forzato a notificarla e ad emettere un eccitamento. Kolb n’ha gran parte. La sommossa si propaga nella Valle di Venosta, dell’Enno e di Wintschgau con danno grande del nemico. Le tirolesi donne vi partecipano, spogliando delle armi i prigionieri. Guardia cittadina eretta a Riva per liberarsi dagli armati stranieri che la molestavano. Attentati di questi ultimi e loro disperazione. Timore e fuga di alcune famiglie di Riva. La guardia viene ingrandita d’intelligenza con Arco, Torbole e Nago. Disposizioni del generale Vial per distruggere detta gente. In Tione vengono moschettati 52 individui, e con ciò finisce la scena nel Tirolo meridionale. Risoluzione di Baraguey d’Hilliers per frenare i tirolesi nella Val Venosta e in Passiria. Suoi mezzi usati a risparmio del sangue. Suo abboccamento col capo Holzkneckt, e sua unione colle truppe bavare in Wintschgau. Scomparimento di Hoffer. Kolb persiste nella difesa alle sponde dell’Eisack. Sua fuga nell’Austria. Speckbacker e Haspingher fuggono prima di Kolb. Proclama di Baraguey d’Hilliers. Sue disposizioni pel governo de’ circoli dell’Adige e dell’Eisak. Ultime scene sanguinose nella Pusteria. Sommissione e tranquillità generale. Conclusione.
Pareva, in sul cominciare di novembre, che il Tirolo, conquassato da tante calamità, e all’ultimo grado della depressione condotto, avesse una volta a riposarsi. È stanca l’afflittissima penna in rappresentare dolorose scene; ma, a compimento dell’assunto disegno, deve vincere la ripugnanza. Il moltiplicare dei pericoli, in luogo di produrre la calma, moltiplicava in alcuni l’ostinazione, fomentata dalle bande dei facinorosi e de’ soldati stranieri, che sbaragliate da una parte, sorgevano dall’altra, talchè la provincia veniva messa a terrore, a ruba ed a sangue. In sì orribili ravvolgimenti gli scellerati stranieri trionfavano, e più che perdere, acquistavano; laddove i tirolesi, dominati soltanto dall’amor patrio, perdevano, sacrificavano e morivano. Il tenacissimo Kolb, uno degli inframmettenti capi della sollevazione, colla sua mente accendibile e magnificatrice predicava scioccamente in questi estremi momenti, sotto pena di morte, la più ostinata difesa, accompagnando gli audaci eccitamenti con mille bindolerie per volgere la gente a suo grado, e guadagnare principalmente il pieghevole animo del supremo comandante. Asseriva, verbigrazia, essergli comparsa la Beata Vergine Maria promettendo alla sacra causa la di lei assistenza; assicurava l’Hoffer che le notizie di pace e di sconfitte a danno dell’Austria erano fanfaluche inventate dagli inimici; che all’opposto l’arciduca Giovanni veniva con un potente esercito a sostenere il Tirolo, e già si approssimava a Sachsenburg, e che nella Pusteria udivasi il rombo delle sue cannonate. Per di lui maneggio venivano intercettate alcune lettere ammonitrici dirette allo stesso Hoffer. Egli fu appunto per queste ed altre consimili dicerie, e principalmente per opera di Kolb, che Hoffer con una circolare del 3 novembre avvertiva inconsideratamente tutti i capi di stare fermi nelle possedute posizioni sino al ritorno dei deputati spediti al vicerè, e di respingere sotto lor garanzia la forza colla forza, qualora venissero attaccati dal nemico. Il linguaggio di Hoffer poteva mantenere ancora in vita l’entusiasmo nazionale, quantunque gli animi fossero inviliti ed affranti per le durate fatiche, le sofferte angoscie e ruine, attoniti e titubanti per le sovrastanti calamità, e molto discordi nei loro voleri. Drouet, ignaro della circolare anzidetta, bandiva la seguente ordinazione.
ARMATA DI GERMANIA
Corpo d’armata regio bavaro.
«La precisa dichiarazione dell’atto di sommissione, che in questo punto mi ha mandato Andrea Hoffer, mi ragguaglia che questi divolgò agli abitanti traviati gli ordini opportuni perchè riedano alle loro case, e depongano le armi, per indi attendere la grazia del perdono, che da S. M. l’Imperatore Napoleone si è assunto d’intercedere.
«Non potendo pertanto aver più luogo alcun pretesto di sollevazione, si mette a cognizione che colui, che 24 ore dopo la pubblicazione del presente decreto, verrà preso colle armi in mano, sarà considerato come assassino, e come tale sul fatto appiccato.
«Ogni giudice, podestà, o qualsiasi altra autorità notificherà tantosto al più vicino Comando militare sedente nel rispettivo distretto quel forestiere, o quell’abitante, che colle parole o colle azioni tentasse di stimolare la contrada a nuove turbolenze. Ogni comandante militare, sì tosto che quest’avviso avrà ricevuto, prenderà le necessarie misure per arrestare simile gente.
«Ogni villaggio, ogni comune, ogni luogo nel quale verrà praticato qualsiasi sorta d’offese, o prepotenza verso il militare, od altre persone, verrà condannato ad una multa di fior. 1000, e nel replicato caso verrà abbruciato il villaggio, od il luogo, ove fu fatta l’offesa, o commessa la prepotenza.
«Se contro ogni speranza venisse attaccata la personale sicurezza del generale comandante, e delle persone militari, o pure venisse urtata la proprietà dei pacifici abitanti, in questi casi l’autorità del luogo deve arrestare i colpevoli, e consegnarli al prossimo comando militare, da cui verranno esemplarmente castigati.
«Dal quartier generale d’Innsbruck, li 4 novembre 1809.
«DROUET»
«Generale di divisione.»
Intanto gli eserciti confederati s’inoltravano nelle viscere del territorio tirolese. L’armata bavara inondava la valle superiore ed inferiore dell’Enno, e con una forte colonna volgeva a Steinach per indi valicare il monte Brenner. Era questa composta del settimo reggimento di linea, del battaglione leggiero Laroche, di uno squadrone di cavalli, e di alcuni pezzi d’artiglieria. Il generale conte Bekers n’avea l’immediato comando. Nella Pusteria entrava un esercito napoleoniano, che vittorioso retrocedeva dalle terre dell’Austria: il generale Rusca ne guidava l’antiguardo, che il dì 4 novembre s’impadronì di Bruneck. Nel medesimo giorno il generale Peyri occupava Bolzano con una brigata di francesi ed italiani proveniente dall’alta Piave per la strada di Santa Marta e Sant’Udalrico, fra Bolzano e Bressanone, ed il generale Vial, partito da Trento, si avanzava di concerto colla sua colonna per la via dell’Adige lungo la strada postale, e sopra gli asprissimi monti situati a destra di San Michele, di Salorno e di Egna, attraversando orride balze e spaventevoli precipizii, in modo che alcuni de’ suoi vi perdettero la vita. Potenti eserciti facevansi ad insanguinare il desolato Tirolo, e congruenti fatti tenevano dietro alle orgogliose parole dei vincitori di Wagram.
Nelle vicinanze di San Sigismondo, poco lungi da Bruneck, rannodavasi la massa dei sollevati. Quella che militava sulle sponde dell’Adige, dopo aver battuto contro la gente di Vial, indi contro quella del Peyri, che più da vicino infestava, sparpagliavasi sui monti, che cingono la città di Bolzano. Alla chiusa di Mühlbach si trinceravano col loro centro gli armati contadini sotto il comando di Pietro Mayer, oste della Mahr. Sui monti di Spinges e Merorsen era postata la loro ala sinistra comandata da Pietro Kemmater di Schabs. L’ala destra occupava i monti di Rodenech, e le profondità del mormoreggiante torrente Rienz, sotto gli ordini del contadino Kofler di Mülland. I sollevati, che accerchiavano Bolzano, ordivano il dì 5 un combattimento, all’intento di mettervi alle strette il Peyri, e d’imprigionarlo con tutta la sua brigata. Venuto il Peyri per una spia a cognizione dell’ardito disegno, mandava issofatto un messo al generale Vial, tanto per essere provveduto di munizione, quanto per avvisarlo del pericolo che gli sovrastava, soggiungendo che se un buon nervo de’ suoi soldati non accorreva a porgergli un sollecito soccorso contro la moltitudine che il teneva serrato, era alla vigilia di perdere tutto, e persino sè stesso. Egli ignorava l’ultimo avanzamento del general Vial, e quindi sì grande in lui il concepito timore, che nella notte innanzi al giorno 6 pregò il locandiere della Posta, ove era alloggiato, di ricevere una borsa di monete d’oro, perchè nell’evento della sua perdita volesse inviarla a Mantova, alla di lui consorte.
