Primi fatti d’armi dei tirolesi della valle di Pusteria contro le truppe bavare e napoleoniane. Comparsa degli Austriaci nella pustera valle. Gli abitanti di Passivia entrano nella mischia; Andrea Hoffer li guida, ed assume il supremo comando. Stratagemmi tirolesi per vincere l’ostinato nemico. La sollevazione si fa generale. Zuffa intorno e dentro la città d’Innsbruck. Eroico coraggio del bavaro colonnello Ditfurt e sua morte gloriosa. I tirolesi s’impadroniscono d’Innsbruck; indi inseguono i bavari verso Hall, dove questi si arrendono. Innsbruck è assalito da’ bavari e dai napoleoniani pria battuti in Pusteria e fra Sterzing e Gossensass. Un nuovo campana a martello ne dà avviso a’ levati tirolesi. Questi corrono ad affrontarli; li vincono. I vincitori dettano a’ vinti una capitolazione per mezzo dell’austriaco maggior Theimer. Vantaggi riportati dai tirolesi ne’ giorni 10, 11, 12, 13 d’aprile. Loro allegrezze per le vittorie ottenute, e all’arrivo degli Austriaci condotti dal tenente maresciallo di Chasteler. Ordinamento dei sollevati.
Gli abitatori della Pusteria furono i primi, che per liberare la soverchiata patria sollevarono nella provincia lo spaventevole grido dell’armi; i primi che all’avvicinantesi armata austriaca prestarono un efficace soccorso; i primi a spiegar lo stendardo della costituzione tirolese, e ad accendere la romoreggiante fiamma della sollevazione, la quale veniva non poco fomentata dall’antiguardo imperiale, che alla loro volta difilava a gran passi. Quell’animosa gente, guidata dall’idea lusingatrice di mantenere incorrotto l’antico sistema costituzionale, attaccava il 10 aprile con un fuoco vivissimo i bavari, intenti a distruggere il ponte di San Lorenzo, luogo a pochi minuti da Bruneck, per impedire l’avanzamento agli austriaci; circondava la stretta di Mühlbach, e costringeva gli stessi bavari a indietreggiare sopra Schabs alla sponda destra dell’Eisach. Confinata la bavara milizia dal tirolese valore nell’accennata postura, riceveva bensì dalla via di Bressanone un rinforzo di due battaglioni di fanti, ed uno squadrone di dragoni, ma nè pur quest’ajuto le giovava a rintuzzare l’impeto de’ sollevati; non ostante, sdegnando essa oltremodo d’essere vinta anzichè vincitrice, determinava il dì 11 dell’aprile di ricuperare con un novello cimento l’onore perduto. Ricominciava pertanto la zuffa presso il ponte di Ladritsch con una indurita ostinazione. In mezzo al bollor dell’azione, che a suo danno già omai inclinava, veniva per sua buona ventura rafforzata da un corpo di 3000 fanti e 600 cavalleggieri di Napoleone, proveniente dall’Italia per la via dell’Adige, e indirizzato per Augusta. Questo grosso nervo di gente, sopraggiunto all’impensata, rendeva pericolosa la situazione dei tirolesi, che ascoltando i dettami della prudenza, determinavano di retrocedere, tanto più, che altrimenti correvano rischio d’esser assaliti da tergo.
