CAPITOLO III.

Guerra dell’Austria contro Napoleone. L’arciduca Carlo entra nella Baviera con poderoso esercito. L’arciduca Giovanni s’impadronisce di alcune venete provincie. Editto di Chasteler ai Tirolesi. Lettera ai medesimi di Francesco I. Gli austriaci calano nel Tirolo italiano sotto il comando di Chasteler, con alcune compagnie di tirolesi capitanate da Andrea Hoffer. Il generale francese Baraguey d’Hilliers prende posizione colle sue truppe sulla sinistra sponda del torrente Avisio presso Lavis. Arresto e morte di due contadini da Segonzano. Editto del bavaro Commissariato di Trento per la quiete del paese. Piccole scaramuccie fra Trento, Lavis e Gardolo. Valore dei sollevati di Schlanders. Ritirata de’ napoleoniani a Rovereto, che prendono posizione a destra e a sinistra dell’Adige, al monte ed al piano. Battaglia presso Volano e sui colli orientali di Rovereto. Risultati della medesima. Altri fatti d’armi avvenuti a Mori e a Ravazzone fra le truppe del generale francese Fontanelli, e quelle dell’austriaco Fenner ed i sollevati provenienti dal Lago di Garda. Naufragio terribile di Ravazzone.

Mentre in Tirolo succedevano i discorsi avvenimenti, due poderosi eserciti austriaci erano già sortiti dalle stanze imperiali dell’Austria, e marciavano alla volta l’uno della Baviera, l’altro delle veneziane terre, per azzuffarsi colle truppe del nuovo signore della Francia. Il primo più forte di gente, di cavalli e di artiglierie, militava sotto l’arciduca Carlo; l’altro veniva guidato dall’arciduca Giovanni, fratelli dell’Imperatore Francesco, e peritissimi entrambi nelle cose della guerra, massimamente Carlo, che alta fama di valoroso capitano acquistossi nelle guerre d’Alemagna negli ultimi cinque anni del varcato secolo.

Quando i tirolesi si aprivano l’adito alle narrate vittorie, l’esercito dell’arciduca Carlo passava l’Enno, ed alla metà d’aprile si avanzava alla volta dell’Iser, e piantava i suoi alloggiamenti entro la Baviera perseverante nell’amicizia di Napoleone. Durante il cammino non gli avvenne scontro alcuno, tranne diverse scaramuccie di poco rilievo colle squadre napoleoniane e bavaresi. Nei medesimi giorni l’esercito dell’arciduca Giovanni, che agiva di concerto col fratello, e dal cui supremo comando dipendeva il corpo d’armata già entrato nel Tirolo sotto la condotta di Chasteler, aveva riportati dei vantaggi sopra l’esercito, che per difendere le italiane regioni comandava il principe Eugenio, vicerè d’Italia, e figliastro di Napoleone, da cui gli venne inviato per moderatore il maresciallo Macdonald. In sulla sera del dì 12 il telegrafo informava il francese Imperatore nella sua capitale del movimento effettuato dall’Austria. L’inaspettato annunzio determinollo a partir da Parigi ancora nella seguente notte, e a gran giornate venne egli stesso a comandare le sue truppe assembrate di fresco in Germania, prevedendo che sul germanico suolo decider doveansi le sorti della nuova guerra.

Il dì 16 comparve improvvisamente a Dillingen, dove trovato il re di Baviera, fermossi circa mezz’ora, assicurandolo che fra pochi giorni il ricondurrebbe sul di lui trono, che per l’invasione degli austriaci, a lui preventivamente annunziata dall’arciduca, avea poc’anzi abbandonato. Nel giorno seguente stabilì il suo alloggiamento a Donaverth, e di qui spediva gli ordini necessarii per dar principio alla guerra, che, secondo l’apparenza, dovea riuscir ferocissima.

Questi movimenti guerreschi fermavano bensì l’attenzione del popolo tirolese, perchè da essi principalmente dipendeva il suo futuro destino, ma non inceppavano la sua inalterabile determinazione per la salvezza della patria. I capi della sollevazione coglievano i subentrati momenti di calma per rafforzare la patria difesa, e meglio sistemare le cerne. Capo fra i capi venne confermato l’Hoffer, nel quale, attesi i moderati ed autorevoli modi, aveano posto i sollevati moltissima stima e singolare benevolenza. Ad un suo cenno correvano ubbidienti come soldati avvezzi alla disciplina militare. Un editto del marchese Chasteler, uscito di questi giorni, metteva i tirolesi in maggior fermento; esso suonava così:

«Prodi Tirolesi! io sono già fra voi. Le mie truppe hanno occupato Bressanone, ed io sto col grosso dell’armata sulle alture di Schabs. Stante questa occupazione è intersecata al fuggente nemico l’unione fra la Germania e l’Italia. Io spedisco incontanente in vostro ajuto un forte distaccamento di fanteria, di cavalleria e di artiglieria verso il Brenner. Un altro distaccamento dirige il suo cammino verso Bolzano. Voi conservate dunque il possesso della presente posizione per sostenere il mio fianco.