All’alba del dì 6 i tirolesi calavano con forte cuore dai monti per serrare maggiormente il nemico in Bolzano. Scoraggiati i napoleoniani, sì per la pochissima munizione ch’aveano, che per la triste situazione in cui si trovavano, riscontrarono alla disperata l’assalto. Per buona loro ventura la lettera del Peyri era giunta il dì 5 a Salorno nelle mani di Vial. Udendo questi come l’intiera brigata stava a discrezione di un nemico da lui creduto vinto e disperso, spediva con ogni celerità in soccorso del pericolante Peyri il generale Digonet con un drappello di cavalli, e con un corpo di fanti, che a presti passi seguitavanlo alla staffa, poichè l’incessante tuonare della moschetteria avvertiva che il Peyri era già impegnato nella zuffa. Di fatto i suoi soldati cominciavano già ad avere la peggio, ad essere molto scompigliati, molto intimoriti dalla calca che addosso loro veniva, e vicinissimi ad arrendersi. In questo estremo sopraggiungeva co’ suoi Digonet, frammischiandosi furiosamente nell’azione. Ravvisando i soldati di Peyri il sopraggiunto soccorso, riprendevano vigore, e tutt’ad un tratto i vinti comparivano vincitori. I sollevati, cangiando il coraggio in timore, riascendevano i monti, rientravano ai loro focolari, ed imitando l’esempio dei cittadini di Bolzano, già sommessi intieramente insin dai primi momenti che il general Vial fissò in Trento il suo alloggiamento, offrivano alla fine ubbidienza al governo francese, svezzandosi tutt’ad un tratto dal pensiero della patria difesa, che ormai giudicavano fallita.
Gli apparati formidabili del nemico, l’evidente e vicino pericolo non aveano però abbastanza impressionati e ridotti alla rassegnazione i tirolesi tedeschi. I disperati consigli degli sconsigliati capi, e di coloro che colla sollevazione sottraevano i lor delitti alla spada della giustizia, o alimentavano il loro interesse colle rapine, erano tuttavia fatalmente ascoltati. Chi proponeva più sbalestrato il partito, era miglior tirolese creduto ed applaudito; a tanta cecità l’amor della patria conduceva l’intelletto degl’infelici settentrionali. Vedevano essi che non più si trattava di vincere o di perdere, ma di vivere o di morire; vedevano l’avvicinato sterminio, e l’affrontavano; il dar morte, o riceverla, era omai divenuto per essi tutt’uno; se la difesa non gioverà alla libertà della patria, gioverà almeno, dicevano essi, a scampare una servitù della morte peggiore, oppure ad acquistare il premio del mondo sempiterno. Veniamo ai fatti.
Nelle valli di Ziller e di Wintzgau s’udiva tuonare il cannone; una brigata proveniente da Salisburgo, e guidata dal generale conte Minucci, attaccava a Zell il dì 6 un corpo di sollevati comandato da Giuseppe Zöggele di Sarnthal, confidente di Hoffer, ed intento ad assalire da tergo una bavara colonna. Dilatavasi il combattimento in sulle alture, ove il bavaro reggimento d’infanteria Duca Carlo dava prove di un’eroica intrepidezza. In questo fatto si ravvisavano gli ultimi trionfi del valor tirolese, imperciocchè i combattenti bavari venivano reiterate volte ributtati dalle furenti masse nazionali, le quali pei soccorsi di fanti e di cavalli sopraggiunti alla parte bavara il dì 7, si disperdevano fra le gole di Majerhof.
Cominciando da questo giorno sino ai 9 di mattina la colonna del generale Bekers, che, come toccammo, marciava alla volta del Brenner per congiungersi colle legioni napoleoniane già entrate nella Pusteria, veniva molestata lungo la sua marcia dalle squadre de’ sollevati, che costeggiavano la strada postale. Il general Rusca assaltava, il dì 8, a forza ed a furia la chiusa di Mühlbach, dove stava adunato il nervo principale, ed il centro delle respiranti forze tirolesi. Qui sorgeva una mischia veramente accanita: ambidue le parti erano risolute di più tosto morire, che cedere. Dubbia pendeva lunga pezza la vittoria; gl’imberciatori tirolesi con poche morti e ferite ferivano terribilmente i napoleoniani senza sbigottirsi del loro impetuoso assalto, fulminando colle carabine nelle spesse lor squadre, atterrando le file intere, difendendo bravamente la posseduta trincea, e supplendo col nazionale coraggio là, dove mancavano le forze. I napoleoniani, rimettendosi, menavano aspramente le mani in ravvisando la mortalità che di loro accadeva; davano dentro con molto furore, cercando di avvicinarsi e di venire alle strette. Il Rusca arrabbiava non poco nel dover ammirare in gente perduta una tanto soverchia resistenza e tanta tracotanza. Nel bollore dell’ira sua un tiro di carabina tirolese cagionavagli una leggiere ferita, e però, usando dell’occasione che gli si era mostrata, ordinava che come le artiglierie guastar dovevano da lontano, le baionette guastassero da vicino, ed avviava un distaccamento della sua colonna per una gola del monte, non osservata sufficientemente dalla parte avversaria. Per esso circondava a dritta i tirolesi, gli assaliva ad un’ora alle terga, e li costringeva a rimettersi dalla difesa. Sopraffatti in fiero modo dall’inopinata diversione, essi pigliavano la via dei monti, ed arrampicando sur essi a destra ed a stanca spartitamente, volteggiavano in altra posizione, abbandonando al nemico il difeso luogo. Entrava poscia a viva forza il Rusca coi destri e veterani soldati. Accoppiando la vendetta al furore, mandava egli il villaggio alle fiamme, unitamente agli uccisi difensori. La penna sottace le abbominevoli cose, gli effetti dell’immensa rabbia, della sfogata vendetta, le orribilità, le rapine, le uccisioni eseguite con barbari e terribili modi dalla furibonda soldatesca, aizzata dall’animo fiero e vendicativo del condottiere. Misurando le perdite, quella del Rusca superava di gran lunga: i morti e i feriti dell’arrischiata sua truppa ascendevano a più centinaja; i tirolesi non ne contavano che venti circa.
In questa stessa giornata ritornavano da Villaco i mandatari di Hoffer. Le loro preghiere furono dal vicerè benignamente udite ed accolte. Persuaso egli, che i tirolesi si fossero veramente riconosciuti dei loro errori, e spaventati dalla grandezza degli apparecchi militari che il Tirolo altamente minacciavano, rispondeva il dì 5 ai deputati in questi gravi accenti:
«Per mezzo dei vostri incaricati ricevetti, o deputati, il foglio che mi addrizzaste. Con piacere scorgo da quello, che, memori finalmente del proprio interesse, vi siete determinati di ristabilire la pace nella vostra patria, e di riporre ogni confidenza nella grandezza d’animo di S. M. l’imperatore dei Francesi e re d’Italia.
«Mi riuscirebbe assai doloroso, se dovessi usare la forza contro d’un popolo reso già infelice dalla seduzione, e mi sarà quindi grato, se potrò notificare a S. M. l’imperatore che il Tirolo si sottomise senza spargere una goccia di sangue dei suoi abitanti.
«Solo questo debbo dirvi ancora: conoscete la mia Proclamazione? cercate dunque di corrispondere da parte vostra al contenuto della stessa, e non dubitate, che quanto vi promisi in quella, sarà mantenuto. L’imperatore vi assicurò del perdono, e Napoleone mantiene quel che promette.
«Ai generali dell’armata, che ho l’onor di guidare, diedi delle istruzioni in tutto conformi a quei sentimenti che esternai nel mio proclama, e che qui con piacere or vi rinnovo. Deponete l’armi nelle loro mani; è questo il patto; e vivete poi sicuri che vi tratterranno da amici, e v’accoglieranno nello stesso modo, com’io accolsi i vostri incaricati.
«Assicuratevi, o deputati, del mio più vivo interesse al bene della vostra patria, e della mia più ardente brama per la felicità della medesima.».