Perveniva intanto al tenente maresciallo marchese di Chasteler, condottiero dell’ottavo corpo dell’armata imperiale incamminato pel Tirolo, la notizia dei fatti gloriosi dei tirolesi contro l’armata bavarese già posto in iscompiglio. Accelerava egli perciò il suo avanzamento nel pustero territorio, volgendo il cammino da Sillian verso le alture di Schabs, e già nel giorno suddetto alcuni cacciatori, ed un drappello di dragoni del reggimento Hohenzollern calavan dal monte, porgendo ai prodi tirolesi la necessaria assistenza, onde innestando all’allegrezza un raddoppiato coraggio, riattaccavano i bavari e i napoleoniani senza esitazione. Grave e micidiale fu la pugna, che giunta per parte dei bavari e napoleoniani a quel grado di resistenza, che non era dell’umano potere il continuare più oltre, accoppiandosi alla resistenza degli avversari una maggioranza di forze, gli astrinse ad abbandonare l’insanguinato terreno, e a ritirarsi sopra Mittevvald verso Sterzing. In questo mentre Chasteler giungeva ad occupare le alture di Schabs, ed il villaggio di Mühlbach con un corpo di cacciatori, coi due reggimenti di Hohenlohe-Bartenstein e di Lusignano, con tre squadroni di cavalieri di Hohenzollern, e coll’artiglieria, e l’avvicinamento di un altro corpo d’armata, che sotto la direzione del tenente maresciallo barone di Jellachich avea già occupato il Salisburghese. L’arrivo di queste truppe allargava le speranze dei tirolesi, e rafforzava viemmaggiormente il loro coraggio. Con questo saliti i monti, che a destra e a sinistra fiancheggiano la strada conducente a Sterzing, si facevano a bersagliare il dì 12 novellamente l’oste bavara-napoleonica, che alla sua volta aveva i presti passi indirizzati. La continuata pioggia delle piombate, che fulminava orrendamente gli alleati durante il loro cammino, portava il terrore e la morte nelle loro file; essi studiavano perciò la ritirata per trovare salvezza in Sterzing, e già la testa della loro colonna vi entrava, quando giungeva la gente delle giurisdizioni di Sarenthal e di Passivia, guidata da Andrea Hoffer. Questi montanari, che con accelerati passi aveano testè varcati i monti Saufen, cooperavano non solo a peggiorare lo strazio de’ fuggenti, ma ad impedire eziandio che tutta la colonna potesse in Sterzing por piede. La piccola parte di bavari, che per questo fatto rimase disgiunta da’ suoi, dovette voltare ancora la fronte, e perseverare quindi arrovellatamente in una disperata difesa, sino a tanto che le riusciva di rifuggire in una posizione nelle paludi di detto paese, per prendere nella vicina notte qualche riposo.
Nel silenzio di quella notte i condottieri del piccolo esercito di Francia e di Baviera congiuntisi in Sterzing, deliberavano in sul partito da abbracciarsi nella susseguente giornata. Sapevano la moltitudine levata in armi, da cui venivano ognor più attorniati, e l’esperienza aveva loro già insegnato che combattevano con gente intrepida, valorosa e non pieghevole al minacciare dell’armi, e quindi concordemente determinavano, per evitare il maggior pericolo sovrastante alle lor truppe, di volgere il cammino verso la città d’Innsbruck.
Giunti i bavari e i napoleoniani a poche miglia da Gossensass, meglio si accorsero che il torrente, da cui erano minacciati, traboccava ormai per ogni dove, e facevasi maggiormente precipitoso ed irreparabile. Gli abitanti delle valli di Schmiern, Gschnits, e di diversi altri luoghi, salite celatamente le alture costeggianti la strada che da Sterzing conduce a Gossensass, mandavano tutt’ad un tratto una spessissima grandine di archibugiate, che molto straziavali, ed incalzavali nella loro ritirata, la quale veniva per soprassello impedita dalle rotture, fatte da’ tirolesi in molti luoghi della strada, per cagionar loro maggiore il disordine. La parte, che s’era rifuggita nelle paludi, venne anch’essa salutata alla punta del giorno 13 dalle piombate che sopra di essa scagliavano i sollevati, che il giorno avanti aveanla