«La capitale del Tirolo sarà forse a quest’ora occupata dalla colonna proveniente da Salisburgo del tenente maresciallo Jellachich, e Monaco dalla grande armata.

«Allorchè mi è pervenuta la prima novella del grave combattimento, che per più giorni avete bravamente sostenuto coll’inimico a difesa della vostra libertà e della patria, io accelerai la mia marcia giorno e notte per porgervi la mia assistenza. Dai confini della Carintia, da Lienz sopra Bressanone essa è succeduta senza alcun riposo. I miei soldati hanno dato a divedere com’essi sentivano il vostro zelo pieno di gloria, e quanto amino mostrarsi quai fratelli ai prodi tirolesi.

«I vostri prigionieri sono i chiari testimonii del vostro valore; essi devono essere gli ostaggi per la sicurtà vostra, e per garantirvi che atrocità dai bavaresi commesse l’altrieri, e jeri a Mauls, Sterzing e Gossensass non si commettano in avvenire. Questi giorni saranno eternamente memorabili nella storia del Tirolo, ed i vostri nomi saranno sacrosanti nelle bocche dei più tardi vostri nipoti. Così avete corrisposto all’aspettazione, che in voi affidava il vostro caro arciduca Giovanni, e che è accennata nel qui unito suo proclama. Tirolesi! confidate in me, com’io confido in voi. Siate costanti; in pochi giorni fia terminata la grande opera della redenzione.

«Dato in Mühlbach, il 12 aprile 1809.»

L’Imperatore Francesco, che il dì 8 d’aprile era partito da Vienna per trasferirsi anch’esso all’armata, udiva con allegra fronte, durante il viaggio, le novelle prove d’amore e di fedeltà che davangli gli amati suoi tirolesi, e a’ 18 scriveva loro da Schärding:

«Miei cari e fedeli Tirolesi.

«Fra i sacrificii cui per una serie di malaugurati avvenimenti io dovetti soggiacere nell’anno 1805, il sacrificio più pesante del mio cuore, come già altamente ve lo espressi, e come voi già lo sapete, fu il dividermi da voi; poichè io riconobbi in voi figli buoni, prodi ed intimamente addetti alla mia Casa, come voi riconosceste in me un padre che vi ama, e che non anela che al vostro bene.

«Costretto dalle imperiose circostanze al duro passo di dovermi separare da voi, in quell’ultimo fatal momento fu una delle principali mie cure di darvi una nuova prova del mio affetto e della mia provvidenza per voi. Ho posto per un patto essenziale della cessione il mantenimento della vostra costituzione; e fu per me un sentimento di estremo dolore il vedervi, con manifesta violazione di questo patto solenne, spogliati fin anco di que’ vantaggi, che io con ciò intendeva di assicurarvi.

«Ma nella decisa mia propensione di conservare la pace, fino a quanto fosse possibile, ai popoli dalla divina Provvidenza a me affidati, non poteva in allora, che compiangere nel fondo del mio cuore il vostro destino.

«Da incessanti attentati dell’autore della nostra separazione, posto io ora di bel nuovo nella necessità d’impugnare la spada, il primo mio pensiero fu d’incamminare le operazioni di guerra in modo ch’io ritornar potessi di nuovo il vostro Padre, e voi i miei figli. Un’armata s’era messa in marcia per la vostra liberazione: ma pria ch’essa raggiunger potesse i comuni nostri nemici per portar loro il colpo decisivo, avete voi, uomini valorosi, eseguita quest’impresa, ed avete dato con ciò a me, ed al mondo la prova più convincente di quanto siete pronti ad intraprendere per divenire nuovamente una parte di quella monarchia, sotto il cui scettro viveste tanti secoli contenti e felici.