Oltracciò prometteva ai due mandatari Sieberer e Donay ogni sicurezza e delle proprietà e delle persone, e per arra delle sue promesse concedeva loro i passaporti per ventiquattro individui, che volessero emigrare nell’austriaco territorio, manifestando un sincero desiderio che fra i medesimi si annoverasse anche Hoffer. Il principe Eugenio procurava d’allontanare con dolce modo i capi, nella persuasione d’ottenere con ciò quell’intento medesimo, che in altre occasioni fu adottato coll’assoluta misura di percuotere i capi per atterrire i seguaci. Appena ebbe Hoffer, in Sterzing, pei ritornati mandatari la clemente risposta autografa del vicerè, ne fece subitamente comunicazione ai capitani delle compagnie ed ai Comuni del Tirolo, affinchè fosse ovunque pubblicata e diffusa, e affaticavasi a persuadere, a raffrenare gli animi ancora ciecamente ostinati ed indomiti, e ad esortarli novellamente alla quiete. A questo fine mandava fuori da Sterzing il dì 8 la seguente ammonizione:
«Fratelli! Noi non possiamo guerreggiare contro l’invincibile potenza di Napoleone. Già abbandonati dall’Austria, non faremmo che esporci ad un’inevitabile rovina. Non mi lice comandarvi più oltre, come non voglio garantirvi da ulteriore disgrazia od incendio.
«Una superior possanza guida i passi di Napoleone. Le sue vittorie e gli sconvolgimenti degli Stati sono effetto di quei piani inalterabili, che formò la divina provvidenza. Chi ubbidisce alla ragione non naviga contro l’insuperabil forza del torrente. Rassegniamoci dunque ai voleri del Cielo per esser ulteriormente protetti. Un amor fraterno, e la richiesta sommissione alla magnanimità dell’imperator Napoleone ci renda degni della possente sua grazia.
«Dietro sicure notizie, l’armata regia bavara si è avanzata sino a Steinach (quanto nella valle superiore nol so), l’armata imperiale francese sopra le alture di Ritten; e per la via di Pusteria con tre divisioni sino a Klausel.
«Per quanto mi dolga il dovervi partecipare tali nuove, tanto vi ritrovo di conforto, mentre così supplisco pure a un obbligo, al di cui disimpegno mi eccitò S. A. reverendissima il vescovo principe di Bressanone. Dietro l’assicurazione del generale Rusca, le armate ci lascieranno sì tosto che ci saremo sottomessi.»
Una consimile esortazione indirizzata avea pure il giorno innanzi il vescovo di Bressanone a tutti i curatori d’anime della sua diocesi, eccitandoli ad adoperarsi anch’essi con amorevole zelo per calmare gli spiriti colle vere massime della religione, procurando d’estirpare i germi della distruzione, e di guidare la renitente massa verso uno stato di costante tranquillità e di stabile rassegnazione.
Riflettendo colla mente della ragione ognuno qui poteva fondatamente credere e persuadersi, che le cose inchinassero ad un generale pacificamento; ma le disgrazie del Tirolo non erano al loro colmo ancora pervenute. Certi spiriti allungavano quanto più potevano il determinarsi, e riaccendevano stolidissimamente la fiamma della sollevazione nell’atto che omai stava per essere spenta, perturbando senza speranza di frutto la quiete incominciata, e cagionando altri lagrimevoli avvenimenti. Alcuni però dei capi approfittandosi dei passaporti ottenuti dalla generosità del principe vicerè, emigrarono dalla provincia, trasferendosi a Varadino, dove altri tirolesi s’erano ricoverati sotto l’ombra dell’austriaca protezione.
Le due armate destinate a deprimere intieramente il valor tirolese da chi reggeva a questo tempo i destini dell’Europa, progredivano intanto il loro avanzamento, ed andavano effettuando la meditata loro unione. Nel giorno 8, cioè poco stante la battaglia di Mühlbach, entrava in Bressanone il supremo generale Baraguey d’Hilliers con 8000 fanti, 800 cavalli, e 50 pezzi d’artiglieria, fiancheggiato dai generali Severoli, Barbou, Moreau (juniore), Rusca e Bertoletti. L’antiguardo della bavara armata, guadagnato il Brenner, faceva contemporaneamente una scorreria con un battaglione di fanti, e mezzo squadrone di cavalli fino a Sterzing. A dì 12 le due armate afferravano l’alto vantaggio di stabilire in Bressanone il loro congiungimento, e di aprirsi la strada alla vicendevole comunicazione cotanto interessante alle militari vedute di chi le guidava.
Il vicerè, che in virtù delle speranze, che alla sua stanza di Villaco aveangli fatte concipire i deputati della nazione, giudicava la spedizione del Tirolo di un sollecito e felice risultamento, ascoltava la novella di Mühlbach con ciglio assai sdegnato, di maniera che il pietoso animo suo piegava subitamente all’ira ed alla vendetta. Mutando perciò le parole di bontà in parole di terrore, e volendo atterrire specialmente i pertinaci autori della continuata sollevazione, emanava dal suo principale alloggiamento questo severo decreto:
«Eugenio Napoleone di Francia, Arcicancelliere di Stato dell’Impero Francese, Vicerè d’Italia, Principe di Venezia, Luogotenente di S. M. l’Imperatore e Re, Comandante in capo l’armata d’Italia.
«Visti gli atti di sommissione che ci sono stati presentati dai deputati tirolesi, e da quelli che erano loro capi e comandanti;
«Visti egualmente i rapporti che ci sono stati trasmessi da tutti i generali comandanti le truppe di S. M. che occupano attualmente il Tirolo;
«Considerando che risulta dagli atti e rapporti qui sopra indicati, che su tutti i punti i veri Tirolesi, penetrati dai loro interessi e dal sentimento del loro dovere, si sono affrettati di rendersi degni del perdono che S. M. l’imperatore e re si è compiaciuto di loro promettere col trattato di Vienna, ed hanno effettivamente deposte le armi;
«Considerando ciò non ostante, che se vi hanno ancora su qualche punto dei piccioli attruppamenti di armati, tali attruppamenti sono composti di briganti estranei ai Tirolesi, i quali non avevano presa parte fra loro se non col favore dei torbidi dell’insurrezione, e di cui i Tirolesi stessi domandano in oggi istantemente il pronto disarmo e l’espulsione;
«Abbiamo ordinato ed ordiniamo:
Art. I. I generali comandanti le truppe, che sono nel Tirolo, prenderanno dal giorno d’oggi sotto la loro protezione speciale le persone e le proprietà dei capi e comandanti che hanno dato esempio di sommissione a S. M. l’imperatore e re, e che vi si sono conservati fedeli.
« Art. II. Qualunque individuo, che cinque giorni dopo la pubblicazione del presente ordine fosse trovato nel Tirolo colle armi alla mano, sarà arrestato e fucilato.
Art. III. Sarà egualmente arrestato e fucilato qualunque individuo, che cinque giorni dopo la pubblicazione del presente ordine fosse convinto d’aver nascoste delle armi, dopo averne fatto uso contro le truppe di S. M. I. e R.
Art. IV. Il generale capo dello stato maggiore, ed i generali comandanti i diversi corpi di truppa che sono nel Tirolo, sono incaricati dell’esecuzione del presente ordine, che verrà pubblicato ed affisso in tutte le Comuni del Tirolo.
«Dato dal nostro quartier generale del Tirolo li 12 novembre 1809.
«EUGENIO NAPOLEONE.»
Un comando urgentissimo dell’imperator Napoleone chiamava in questi giorni a Parigi tutti i di lui congiunti di sangue, e tutti i membri della famiglia imperiale, per comunicar loro, come si seppe dappoi, l’improvvisa e memoranda risoluzione risguardante la dissoluzione della sua unione con Giuseppina, e il novello maritaggio coll’arciduchessa d’Austria Maria Luigia, diretto, secondo lui, ad assicurare il futuro ben essere della Francia. Il vicerè pertanto, deposto il comando delle truppe francesi ed italiane del Tirolo in mano di Baraguey d’Hilliers, partiva dalle tirolesi stanze, e per la via del Friuli giungeva il 14 novembre a Milano, dove, spacciati alcuni urgenti affari del regno, viaggiava a Parigi.