bersagliata. Veggendola questi ridotta in situazione tale, da cui non poteasi omai sottrarre che con la morte, le intimaron la resa. Il comandante che la guidava, mosso da un fallace sentimento d’onore, non volle acconsentire, e con disperata risoluzione riaccendeva la zuffa. A tanta ostinazione del comandante bavaro rispondeva l’ostinazione dei tirolesi; il fuoco degli archibugi e dei cannoni imperversava con un’infernale operosità, e le piombate piovevano da ogni dove sui bavari schierati in ordine quadrangolare. Trasecolavano i tirolesi in veggendo e tanta resistenza e tanta indifferenza alla strage e alle morti, e perseverando essi pure nella naturale ostinazione, alcuni tra loro, mentre gli altri continuavano il fuoco, mandavano ad effetto questo stratagemma, da certo Gogl accortamente immaginato: caricarono tre grandi carri di fieno; alcuni di essi si posero al di sopra, ed altri al di dietro e attorno dei medesimi, indi li rotolarono in sulla strada a poca distanza dai cannoni dell’inimico, i quali erano l’unico loro bersaglio. Non bastando ciò a rimoverlo dall’estrema sua pertinacia, attaccarono dappoi due cavalli ad uno dei carri, ed una villanella ebbe il magnanimo ardire (secondo fu raccontato) di guidarli verso la batteria dei fulminanti cannoni, L’animosa fanciulla sferzava gagliardamente i cavalli, e a ciascuna cannonata: «Viva,» gridava ella, «sono ancora in vita, animo! non temiamo i colpi di questi maccheroni di bavaresi.» Il disegno venne egregiamente, e con poco sangue eseguito. I bavari cannonieri furono uccisi dagl’imbercianti tiri dei tirolesi, e il quadrato fu propinquamente circondato, e con impeto assalito e posto in iscompiglio. Non meno fiera però fu la resistenza dei bavari, che soli a 400 uomini circa con dieci ufficiali ed un maggiore, diedero di cozzo colla furia della disperazione negli assalitori, i quali all’arte difettosa del guerreggiare, alla mancanza delle artiglierie e di un esperto condottiero, sostituivano il coraggio, la rabbia ed il valore. I bavari, perduti 150 uomini fra morti e lacerati dalle ferite, alla vista dell’incessante ferocia dei tirolesi, si diedero al tutto per vinti. L’eroismo della giovane servì di potentissimo esempio ad altre donne tirolesi, che nel corso della sollevazione pugnarono con animo veramente virile; ed è ben degno d’essere per le storie mandato alla posterità, affinchè sappia il mondo, che anche il Tirolo ebbe nell’anno 1809 le sue eroine, come nell’anno medesimo esaltava la Spagna le sue amazzoni, e specialmente la sua Agostina di Saragozza.
Non erano appena scoppiati nella Pusteria e presso Sterzing i narrati avvenimenti, che il popolo della valle superiore ed inferiore dell’Enno prendeva parte ancor esso alla già insorta sollevazione. Il monte Isel, presso Gallviek, circa un miglio distante dalla città d’Innsbruck, e la sottoposta pianura di Vildavia furono testimoni delle prime ostilità, e dei primi saggi di valore spiegato dagli abitanti di quelle valli nello scacciare dal monte medesimo, e poi dai luoghi fra Zierl e Kematen, i bavari picchetti, che ivi s’erano stabiliti per osservare se la grave procella si aggirasse pur anche in quei dintorni. Con alta maraviglia il generale dei bavari, che in Innsbruck aveva sua stanza, stava ascoltando le novelle di quanto facevano i sollevati, e quando il turbine alla di lui sede appressava, ricorreva a quelle estreme provvisioni, a cui negli estremi casi suolsi mettere mano. Il giorno 11 chiamava a raccolta tutte le truppe che in Innsbruck stanziavano, e mandava in soccorso alle sue squadre, impegnate contro i tirolesi, due battaglioni del reggimento Kinkel, ed uno squadrone di dragoni con quattro cannoni. Lo strepito dell’artiglieria e dei moschetti annunziava poco dopo, che la milizia dianzi sortita dalla città era già alle prese coi sollevati, e che le scaramuccie s’erano convertite in battaglia. I tirolesi, che nella massima parte erano appiattati in sui monti, colle ben dirette loro archibugiate