«Sono penetrato dai generosi vostri sforzi, e conosco il vostro pregio. Accetto dunque con tutta l’effusione del cuore i vostri voti di annoverarvi sempre fra i migliori e più fedeli sudditi dell’Impero d’Austria, e nulla più mi starà a petto, che di metter in opra tutti i mezzi, onde non vi tocchi un’altra volta la dura sorte di essere strappati dal paterno mio seno. Milioni d’uomini, che da gran tempo furono vostri fratelli, e che ora gioiscono di divenirlo di nuovo, garantiscono sul campo di battaglia questa mia premura.

«Io conto sopra di voi: voi potete contare sopra di me; e coll’ajuto dell’eterna Provvidenza l’Austria ed il Tirolo resteranno mai sempre uniti insieme, come lo furono fortunatamente per una lunga serie d’anni.

«Schärding, 18 aprile 1809.

«FRANCESCO.»

Altri eccitamenti si pubblicavano a questo tempo in Tirolo, ma il fermento, specialmente dopo la lettera dell’Imperatore, era già pervenuto a tal grado, che avea piuttosto bisogno di freno, che di sprone.

Ora è tempo di venire al Tirolo italiano, che le truppe napoleoniane tuttavia occupavano.

I tirolesi italiani, che sospiravano anch’essi di essere liberati da una signoria contraria ai sentimenti ed agli interessi dell’universale, erano spettatori delle magnanime imprese dei loro comprovinciali; se ne procuravano di soppiatto notizie, quantunque fosse interrotta la comunicazione, e ne bisbigliavano nelle loro conventicole. Una voce avvertiva, che il marchese Chasteler calava da Bolzano con un grosso nervo di truppe, e gran moltitudine di tirolesi ordinati in compagnie, capitanate dall’Hoffer, da pochi giorni sopranominato il Barbon, voce che veniva confermata dalle disposizioni di difesa, che il generale Baraguey d’Hilliers ordinava in sulla destra sponda del fiume Lavis, scorrente a meriggio il paese del medesimo nome, a sei miglia sopra di Trento. La discesa di Chasteler, e gli ordini del generale francese faceano temere ai tirolesi italiani, che la tragedia verrebbe fra poco rappresentata fra loro. Difatto sino dalla metà dell’aprile incominciò Trento a vederne gli spaventevoli effetti. Nel villaggio di Segonzano, poco lungi da Trento, vennero sorpresi da una pattuglia di napoleoniani due contadini armati, e immantinente sottoposti, come sollevati, ad un consiglio di guerra. Quantunque mancasse la prova che avessero impugnate le armi per offendere le truppe napoleoniche, furono spenti fuor delle tridentine mura il 17 aprile, più all’intento, secondo diceasi, di terrorizzare, che per convincimento della reità. Vi tenne dietro la pubblicazione del seguente:

AVVERTIMENTO
AI POPOLI DEL CIRCOLO DELL’ADIGE.

«Trento ha veduto oggi avanti le sue mura spargere il sangue di due vittime del delirio: due contadini di Segonzano, condannati dal consiglio di guerra ad esser fucilati, subirono oggi la morte de’ ribelli.

«Questo esempio vi stia profondamente impresso e avanti gli occhi, popoli del circolo dell’Adige alla mia cura affidati; egli è mio dovere di farvelo presente in tutta la sua estensione, e di mostrarvi nello stesso tempo l’abisso in cui sareste dall’inganno vostro precipitati.

«Malgrado le tante cure a tal uopo praticate, il Circolo dell’Adige non è del tutto tranquillo: in varie parti imperversa il fuoco della sollevazione, e distrugge i vincoli dello stato, che a voi compartisce pace sicurezza e giustizia.

«Sommessione a quel sovrano, che Dio vi destinò per vostro reggente, e che, come tale, v’è stato constituito dalle leggi più sacrosante, è il primo de’ vostri doveri.

«Voi violate questi doveri quando insorgete contro i suoi eserciti, e contro gli eserciti dei potenti suoi alleati; quando cambiate i pacifici attrezzi dell’abitatore della campagna colle armi micidiali del guerriero, cui queste sole s’aspettano; e quando, abbandonando i vostri focolari, ed i vostri figli, li gettate in braccio della disperazione, e gli esponete alle più terribili disavventure.

«Ciò che una volta, o alcuni anni fa, poteva sembrare un dovere, finchè eravate ancora sotto lo scettro dell’Austria, di sollevarvi cioè in favore di quell’Imperatore, e difendere il Tirolo contro i suoi inimici, questo vostro dovere più non esiste.

«Voi cessaste già da gran tempo di essere suoi sudditi: al re di Baviera ha cesso l’Imperatore d’Austria tutti i suoi diritti con un solenne trattato: egli è il vostro legittimo Sovrano; egli è buono, umano e giusto, e non cerca che di rendervi felici.