L’ultima vittoria del nemico, l’unione delle due armate francese e bavara, e il vicereale decreto qui sopra riportato, generalizzavano finalmente un turbamento nei provinciali difensori, per cui ammutolivano. Qualche giorno dopo sorgevano essi ciò non ostante nella Passiria, guidati da nuovi ed arditissimi disegni, e tirati da fresche speranze. Quivi Andrea Hoffer veniva un’altra volta allucinato dal visionario Kolb. I costui fallaci o sognati avvisi, che le ostilità si fossero rinnovellate fra l’Austria e la Francia, e che gli austriaci avanzassero dalla Carintia, associati ai raggiri ed alle incitazioni dei perversi stranieri, ed alle notizie dei mali trattamenti commessi dall’insolenza de’ soldati contro i tirolesi, l’inducevano a concepire novellamente il pensiero, che più onorevole partito fosse il perire coll’armi in mano, che darsi in piena discrezione del nemico. Allorquando Hoffer faceva questa precipitosa risoluzione, mal sentita dall’Austria, il terrore della guerra erasi già nella Passiria novellamente risvegliato. I generali della Francia Rusca e Barbau imparavano, sì come tre mesi prima a suo malgrado Lefebvre, che lo sfogo dell’ira e della vendetta è malamente usato colla gente del Tirolo: i fatti che seguono il proveranno.
Penetrando i napoleoniani in due colonne divisi nelle due opposte estremità della Passiria, oggimai persuasi che i sollevati si fossero pacificamente restituiti ai loro focolari, e che la quiete vi fosse ristabilita, avidamente si abbandonavano alle rapine, ai saccheggi, alle esorbitanti pretese, al taglieggiare, alle ingiurie, e ad altre azioni vendicatrici, come suol fare solitamente una vincitrice soldatesca nei paesi conquistati col ferro e col sangue. Irritate le popolazioni da questo feroce procedere, anzichè intimorire, levavano a gara, e al suono tremendo delle campane a martello rientravano tumultuosamente nell’orror della guerra, rinnovellando i prodigi del pristino coraggio. Genti disperate, guidate da capi anche più disperati, facevano l’estreme prove di valore e d’inaudito eroismo. Non mai Rusca e Barbau si trovaron ridotti a sì duro passo, e a fronte di sì avversario furore; non mai videro davanti al loro sguardo, avvezzo alle battaglie, spesseggiare fra le proprie squadre le uccisioni e le perdite, quanto intorno alla metà di novembre, nel suolo della tirolese Passiria. Nella sola azione del dì 14 i loro morti e feriti sommavano intorno a 500, e intorno a 1700 i prigionieri. Rapportandosi Hoffer alle già pubblicate sue esortazioni, con una novella dichiarazione, emanata da Sand di Passiria il dì 15, manifestava agli abitanti della valle Venosta e dell’Enno, e gl’inganni avuti da uomini che considerava per intimi amici, fra cui contava il sacerdote Donay, e i motivi che prima determinaronlo ad esortare l’ubbidienza, e ad ordinare la deposizione delle armi; notificava la ripigliata sollevazione di Passiria, la rotta in questa valle cagionata il dì antecedente ai nemici della patria; e a conclusione del suo dire:
«Impugnate, diceva egli, le armi, ed uscite di nuovo in campo con noi a battere un nemico, che invade tutto il nostro territorio, che spoglia le nostre case e le nostre chiese, che distrugge i conventi, che consuma ed arde le nostre campagne, che allo strazio ed al vilipendio accoppia i rubamenti e la vendetta, e che per fine in poco tempo priverà il paese della sua fiorente gioventù per sacrificarla nelle guerre che ha eterne colle potenze d’Europa. Combattete da valorosi, e se col valore fu liberata altra volta la patria, il valore preserveralla ancora, se massimamente sarà esso congiunto all’unione, e se non vi lascierete trasportare nelle vostre determinazioni dai falsi ed erronei racconti dei macchinatori. La gente levata di Passiria e d’altre valli, m’impose questo eccitamento, ed io dovetti emanarlo per non rimaner vittima dell’ira vendicatrice per cui si è sollevata, e per cui voi stessi correreste altrimenti pericolo di essere compromessi.»
Preceduti da queste parole sommovitrici che Hoffer fu costretto dalla forza a pubblicare, o pure, che altri pubblicavano in di lui nome, i sollevati fugavano dal suolo di Passiria un corpo dello scompigliato e confuso nemico, perseverando nello straziarlo, e nel fargli pagare un duro scotto dell’usata tirannia e de’ commessi misfatti.
Allargando i sollevati l’allarme nella Venosta, scacciavano in appresso i napoleoniani dal castello Tirolo, espugnavano Merano, e molte uccisioni cagionando colla spessezza de’ loro tiri, il prendevano alla ricisa d’assalto, s’impadronivano di un’aquila, e spandevano poscia le loro masse fino a Terlan, e in sulle alture di Ienesien. In questo fatto il general Rusca fu tocco di nuovo da una leggiera ferita. La volubile fortuna ordiva per altro in quest’ultima posizione un grave rovescio alla nuova e così dilatata sommossa tirolese. Fu suggerita al nemico, in queste strette ridotto, una via non solo atta al proprio scampo, ma molto propizia a prendere in ischiena una massa di sollevati. Ei mise ad esecuzione l’avuto suggerimento, e cagionolle una perdita significante. Pietro Thalguter, uno dei primarj capi che la guidava, veniva traforato da più palle di moschetto, le quali il traboccavano a terra, facendogli veder l’ultimo de’ suoi giorni.
Lo sfogo della rabbia tirolese imperversava eziandio nella valle dell’Enno superiore. La strage, che anche in questa valle e in quella di Winschgau si operò dal dì 14 sino al 23 di novembre, è stata veramente grande, inudita e tremenda. Da un lato combatteva una soldatesca dominata dall’incentivo di freschi trionfi, dallo sdegno e dalla vendetta; dall’altro una gente d’incomparabile ardire, che avea per guida la disperazione, e che era spinta da una ferocissima ira, passione che le faceva travedere la natura delle conseguenze, e la grandezza del suo precipizio. Le truppe napoleoniane, guidate ed animate da ben agguerriti capitani, penetrando inavvedutamente in certe strette anguste del Wintschgau, venivano quivi all’improvviso assalite da’ tirolesi sfilati in sui torreggianti monti che le rinchiudono. Coi colpi a punto fermo tirati dalle loro carabine, con alberi recisi dalle radici e con grossi macigni che dirupavano, le disordinavano, le travagliavano, le trucidavano a segno che non solo si davano esse prigioniere, ma, veggendosi tanto soppressate gridavano eziandio pietà, misericordia. Maravigliosa cosa era poi il vedere come le donne, inasprite anch’esse e mosse dall’impeto comune, contribuivano a spogliare dei loro archibugi, dei mantelli e delle giberne i prigionieri soldati. Noi stessi confermammo questo fatto colla vista di una parte disarmata del 53.º reggimento di linea francese, passata il 6 dicembre da Rovereto, i cui soldati sopravvissuti alla mortalità di quelle battaglie, narraron qui per filo e per segno gli straordinari accidenti delle medesime, dichiarando ben anche, che se in mezzo alla mischia folgoreggiava nei tirolesi la rabbia e il furore, subentravano poscia nei loro animi verso i francesi e gl’italiani i sentimenti d’umanità, con cui furono largamente trattati durante la loro prigionia, e per cui queglino si meritarono la gratitudine, massimamente degli ufficiali, dei quali molti ne albergò il comandante Hoffer nella sua casa in Sand.
Altri fatti d’armi accadevano nel medesimo intervallo in fra le strette di Landeck presso Prutz e presso Tölens. I conduttori Firler, Inbile e Bergmann, colle capitanate loro masse insegnavano col ferro e col fuoco alla colonna del general Razlovich presso Imbst, e nella valle di Patzau, che il Tirolo non era ancora vinto, che la fama non avea ancora fatto suonare nel mondo tutte le di lui vittorie, e con disperato valore cagionavale pertanto una perdita significante, facendole per tal modo pagare il fio dell’insolentire. Altrettanto accadeva, in sull’entrar di novembre, nei distretti di Hertenberg e di Ehrenberg, nella valle superiore dell’Enno. Ma qui la resistenza tirolese in sulle prime spiccata, venia soffocata dalla preponderanza dell’oste bavarese, la quale di mano in mano ch’estendeva il suo avanzamento, uccideva, incendiava, taglieggiava, demoliva fortificazioni, e commetteva molte altre cose, dettate in vero dalla più aspra vendetta. In conseguenza di ciò il generale conte Obernsdorf piantava il dì 10 la sua stanza a Larmos; il maggiore Waibl occupava il dì 12 Reiti coi cacciatori, e il generale Lagrange s’impadroniva di Füssen.