bersagliavano terribilmente gli avversarii. Lo spedale d’Innsbruck vedeva arrivare molti feriti, dei quali pure ve n’ebbero anche dalla parte dei sollevati. Finiva il giorno, e ancor s’udiva per entro le valli il rimbombo dei cannoni e delle archibugiate: le tenebre ponevano fine all’accanita tenzone. Al silenzio per altro della notte non rispondeva il silenzio dei guerreggianti, che in continuo moto, e con incessante vigilanza disponevano le cose, per venire col nuovo dì ad una più fiera battaglia. Nell’oscurità della stessa notte una porzione di bavari ritiravasi dal preso alloggiamento, e andava a postarsi al ponte dell’Enno, che congiunge la città d’Innsbruck col sobborgo, sul qual ponte collocava un cannone. I sollevati distribuivano anch’essi le loro forze, e si avvicinavano alla città. All’apparire del giorno 12, i contadini di Höttingen, villaggio vicino ad Innsbruck, uniti a molti altri sollevati, penetravano improvvisamente nel sobborgo di Mariahülf, s’introducevano nelle case, e da queste scagliavano continui colpi d’archibugio sopra quei soldati bavaresi, che nella scorsa notte s’erano postati presso il ponte dell’Enno, alcuni de’ quali rimanevano feriti. Un’altra colonna di tirolesi, armati chi di archibugio, chi di mazze ferrate, e chi di bajonette fermate in sulla cima di grossi bastoni, si avanzava al tempo stesso verso il ponte di Mühlbach. Dopo queste disposizioni appiccossi con grandissimo furore la seconda battaglia su tutta la fronte. I bavari ordinati ed incorati dalla voce e dall’esempio dei capitani, s’infervoravano nel combattimento con ammirabile valore. Ma i loro sforzi erano con altrettanto valore contrastati da’ tirolesi; gli uni e gli altri pugnavano alla gagliarda, facendo prove incredibili col ferro e col fuoco. Nel bollore della mischia s’accorgevano i bavari, che i tirolesi ingrossavano, e che più feroce si faceva l’assalto, e vie più pericolosa la propria situazione. Di fatto intorno alle ore sette i tirolesi s’avvicinavano battagliando al ponte, il superavano, respingevano le truppe bavare in città, e prendevano loro un cannone.
Sbalordiva il generale di Baviera, ammirando in quella gente tanto coraggio, e già cominciava ad accorgersi che la burrasca era implacabile, e assai più grave di quello che in sulle prime credeva; e quantunque la giudicasse irrefrenabile col piccol numero delle sue truppe, tuttavia l’apprezzato decoro delle bavare armi il rendeva ricalcitrante, e l’avvolgeva in nuovi fatti, quanto fatali per la Baviera, altrettanto gloriosi pel Tirolo.
I tirolesi, allettati e fatti superbi dalla vittoria, e dalle vittorie che in altre valli riportavano i loro commilitoni, proponevano verso le ore otto una capitolazione al bavaro capitano. Stando come stavano le cose, non apparve a questi la proposizione nè strana, nè disgustosa; rispondeva però, che non era dell’onor suo trattare una capitolazione con gente, nella quale non riconosceva alcun capo. Udirono sdegnosamente i sollevati la risposta del bavaro, ed inaspriti dell’animo decidevano issofatto di proseguire il combattimento, il quale veniva ripigliato con tanto impeto e tanto ardire, che poco dopo entrarono a viva forza in città per il ponte dell’Enno, obbligavano alcuni bavari cavalieri a smontare dai cavalli, s’impadronivano delle case militari, disarmando quanti soldati vi trovavano, e rivolgevano poscia i loro passi al luogo della gran guardia. Qui stavano attendendo l’affronto il colonnello barone Ditfurt, avente il comando esecutivo delle bavare truppe, il tenente colonnello Spanky, alcuni altri ufficiali di minor rango, e un grosso numero di bavari soldati. I tirolesi impetuosamente s’appressavano, e i bavari, animati dal colonnello Ditfurt, con animo virile lor si avventarono contro. L’antiguardo di questi ultimi non era andato avanti nè pur a un tiro di pistola, che un colpo d’archibugio, vibrato da’ tirolesi, colpiva mortalmente l’ufficiale che lo conduceva. Con esso lui molti altri soldati rimanevano