Per mantenere possibilmente l’ordine dei fatti negli istorici nostri ricordi, dobbiamo sospendere alcun poco il racconto sull’esito della sollevazione, che ancora ardeva nel Tirolo tedesco, e ripigliare il filo degli ultimi avvenimenti del Tirolo italiano. Dopochè la massa difenditrice avea abbandonato le trincee di Lavis, e s’era sbandata poscia dai monti che cingono Bolzano, le ciurme dei fuorusciti e disertori che il Tirolo italiano infestavano, si concentravano ed annidavano in numero di oltre a 400 nelle valli di Non e di Sole, e nelle Giudicarie. Non più a contatto questa ciurmaglia colle masse dei veri difensori, non sapeva a qual partito appigliarsi. Nella disperata situazione lottava fra due partiti: quello cioè di sottrarre la vita alla spada della punitrice giustizia, e quello di procurarsi il modo per avere il necessario alimento. Pel primo avrebbe voluto eternare la sollevazione, nel che omai svanivano le sue speranze; pel secondo continuava a molestare con militari contribuzioni i Comuni, le cui casse erano affatto esauste per le moltiplici belliche spese già da essi anteriormente incontrate.
Le incessanti pretese, ora di danaro, ora di vettovaglie, ora di scarpe e vestiti, erano divenute negli ultimi d’ottobre e nei primi di novembre al tutto insopportabili alla città di Riva, nella quale fino dall’albeggiare del 31 ottobre erano entrati circa quaranta individui armati sotto l’insegna del capitano Nocher, atterrando la porta detta Montanara, e minacciando alcune case del sacco. Stanchi quei cittadini rettori di tante molestie, che ultimamente venivano date, non più sotto colore di difendere la patria, ma colla prepotenza delle armi e della forza, ed avvertiti di soppiatto da un capitano d’una compagnia di simil gente (ravveduto, e deciso di ravviarsi a più diritto cammino), che la disperata gente ruminava di dare il sacco ad alcune delle più agiate famiglie, entrarono nella ferma risoluzione di dar di piglio alle armi per iscacciarla. Veggendo che un simile espediente fruttava, rinvigoriron alquanto la lor civica guardia, per salvare la città da ogni ulteriore attentato che far quella volesse. Il bavaro commissariato generale con suo proclama de’ 7 novembre manifestò ai rivani la propria soddisfazione per l’adottato partito, e raccomandonne l’esempio alle altre città e ai villaggi del Circolo all’Adige, di cui esso avea la politica reggenza. Alla vista di questa guardia i malevoli da bel principio sbandavano. Ma spinti dalla fame, o tirati da malvagio talento, o dalla disperazione, calavano di quando in quando dai vicini colli alla pianura, e ricomparivano a minacciare del sacco ora la città, ora l’erme case campestri, che le giacciono d’intorno. Scontrando in quella il duro scoglio degli armati cittadini, rinculavano presto, desistendo dall’armi, e anteponevano gettarsi alla campagna, ove con meno difficoltà potevano mandar ad effetto i loro disegni. Venendo anche in essa impediti da’ cittadini nelle tentate rapine, la loro situazione diveniva sempre più disperata. Tormentati da tanti travagli, minacciati, e ovunque perseguitati dalle armi vincitrici delle confederate potenze, e grandemente atterriti dagli ultimi cangiamenti, circa quattordici di essi deliberavano di darsi spontaneamente nelle mani dell’autorità politica di Riva; a cui di fatti si presentarono, colla fervente preghiera di volere intercedere loro il perdono appresso il comandante del Tirolo italiano, stanziato in Trento; al quale vennero condotti per la via di Rovereto il dì 11, scortati da nove uomini della guardia sopraddetta.
Nei giorni 12 e 13 la città di Riva entrava in un novello trambusto: era minacciata novellamente e con maggior pericolo da una grossa masnada di tramalvagi che intorno alle sue mura erasi inopinatamente raggranellata; per la qual cosa alcune famiglie, spaventate dalla forte sua intimazione, presero tosto il partito di ricoverarsi, fino ad un nuovo ordine di cose, in Rovereto ed altrove. Tanta insolente caparbietà aspreggiò oltremodo i principali possidenti e mercatanti di Riva, i quali decisero d’ingrandire e meglio assestare la loro difesa, a fine di abbattere i disperati disegni degli sciagurati. Il dì 13 venne eretta una guardia di circa 500 individui, divisi in quattro compagnie. Carlo Figaroli, Giovanni Pernici, Lazzaro Temani, Francesco Meneghelli n’erano i capitani; Francesco de Lutti il comandante. Si associarono con Arco, Torbole e Nago, statuendo di prestarsi vicendevole assistenza nel caso che gli arrisicati malandrini venissero a molestare alcuno dei loro Comuni.
Volgendo il generale Vial il suo sguardo all’italiano Tirolo, scriveva da Bolzano il 12 di questo stesso mese al colonnello Gavotti, comandante in Trento, una sua lettera, e rispetto a questa sciagurata gente diceagli in essa così:
«Io farò un movimento retrogrado sulla mia manca, e farò purgare per mezzo di colonne mobili le valli di Unterthal, di Annone e di Sole sino al Tonale, quella di Rendena, le due rive inferiori di Annone e della Sarca, e le Giudicarie. Le truppe che si avanzeranno fino a Riva ritorneranno per Brentonico e Mori, e rimonteranno la riva destra dell’Adige fino a Trento. I briganti che desolano queste contrade, saranno inseguiti e sterminati. Il disarmamento si farà da per tutto, e la sicurezza sarà intieramente ristabilita in tutto il Tirolo italiano, e sopra tutta la frontiera del regno. Io non credo che il generale Baraguey d’Hilliers proverà degli ostacoli nel fare la sua riunione colle truppe che occupano Innsbruck. Noi possiamo considerare questa spedizione come terminata. Spero che non si avrà a tirare più un colpo di fucile, se non se contro i briganti, che possono ascendere a qualche centinaio, e che non sono tirolesi, ma disertori ed assassini, rifuggitivisi da tutti i paesi, e che non osano sperare perdono.»
La fama rapportatrice faceva suonare fra detta gente questo militare progetto, sicchè impaurita e tremante dileguava dalla pianura, ed iva ad infestare i paesi montani.
Giunta la metà di novembre, lasciava Vial la già sedata terra di Bolzano, e veniva a dar principio all’accennato divisamento. A quest’uopo un’ala della sua colonna valicava l’Adige per i ponti di Egna e di Salorno; ascendeva nelle Valli di Non e di Sole sotto gli ordini dei generali Peyri e Digonet. Alla sua comparsa gli armati disturbatori della tranquillità fuggivano alla dirotta, liberando dalle loro gravi molestie i paesi, nei quali veniva tosto effettuato il generale disarmamento, per così togliere loro ad un tempo i mezzi di un’ulteriore difesa. Un altro distaccamento di due incompleti battaglioni del quarto reggimento italiano di linea partiva contemporaneamente da Rovereto coll’idea di liberare intieramente la città di Riva e i paesi delle Giudicarie dagli anzidetti individui, che ancora o li molestavano colle minaccie, o li disastravano coi fatti. A quest’uopo comparve in Riva il 18 novembre il general Digonet. Di mano in mano che i due battaglioni avvicinavansi ai luoghi da quelli occupati e vessati, eglino scomparivano e maggiormente innalzavansi nei più alpestri villaggi. Avvisato il comandante, che una grossa manata dei medesimi erasi annidata in Tione, commise al capitano Carrara di gire subitamente a quella volta col battaglione da lui comandato, di arrivar nel paese alla celata pria che aggiornasse, e di circuirlo in modo, che nessuno degli annidatisi potesse fuggire, procurando di tutti la prigionia. L’ordine ebbe l’appuntata esecuzione, desiderabile per un verso, ma orribile per i fatti che ne successero. Venti individui della guardia cittadina di Riva, diretti da Giovanni Cofler, servivano di guida a questa fazione. I napoleoniani, sotto la neve che a grosse falde cadeva, avanti l’alba del dì 25 pervennero in Tione; una parte de’ medesimi circondò il paese, e l’altra catturò entro le case gli sciagurati, che non avendo presentita la fatale tempesta, caddero nelle mani dell’arrabbiato nemico, ad eccezione di alcuno, a cui in mezzo all’insorto trambusto riuscì di scampare in sulla sommità degli scoscesi monti omai coperti di neve. Secondo la nota pubblicata in istampa il 28, sommavano a cinquantadue, contandosi fra essi ventinove disertori dei reggimenti italici, tranne cinque di reggimenti francesi; gli altri erano fuorusciti italiani, compresi otto tirolesi, un polacco e due tedeschi, macchiati sì gli uni che gli altri di delitti e di atroci malvagità. Appena catturati vennero condotti a piccioli drappelli poco fuor del paese, e passati per l’armi. Il loro capitano Santoni, per volere del comandante, fu spento ultimo fra tutti. Al miserando spettacolo di quei che morivano, si accoppiava lo spettacolo lagrimevole di quelli che ancora gridavano pietà, misericordia, perdono; ma le grida di pietà e di misericordia non erano ascoltate, nè il perdonare dipendeva da chi la sentenza doveva eseguire. Un esempio di questa ferrea natura, preceduto da alcun altro di minore importanza, produsse il terrore in tutti gli altri malvagi, che il Tirolo meridionale armatamente ancora inquietavano, i quali colla fuga sott’altro cielo ben presto si sottraevano ad una inevitabile morte. Per tal modo ebbero fine in questa regione le turbolenze e le inquietudini, e cominciò a risplendere la stabile tranquillità, che venne eziandio consolidata e dalla stagione inclinante all’inverno, e dalla neve di fresco caduta in sui monti, non che dai militari presidii che nelle città e ne’ paesi conservarono per alcun tempo la vigilanza.
Noi lasceremo intanto nella riacquistata tranquillità l’italiano Tirolo, e seguiteremo la narrazione degli avvenimenti, che disagiavano tuttavia il tedesco. Con molta maraviglia e sorpresa udiva il supremo generale Baraguey d’Hilliers i moti novelli che grandemente rumoreggiavano nella valle di Venosta, di Vintschgau e di Passiria; udiva la notizia delle sconfitte ivi sofferte da’ suoi, del sangue inutilmente sparso, e delle uccisioni fatalmente avvenute. Accendevasi pertanto nell’animo suo una ferocissima ira, che ben tosto moderava col sentimento della pietà, che in lui destavasi considerando, che alla nuova sommossa furono i tirolesi indotti dagli eccessi abbominevoli dei suoi soldati, e dalle fantastiche illusioni dei renitenti seminatori della zizzania, e dal sommo ardire, prodotto dalla insita e dominatrice passione, per cui essi non sapevano misurare i pericoli, che lor sovrastavano. Nel contrasto di questi sentimenti sceglieva il partito di frenare quella gente non meno ostinata che valorosa ed ardita, usando più che il terrore la dolcezza, la momentanea condiscendenza, ed i mezzi della religione, secondando così la natura del popolo tirolese, nella fiducia d’ottenere più presto e con maggiore agevolezza l’intento. Con questo salutare proposito trasferiva il dì 24 il suo alloggiamento a Merano, e quivi chiamava avanti di sè il Padre guardiano de’ Cappuccini, manifestandogli la voglia di parlare ad Hoffer, per sentire dalla di lui bocca la causa che partoriva l’ultima risoluzione dei suoi compatriotti, e qual intenzione nutrisse nell’animo rispetto all’avvenire. Contento il buon frate di giovare alla patria, recavasi qual portatore di pace nella valle di Passiria, e fattosi innanzi ad Hoffer, raccontògli a minuto l’avuta missione, e fece invito a lui ed al suo confidente Giovanni Holzknecht, in nome del generale, assicurandoli sulla data parola, che non verrebbero molestati, e consigliandoli a secondare le pacifiche e generose intenzioni del potente nemico. Le parole del ministro di Dio erano per verità molto efficaci al sentimento religioso di Hoffer; ma la poca fede che aveva d’affidare sè stesso alle mani nemiche, congiunta alla molta influenza della moglie sua, il distolse dall’accettazione. Andovvi invece Holzknecht, accompagnato da Hoffer sino a certo punto della strada conducente a Merano. Baraguey d’Hilliers, deponendo la gravità dell’autorevole grado, accolse Holzknecht con veramente singolare bontà; gli significò la più viva riconoscenza pel buon trattamento usato dai tirolesi verso i prigionieri francesi ed italiani, ed i feriti caduti nelle loro mani: il mise a parte della sua mensa, e in tal occasione gli disse parole piene di cortesia e di facile arrendevolezza, e, magnificando il tirolese valore, procurava di persuaderlo con maturo discorso, che il valore era speso sconsigliatamente, e ora senza alcun pro; che l’ultima sommossa era stata piuttosto risoluzione da infermi, che argomento di assennati; che gli uomini ragionevoli devono mutare consiglio secondo il mutar degli eventi; che la causa dell’osservata lor religione non poteva nè doveva essere assolutamente mescolata colla causa dello stato; che all’onore, all’innato amor della patria, e al dovere verso l’amato monarca avean già esemplarmente ed esuberantemente soddisfatto; e che altro lor non restava che pensare alla salvezza della vita e delle sostanze, ed adattarsi con pronto e salutevol consiglio ai voleri della fortuna, che partorito aveva gli ultimi insuperabili avvenimenti. Holzknecht sembrava commosso dal grave e dolce favellare del generale, il quale coronava le affettuose dimostrazioni col dargli una salvaguardia per ritornare in Passiria. Egli ne riportava dettagliata la relazione all’amico Hoffer, che ansiosamente aspettava. L’interessante abboccamento spargevasi poco stante fra i sollevati; metteva negli animi un’impressione pressochè generale; slacciava fra i capi la promessa della tenace difesa, e alcuni di essi, approfittando della palesata bontà di Baraguey d’Hilliers, gli si presentavano rassegnatamente, chiedendogli il passaporto per ire nell’Austria. Il sedicentesi sacerdote Roberto Markenstein di Dillingen, che fra i seguaci di Hoffer s’intruse; il sacerdote Donay suo gran confidente, si contano fra quelli. Quest’ultimo compì la sua carriera con una capitolazione da lui conchiusa nella valle Venosta, che fu in vero apportatrice del tracollo all’ultime speranze tirolesi, e levò tutt’ad un tratto dalla sua fronte quella maschera, che con astute apparenze avea per molti mesi ingannato il buon Hoffer.
Questi ultimi accidenti cambiavano nell’occidentale Tirolo tedesco l’aspetto delle cose, e producevano alla fine di novembre nella valle di Vintschgau l’unione delle bavare truppe, che guerreggiavano nella valle superiore dell’Enno colle truppe napoleoniane, che agirono e nella stessa valle di Vintschgau, e nelle valli di Venosta e di Passiria. Qui Hoffer si accorgeva finalmente, che i capi cominciavano ad essere avvinti dal timore; qui riapriva gli occhi alla ragione, e ravvisava davvero ch’egli restava ognor più isolato alla persecuzione dell’armi nemiche, ed abbandonato alla testa di un’impresa, in cui l’aveano negli ultimi fatti strascinato forzatamente e la folla degli affratellatisi venturieri, e gl’inganni di Kolb, e gli stessi suoi valligiani. Ridotto a questi estremi, e già disperando delle cose della patria, volgeva il pensiero alla sicurtà della persona. Terminando novembre, terminava il filo da cui pendevano le sue speranze. Ei dileguossi improvvisamente. La sua sparizione, e il luogo del suo rifugio, noto a pochi amici, che di soppiatto il provvedevano dell’alimento, divennero per alcun tempo un arcano impenetrabile e al nemico, a cui tanto interessava la di lui cattura, e agli stessi tirolesi, che anelavano la sua salvezza, e un oggetto d’universale curiosità.
Il famoso Kolb continuava all’incontro gli intempestivi raggiri. Col mezzo di questi egli accozzava una grossa schiera di sollevati nel Circolo dell’Eisack, e riusciva il 25 novembre ad interrompere con essa la comunicazione delle truppe confederate fra Bressanone e Bolzano; per lo che il torrente dei mali, che poco prima imperversava nelle valli di Venosta, di Passiria e di Vintschgau, traboccava il furibondo suo corso in quella dell’Eisack. Quanto ne fossero adirati i comandanti nemici è facile l’immaginarlo. Quest’ultimo fatto in ispecie, dimostrante un eccesso di straordinaria tracotanza, mal udita dall’austriaco imperatore, gl’inviperiva e rendevali disumanati. Io fremo in rammemorare le orribili barbarie, ond’esso fu origine. Le truppe napoleoniane saltando fuori dagli alloggiamenti dei luoghi vicini, guidate dal generale Severoli, si scatenavano il dì 6 dicembre in sulle insanguinate sponde dell’Eisack. Con furia vendicatrice urtavano alla gagliarda, e davano terribilmente di cozzo ne’ sollevati, seminando il terrore e il disordine nelle sparpagliate loro squadriglie. Gli uni combattevano per disperazione scompigliati e sorpresi; gli altri ordinatamente per la vendetta, per la cupidità della gloria, e coll’intento di veder imminente la totale sommissione. Da prima i tirolesi piegavano, poi i pieghevoli parean superiori. Da ultimo i forti petti cedevano al gravissimo rombo e alla tempesta del formidabile nemico. La potenza francese vinceva, e vincendo sbaragliava, e metteva in piena rotta ed in fuga la massa tirolese, avvilita e confusa. Le vincitrici colonne napoleoniane riprendevano furiosamente molti villaggi attornianti Bressanone, e non contente del sangue e del sacco, appiccavano il fuoco alle case, spingendo di forza alcuni abitanti ad essere vittime delle fiamme divoratrici. Questo furibondo e barbaro procedere del nemico, la saputa fuga di Hoffer e di molti altri capi, scuotevano finalmente l’animo dell’inesorabile Kolb, che non avendo più occasione di confidare nei suoi visionari rimedii, e veggendo che il resistere alla piena era cosa impossibile, pensò alla fine di imitare l’esempio de’ suoi colleghi, ed afferrando fra gli stenti e la fatica con alcuni suoi seguaci la via dei carintiani monti, salvo con essi metteva piede fortunatamente in Vienna.