o morti o feriti dai colpi che i bravi tiratori tirolesi scagliavano dalla chiesa, dal cortile dello spedale, dove s’erano postati, e dalle case, in cui si erano sparsamente introdotti. Fra i morti annoveravasi anche il tenente colonnello Spanky. Il colonnello Ditfurt, benchè tocco da due gravi ferite, continuava non di meno ad animar la sua gente colle parole e coi fatti, aggirandosi intrepidamente fra i primi, e dove più pericolosa era la tempesta de’ tirolesi, egli correva, pareggiando per prontezza e per ardire i più rischievoli ed animosi soldati; nè una terza ferita, che nella coscia colpivalo, il toglieva dal soprastante periglio. Ma la sua singolare fortezza il rese vittima d’una quarta ferita nella testa, per cui dovette abbandonare il comando, e lasciarsi portare allo spedale, dove dopo pochi giorni non era più. Stante la mancanza del colonnello, la truppa a piedi restava senza condottiero, ed era perciò costretta a piegare, e deporre le armi. La cavalleria scorreva ancora a briglia sciolta le strade della città affaccendandosi, col terrore delle minaccianti loro sciabole, di sbaragliare i sollevati; ma questi, anzichè intimorirsi, divenivan sempre più ardimentosi, ed infiammati nell’intrapresa pugna, ferendo infuriavano, ed infuriando ferivano, ammazzavano, e costringevano gli scampati dalla morte o a darsi prigionieri, o a mettersi in fuga. I fuggenti arrivavano col maggiore conte di Erbach nella vicina città di Hall, credendo trovarvi salvezza; ma anche quivi s’era già il popolo levato in armi, risoluto di essere partecipe o al medesimo trionfo, o alla medesima morte; laonde costretti dalla forza senza ulteriore contrasto rassegnatamente si arresero. In conseguenza di tutto ciò ai 12 dell’aprile i sollevati delle valli superiore ed inferiore dell’Enno contavano in loro potere quasi tutto il reggimento Kinkel, uno squadrone di cavalleria, due bandiere, quattro cannoni, molti carri di polvere e di bagaglie. I tirolesi chiudevano la gloriosa giornata esultando di tutta allegrezza, e girando per la città d’Innsbruck colle bandiere spiegate, in fra le grida di gioia e i viva del popolo.
All’alba del giorno 13 le campane della città e dei circostanti villaggi sonavano a stormo, ed avvisavano il popolo che la patria era ancora in pericolo, e perciò a cimenti novelli il chiamava il destino. Una voce avea annunziato che la colonna dei francesi e dei bavari, campeggiante fra Sterzing e Gossensass, si avvicinava alla città. L’allarme fu subito generale: i tirolesi accorrevano furiosamente da tutti i luoghi delle predette due valli cercando il punto dell’assembramento, e mostrando straordinaria impazienza di affrontare ed abbattere il ricomparente nemico. A tanto era salito il nazionale fermento; il pericolo non più spaventava, famigliare diveniva in quei petti l’ardore di guerra. Il sentimento di conservare illeso il rispetto verso la religione dei padri, la costituzione della patria, e il desiderio di ritornare sotto l’anelato scettro dell’Imperatore d’Austria, mettevano in non cale ogni timore, ed accrescevano vigore e coraggio a quelli animi omai rotti nell’arduo e grandioso disegno.
Il nemico era intanto pervenuto nelle pianure d’Innsbruck sino dalle ore sei del mattino, dilatando le sue forze sui campi di Viltau, verso il torrente Sill, e lungo il monte Isel; questo veniva occupato dai bavari sino alle sue falde; il piano dai francesi. I tirolesi avevano già abbarrata la porta detta del trionfo, le strade conducenti in città, ed alcune delle sue vie, con botti, barili, balle e carri; aveano chiavate le porte delle case con catenacci e puntelli, e in esse approntato sassi, palle di ferro, acqua bollente, ed altri combustibili, per lanciar addosso al nemico, qualora battagliando fosse penetrato in città, ed il bisogno avesse indotto gli estremi. Ma, sebbene tutti avvampassero di combattere, ed il nemico si fosse già avvicinato alla città, con tutto ciò sapevano prestar ubbidienza a coloro che, assunta