Mentre nelle terre di Bressanone si rappresentava questa tragica scena, un nuovo romore di guerra si svegliava per le stesse cause nella Pusteria, inconsideratrice anch’essa dell’inevitabile pericolo a cui si esponeva. Giuntone l’avviso al generale superiore Baraguey d’Hilliers, commetteva senza esitazione ai generali Broussiers e Moreau l’impresa di frenarla colle truppe al loro governo affidate. Egli disponeva, minacciava e puniva, per intentare il generale pacificamento, conservando le sue stanze nel Tirolo meridionale alla testa di un’armata napoleoniana; e Drouet comandava l’armata bavarese, e ristabiliva l’ordine e la calma nel Tirolo settentrionale. Le sorti del Tirolo dipendevano adunque a questi giorni dal potere di questi due valenti capitani della Francia. Drouet, ottenuto pel primo l’intento, occupavasi in aver nelle mani i principali capi, a fine di rassodare la ricuperata tranquillità, e togliere le cause che potrebbono ulteriormente frastornarla. Per di lui consentimento il bavaro generale Deroy, stanziato in Hall presso Innsbruck, con una grida del dì 9 dicembre assegnava una taglia di duecento fiorini a chi avesse consegnato al comando militare alcuno dei due sacerdoti Sciardo Haser, curato di Strass, e Benedetto Haas, perchè, secondo la grida diceva, erravano tuttavia predicando l’allarme in alcuni luoghi, e segnatamente nella valle di Wintschgau; ma per felice loro ventura fuggirono destramente il pericolo delle nemiche investigazioni, e pervennero a salvamento sull’austriaco territorio. Speckbacker, che durò nella difesa entro la valle dell’Enno inferiore fino agli estremi, e sintanto che avea difensori da guidare, fu molto perseguitato dalla forza indagatrice, e riuscì a salvar la sua vita in una maniera veramente prodigiosa. La medesima sorte spuntò il cappuccino Haspingher, il quale, allorchè non metteva più in forse che la patria era prossima alla sua caduta, e che ogni mezzo da difenderla tornava frustraneo e inammissibile dalla ragione, ricoverossi nella Svizzera.
Alla dolce moderazione saggiamente usata da Baraguey d’Hilliers deesi attribuire il sedamento delle ultime turbolenze delle valli di Venosta, di Vintschgau e di Passiria. Laonde se biasimato l’abbiamo nel capitolo terzo di queste Memorie, la verità e la riconoscenza esigono che sia tramandata ai futuri la lode meritamente dovuta alla sua posteriore condotta, correggitrice del fallo, e d’esemplare avvertimento a quei capitani che devono combattere sollevate popolazioni. Se così avessero agito prima Lefebvre, e qualche bavaro comandante, e poscia Rusca e Broussiers, quanto sangue non avrebbero essi risparmiato nel Tirolo alle guerreggiantivi armate della Francia e della Baviera? Quante vittime, quante stragi e quanti danni non avrebbero evitato a questa infelice provincia? Seguendo il savio generale il consiglio adottato nelle menzionate tre valli, volgevasi novellamente ai tirolesi, e con un suo proclama così loro, rispetto agli ultimi movimenti, alquanto sdegnato parlava:
«Tirolesi!
«Entrando nel vostro paese coll’armata francese, io vi ho trovati sotto le armi; io ho creduto che voi foste traviati, ma non colpevoli, e che per farle cadere dalle vostre mani avesse bastato mostrarvi il trattato di pace, ed il generoso perdono che fu a vostro favore stipulato. Penetrato dalla magnanima generosità dell’imperatore mio sovrano io ho spinta l’indulgenza fino all’ultimo grado. Io ho vinto, ma senza castigare la resistenza che alcuni di voi hanno fatta a Mühlbach e a Merano, e quei francesi stessi che voi avete voluto torre di vita, tranquilli nei vostri villaggi hanno rispettato le vostre donne e le vostre proprietà. Il Pusterthal, il Wintschgau, il Passeir, che hanno mostrato maggior accanimento ed ostinatezza, somministrano un grand’esempio della moderazione francese; ma nel mentre che io riposava sui giuramenti di quelli tra voi che avevano i primi sentiti gli effetti della clemenza, io sono stato ingannato.
«Alcuni assassini, che paventano la pace, perch’essi non hanno altra speranza che nella guerra, che non avendo nessun asilo non hanno nulla a perdere, e si compiacciono delle disgrazie delle quali sono essi la cagione, hanno di bel nuovo sollevati i contadini dei contorni di Brixen, ed irritando le loro passioni con promesse, con minacce e con imposture, sono pervenuti a far loro riprendere le armi, quantunque avessero eglino ricevuto il perdono. Costoro sono stati attaccati, vinti, dispersi, ed il fuoco ha distrutto le case di coloro ch’essi hanno trascinato nei loro delitti.
«Tirolesi! approfittate di questo esempio terribile. Certamente per traviarvi e perdervi s’impiegheranno consimili emissarj e mezzi eguali; risparmiatemi il dolore di punirvi, e voi tutti proprietari, padri di famiglia, magistrati, ministri d’un Dio di pace e di misericordia, riunitevi contro questa ciurma di turbolenti, di disertori di tutte le nazioni, di uomini infamati d’ogni paese, e che alcuni Tirolesi non si vergognano di comandare o di seguire. Ecco quali sono i vostri veri nemici. Io non vi domando, che di rimanere tranquilli nelle vostre case. Le vostre proprietà, le vostre persone, la vostra religione, le vostre leggi, i vostri usi, i vostri pregiudizi tutti saranno rispettati, ma quelli tra voi che mancassero alla fede ch’essi mi hanno giurata, saranno esterminati. Tirolesi! per il vostro bene mantenete la vostra parola, ed affidate gl’interessi della vostra patria a Dio ed all’imperatore Napoleone!
«Dal quartier generale di Bolzano, li 9 dicembre 1809.
Il Colonnello Generale Comandante Superiore le truppe Imperiali e Reali Francesi ed Italiane nel Tirolo.
«CO. Baraguey D’HILLIERS.»
A questi giorni una discordia insorta fra le autorità civili e militari, che in Trento avevano la loro sede, soqquadrava nella civile amministrazione l’ordine delle cose. Il generale Vial, che in quella città aveva il superior comando militare, voleva avere il primato eziandio nel reggimento degli affari civili. Questo gli era contrastato da Enrico de Widder qual presidente del regio bavaro Commissariato, surrogato temporalmente al presidente conte di Welsperg. Egli adduceva, che non cederebbe le redini del governo senza ricevere un apposito comando dal re di Baviera suo signore, essendo tuttavia in forse se il Tirolo resterebbe aggregato al regno bavaro, o pur se assegnato venisse a qualche altro principe. Ambidue pertanto si affaccendavano nell’emanare ordinazioni ed editti, nei quali scorgevasi la contrastata autorità, perchè in opposizione gli uni cogli altri nello scopo e nel volere. La forza troncò il sorto disordine; il generale montato sulle furie ordinò minaccevolmente allo stampatore Monauni di non più stampare alcuna cosa del presidente Widder senza il di lui beneplacito. Da tal momento in poi il civile magistrato piegò la fronte a chi in quelle circostanze poteva più di lui, e rivolse altrove le sue ragioni. Questo avvenimento produceva per altro delle sinistre conseguenze nel corso de’ politici affari, che tanto rovesciati erano stati dalla guerra, e difficoltava la regolarità necessaria per la somministrazione alle truppe delle vettovaglie e de’ foraggi. Addimandato era dunque un sollecito rimedio, e questo apprestavalo nel Tirolo meridionale il generale Baraguey d’Hilliers. Esercitando egli pressochè quell’istesso dominio, onde fu investito nell’anno 1797 a Venezia, con un suo proclama dell’anzidetto giorno dei 9 dicembre, mandato fuori dalle sue stanze di Bolzano, comandava: che venissero erette commissioni amministrative in surrogazione a’ due sospesi commissariati bavari dei Circoli dell’Adige e dell’Eisack, le quali avessero ad esercitare le medesime incombenze; che la commissione del Circolo dell’Adige fosse composta del barone Sigismondo de Moll di Villa Lagarina in presidente; di Giuseppe conte Baldovini, Antonio barone Gaudenti, Luigi de Lupis, trentini; d’Isacco barone Eccaro da Rovereto, e Jacopo Steffenelli da Trento in segretario, a cui fu poco dopo sostituito Giuseppe Lutterotti da Rovereto; e quella del Circolo dell’Eisack, di Francesco de Riccabona da Cavalese in presidente, Giuseppe Rapp, Zaller, Giesner, conte Sarentheim, e Sandler in segretario; che gli eletti pel Circolo dell’Adige dovessero unirsi a Trento, e gli eletti per Circolo dell’Eisack a Bressanone il dì 20 dello stesso dicembre, per essere ivi istituiti nel rispettivo loro uffizio dai generali comandanti; che i due presidenti dovessero dargli relazione delle loro operazioni, autorizzandoli a prendere i titoli, le carte e i documenti necessari dagli archivi dei bavari commissariati, e a farsi consegnare da’ medesimi le ragioni della sostenuta loro amministrazione; e finalmente che tutte le deliberazioni fossero pronunziate in collegio a pluralità di voti, e nessuna fosse valida se almeno tre commissari non vi fossero presenti. A questa inaspettata disposizione sorgeva una maraviglia universale fra le genti del Tirolo, le quali vedevano in essa una verisimiglianza del temuto cangiamento.
Intanto entrava colla sua colonna il generale Moreau nella parte superiore della stormeggiante valle di Pusteria, e nella parte inferiore operava furiosamente Broussiers, quel feroce Broussiers che avea ancor piena la mente delle crudeltà da lui commesse nella sollevazione di Napoli dell’anno 1799. In questa valle scoppiava l’orribile nembo, che ogni barlume di speranza toglieva al Tirolo: in questa valle dovevano essere agitati gli ultimi vespri tirolesi. Lo sdegno, la crudeltà e lo spavento precedevano i napoleoniani battaglioni. Incredibile il furioso loro impeto, e piuttosto bestiali che inumani gli atti, che all’entrata vi commettevano. Dovunque scontravano resistenza saccheggiavano, incendiavano, opprimevano, atterravano ed uccidevano. Infelici coloro, che con qualche arma cadevano nelle loro mani! La vita, che per brevi istanti veniva loro donata, era vita peggiore della morte: pria di morire erano in mille guise martorizzati. Le cronache di Vindischmatrey ricorderanno con orrore alla posterità la giornata del 24 dicembre, in cui vi poneva piede con una furia immensa e violentissima un corpo di sei mila uomini, avente comandante il furibondo Broussiers. I sollevati, ridotti ivi a piccol numero, ed anche questo senz’ordine ed intimorito, si erano opposti virilmente; ma ben presto furono sforzati a cedere la difesa terra allo spaventevole impeto della parte avversaria, da cui con eccessivo furore erano per ogni dove perseguitati e tempestati. Alcuni di essi cadevano sgraziatamente armati nelle sue mani, ed a norma del sovrano decreto venivano tostamente moschettati. Inclinato l’animo di Broussiers ad aggiungere ferocia a ferocia, ordinava che i disgraziati prigionieri dell’abbottinato paese fossero condotti avanti le rispettive abitazioni, e che in tale luogo venissero passati per l’armi alla presenza dei loro congiunti, de’ vicini, e per sino de’ fanciulli tradotti dalla forza ad essere spettatori di quelle orribilità, acciocchè imparassero in quale barbaro modo si faceva la punizione. Sfogata così Broussiers una parte della sdegnosa sua vampa, facevasi poscia con un nervo della sua gente, omai addestrata nelle crudeltà, a compiere il barbaro sfogo nella Pusteria superiore, in aiuto del generale Moreau. La rabbia dei napoleoniani eccitava la rabbia dei pusteriani, e faceva ancora suonare le armi e le grida di una forsennata vendicatrice difesa. Il furore cagionava le morti, e le morti cagionavan furore. La città di Bruneck, capitale della pustera valle, era l’ultima spettatrice, in queste tremende giornate di distruzione e spavento, d’un orridissimo quadro, che sarà eterna memoria dell’estremo sforzo a cui venne un popolo reso feroce per la ferocia altrui. Basti dire, per farsi un’idea del successo, che poche centinaia di valorosi pusteri, indotti e strascinati al terribile cimento dai tristi sommovitori, che ancora erravano per le terre della disgraziata provincia, ebbero l’arrischievolissimo ardimento di abbaruffarsi manescamente nelle cittadine contrade contro migliaia di vigoreggianti ed inferociti soldati a piedi e a cavallo. Quale carneficina ne sia avvenuta, può di leggieri pensarlo il lettore. Intorno a cento in pochi momenti rimasero vittime delle baionette e delle spade fulminatrici. Oh la pietosa e commoventissima scena nell’osservare, al ricomparir della calma, i cittadini usciti a riconoscere o il padre, o il figlio, o il fratello, o il marito, ancora nuotanti nel proprio sangue! Le disperate strida salivano insino al cielo, e i pianti loro avrebbero impietositi persino cuori di pietra. Gli stessi nemici non potevano non compiangere l’orrido spettacolo, e commiserare il doloroso stato dei superstiti, incolpando il forsennato loro talento, se a tanto era salita la militare vendetta.
Con questo fatto gli animosi pusteri, non per difetto del proprio valore, ma per opera della forza sommergitrice, terminarono infelicemente in sul finire dell’anno quella tirolese sollevazione, che con tanta felicità, e colla maraviglia del mondo, a difesa della patria essi aveano nel loro territorio incominciata. E qui terminarono in conseguenza gli strepiti delle armi, e i mali infiniti che le medesime produssero al Tirolo, per l’intento di ritornare sotto gli auspici dell’austriaco dominio, e con ciò riavere l’antica sua costituzione, e conservare, come si andava dicendo, la stretta osservanza della sua religione.
Io non so quello che ne diranno gli uomini leggendo queste Memorie, scritte vicino alle cagioni ed ai fatti che le dettarono. Molti biasimeranno facilmente la risoluzione dei Tirolesi, popolo tanto affezionato alla Casa d’Austria, e tanto sviscerato per la sua libertà; ma dalle menti non offuscate da dominanti passioni, dalle menti indagatrici del pubblico bene, dagli uomini conoscitori dell’amore di patria, e dal giudizio imparziale della posterità, ei verrà certo, s’io non vo errato, onorevolmente compatito. La libertà è cosa preziosa, è cosa desiderabile a tutte le nazioni; e i tirolesi levarono, e si esposero al tremendo periglio, quando potevano con fondamento promettersi il potente braccio dell’Austria, ed avevano quindi una speranza verosimile di sostenere l’impresa. La fortuna non ha secondato i fervidi loro voti, perchè volle stendere ancora le sue ali al francese conquistatore. Fallace consiglio dei tirolesi fu per verità quello di persistere nella difesa, quando l’Austria era già depressa e pacificata colla Francia, o pure quando l’arciduca Giovanni fece loro sentire la voce esortatrice del virtuoso imperatore Francesco. Ma come mai, senza la forza, puossi ridurre all’ubbidienza o frenare un’armigera nazione già afferrata dall’ira e dallo sdegno? Concludiamo, che questa non era ancor l’ora destinata dai cieli, nella quale i tirolesi dovessero tornare a quell’anelato dominio, sotto di cui vissero i loro antecessori per la lunghezza di più secoli; e per fine che il Tirolo ha dovuto perire piuttosto per altrui cagione, che per colpa propria, piuttosto per volere della fortuna, che per mancanza di virtù, piuttosto colla generale compassione, che col biasimo delle genti, e, quel che è più, senza che diminuita si fosse la fama del suo nome, e senza che la grandezza delle immortali sue gesta venisse menomamente ecclissata, poichè ad esito felice ma disonorevole egli antepose una fine infelice, ma generosa, e degna veramente di un’eterna ricordanza.