la direzione, aveano loro ordinato di stare soltanto sulla difesa, sino a tanto che il generale francese Bisson avesse risposto alla proposta di capitolare. Questa proposta avean fatta i tirolesi a Bisson, prima di venire al ferro, mediante il maggiore imperiale Martino Theimer, che sino dal giorno 12 era entrato in Innsbruck cogli abitanti di Zirl, dando molto fomento all’ardente sollevazione, e che con alcuni capi tirolesi si era a tale uopo recato in Wiltau, dove il generale campeggiava col nervo più forte de’ suoi soldati. Dovendo essere la proposta preceduta e dalla minuta narrazione di quanto era avvenuto nei due giorni antecedenti, e dalla dimostrazione dell’evidente pericolo a cui il francese avrebbe esposta la guidata sua gente, se mai rischiasse cimentarla, nutrivan speranza che l’avrebbe accettata. Il generale, a fine d’accertarsi delle cose esposte dai capi tirolesi, mandava in città un suo colonnello, ed il bavaro tenente colonnello Wrede, i quali, ritornando al generale, facevangli racconto di tutto ciò che videro, ed ebbe a dichiarar loro il prigioniero bavaro generale Kinkel. Si persuadeva Bisson; ma non potendo tuttavia determinarsi di arrendersi, o di accettare condizioni che giudicava indegne dell’onore francese, chiedeva ai proponenti che fosse concesso il passaggio alla sua truppa diretta ad Augusta per indi unirsi al grosso dell’armata francese, assicurando ch’egli avrebbe pagato tutto quello che al di lei mantenimento abbisognasse, e che non verrebbe per parte de’ suoi recata molestia a chicchessia. Queste promesse non quadravano ai capi tirolesi, e pel maggiore Theimer facevano intendere a Bisson, che non volevano punto acconsentire al passaggio. Il francese, declinando viemmaggiormente, riproponeva che nel passaggio avrebbe fatto levare le pietre dai fucili della sua gente, e per ultimo, che passerebbe senz’armi, da tradursi di poi in sui carri. Ma Theimer, fermo nella prima proposta, già concertata coi capi tirolesi, conchiudeva che, non volendo egli adattarsi alla medesima, conveniva venire all’esperimento delle armi. Allora il vecchio generale dichiarò che prevalso si sarebbe della forza, resistendo fino all’ultima stilla di sangue. Lo scioglimento del trattato, e l’ordinarsi dai capi tirolesi l’attacco, fu l’opera d’un sol momento. Un bavaro distaccamento in sui primordi della riaccesa battaglia voleva accostarsi a viva forza alla porta cittadina: l’estremo pericolo, che i tirolesi aveano in sulle prime mostrato, facea lor nascere un estremo coraggio, e quindi egli veniva subitamente respinto dai tirolesi, più intenti da principio a bersagliare di lontano coll’armi da fuoco, che ad investire da vicino colle bianche. L’ufficiale che il distaccamento conduceva, veniva colpito da una palla, che morto lo rovesciava da cavallo. Veggendo Bisson e il bavaro comandante ogni prova inutile, ed impossibile il resistere alla piena che minacciava, a risparmio del sangue, si determinarono alle ore 8 1/4 di mattina del dì 13 di statuire col maggior Theimer e i capi tirolesi: 1.º che la milizia napoleonica e bavara deponesse le armi sul luogo dove si trovava; 2º che tutti i soldati rimanessero prigionieri di guerra dell’ottavo corpo d’armata imperiale, e che come tali venissero trasportati a Schvatz, e consegnati alle truppe austriache; 3.º che tutti i tirolesi fatti prigionieri da essi, fossero tostamente posti in libertà, e 4.º che ai sotto ufficiali napoleoniani e bavari siano lasciati tutti i loro bagagli, i cavalli, e le spade come loro proprietà.
Il Theimer, qual commissario plenipotenziario imperiale, Armance, Varin, Bisson, Aurte, cap. Vinde, Donnersberg, Capollè, sottoscrivevano questo trattato, che negli annali del Tirolo formerà un gloriosissimo trionfo per la nazione. Le armi dei 4600 prigionieri venivano issofatto distribuite a quei sollevati, che ne erano sprovveduti; cavalli, bagaglie, carri di munizione, ed un obizzo rendevano più luminosa la preda e la vittoria de’ tirolesi.
Ma col levarsi del sole nel dì 14 la campana sonava di bel nuovo a martello, e il terribile grido delle armi intorbidava la purezza della gioja nata per tanti riportati trionfi. Dovevasi combattere una colonna di francesi che, secondo suonava la fama, valicavano il Brenner, e camminavano alla volta d’Innsbruck. Non s’atterrivano gli animi tirolesi, che anelanti la pugna prestamente riprendevano le armi, e sistemati in compagnie si facevano baldanzosi ad incontrare il nemico colle grida di una vivissima gioja. L’oste francese, informata dell’avvicinamento del corpo austriaco guidato dal marchese Chasteler, e già prossimo ad uscire intieramente dalla Pusteria, era indietreggiata a Bolzano, indi a Trento d’onde era proceduta; prudente ritirata, la quale evitò la totale sua perdita, che inevitabilmente le sarebbe avvenuta, giacchè se ita fosse più innanzi, oltre d’avere alle spalle il potente Chasteler, avrebbe avuto di fronte una gran massa di tirolesi, ed in luogo della colonna nemica, avvicinavansi ad Innsbruck i primi battaglioni di Chasteler, che misero in calma il nuovo moto tirolese.
Sbandata pertanto la prima burrasca, che dal 10 sino al 13 d’aprile avea colpito sì gravemente e tanto glorificato il Tirolo tedesco, era dato a quegli alemanni di sfogare la contentezza per le vittorie e per gl’immortali trofei, che fra le stragi, il sangue e le minaccie di bellicosi e potenti nemici, aveano valorosamente riportati, e di manifestare il sommo giubilo che il vicino arrivo degli austriaci instillava nei loro cuori. Di tanto giubilo n’ammirava i primi effetti l’araldo imperiale, che nella mattina dell’anzidetto giorno 14 d’aprile recato avea in Innsbruck il desiderato annunzio, che le prime schiere di Chasteler sarebbero ivi arrivate intorno al meriggio. L’allegrezza salì al colmo, e fu universale. L’araldo fu portato come in trionfo per la città, perchè a tutti fosse accertato quello che si faceva credere colle parole. Tutti correvano, tutti si affollavano in sulla strada, per cui dovevano entrare le sospirate legioni. Alle ore 11 entravano queste in città accompagnate da un numeroso popolo, e dalle cerne de’ tirolesi sollevati, che colla bandiera portante l’aquila imperiale erano andate ad incontrarle. I viva, le acclamazioni di giubilo risuonavano dappertutto. Le campane suonavano a gloria. I tirolesi armati ed inermi, e gli austriaci soldati con molta affezione si salutavano, con una tenerezza indescrivibile si abbracciavano, ed a vicenda si consolavano della sofferta amarezza nel lungo triennio in cui non s’erano riveduti. I tirolesi, raccontando i grandi avvenimenti degli andati giorni, additavano agli austriaci le sottomesse squadre nemiche, che sommavano ad oltre 8000 uomini, con due generali, dieci ufficiali dello stato superiore, e cento altri d’inferior grado fra napoleoniani e bavaresi, ed indicavano altresì gli otto conquistati cannoni, le due bandiere, i molti cavalli e carri di bagaglie e munizioni, le varie armature, ed altri militari trofei; gli austriaci a rincontro udivano con alta ammirazione, e glorificavano a cielo le luminose gesta, non senza piangere i 150 tirolesi che caddero vittime d’un coraggio straordinario, oltre a’ 20 austriaci mescolatisi negli ultimi fatti, perdita insignificante a petto di quella dei napoleoniani e bavari, che in morti ebbero intorno a 400 uomini. I capi della sollevazione ordinavano meglio le compagnie, che nel dì 14 sommavano in Innsbruck a 20,000 uomini, per battere a miglior modo il nemico, se mai ritornasse ancora a minacciare il loro territorio, e per iscacciare quello che la meridionale regione tuttavia occupava.
Le novelle di sì fervido e rischievole moto risuonavano fra i monti e le valli della tirolese provincia con inenarrabile contento; e si diffondevano per tutta Europa, che maravigliando a tanto lume di bellicosa fortezza, era desiderosa di vedere la fine di un’impresa non meno gloriosamente, che arditamente incominciata da un popolo, il quale con singolare esempio di coraggio e di costanza avea dato luminosissima prova quanto in lui potesse più l’amor della patria, che le minaccie, e le armi prepotenti d’inferociti e numerosi nemici.