«A lui dunque dovete ubbidire: l’Austria è la sua inimica, e per conseguenza ella è ora del pari la vostra.

«Ciò non ostante vi sono taluni fra voi, che dimentichi degli obblighi loro, disonorano il pregiato nome di Tirolesi, mancando di fedeltà al loro Sovrano coll’appigliarsi al partito degl’inimici del loro Re, e coll’opporsi armata-mano a quegli eserciti, che accorsero alla di lui difesa.

«Guai all’acciecamento, guai all’errore che li trasporta, e che gli strappa dal pacifico seno delle loro famiglie, per precipitare sè stessi, e voi tutti in un’impreveduta inevitabile ruina!

«Ascoltate le insinuazioni della mia voce, che vi parla da padre; voi, sudditi traviati, ritornate ai pacifici vostri focolari; e voi sudditi che rimaneste finora tranquilli e fedeli a’ vostri doveri, non abbandonate questi bei sentimenti di sommessione, che cotanto vi distinguono fra gli altri vostri concittadini.

«Siate sordi alla voce della seduzione, che sotto falso aspetto tenta mascherare il vostro vero bene, per gettarvi in seguito nel precipizio.

«La vostra sorte non è già quella del soldato, che legittimamente impugna le armi a difesa della patria, ma voi divenite ribelli, siete malfattori, e non vi attende che una morte ignominiosa. Voi fortunati se la trovate nel campo di battaglia, poichè fatti prigionieri, essa vi è certa, e oltracciò congiunta all’infamia che seco porta l’esecuzione della condanna.

«Ma voi non sareste soli le vittime infelici del vostro delirio; le vostre mogli, gl’innocenti figli vostri, ed i tranquilli vostri compatriotti lo sarebbero con voi.

«I Comuni interi verranno puniti pel fallo di alcuni acciecati loro membri. Le pacifiche vostre capanne, l’albergo una volta della semplice contentezza, saranno distrutte dal fuoco sterminatore, devastate le vostre campagne, e, ciò che vi dev’essere più caro sopra la terra, le vostre famiglie colpite dalla più desolatrice miseria.

«Penetrate coll’occhio nell’abiso inevitabile, pria di precipitarvi nell’orrendo suo profondo, da cui nessuna forza può più liberarvi.

«Restate tranquilli, non ascoltate le voci dei nemici del vostro Re, chiudete l’orecchio ai suggerimenti della seduzione che vi trascina ad essere i carnefici dei vostri concittadini, e v’immerge negli orrori d’una guerra civile.

«La dolce persuasione nell’intimo del vostro cuore, d’avere fedelmente adempito ai doveri di sudditi, e di cittadini, sarà per voi la più bella ricompensa, e l’argomento d’una gloria la più permanente.

«Trento, li 17 aprile 1809.

«Regio Bavaro Commissariato del Circolo all’Adige.

«GIOVANNI NEP. CONTE DI VELSPERG.»

Ai 18 aprile la vanguardia austriaca difilò verso Salorno, e il dì seguente comparve a riconoscere la posizione di Lavis, impegnandosi in piccole scaramuccie, dopo le quali il comandante della Francia, vedendo forse in pericolo le sue truppe a motivo della massa dei regolari e dei sollevati, che da Bolzano e da Salorno discendeva, ordinò all’impensata, che si dovessero quelle concentrare fuori e dentro della città di Trento. In questa situazione rimasero il dì 20 i due eserciti, senza che avvenisse alcun fatto, a riserva di un badalucco succeduto tra Gardolo e Trento, fra l’antiguardo imperiale, comandato dal tenente colonnello conte di Leiningen, e la coda dei napoleoniani nel quale era riuscito a questi ultimi di far prigioniero un ufficiale del reggimento Hohenlohe-Bartenstein, che, quantunque ferito, volle ritornare nel fuoco; ma un tirolese della compagnia di Schlanders strappollo delle loro mani, e caricatoselo sulle spalle, lo trasportò fra i suoi con ammirabile intrepidezza.

Interessando a Chasteler di vedere il Tirolo intieramente sgombrato dalle truppe napoleoniane, che ancora l’occupavano nella meridionale sua parte, accelerava l’esecuzione del suo disegno a fine d’acquistarne il presto possesso. All’incontro Baraguey-d’Hilliers, che regolava le militari sue operazioni a seconda dei movimenti del principe Eugenio, doveva possibilmente tener in freno l’avanzamento degli austriaci, e sostener la difesa della frontiera del vicino Regno d’Italia. Laonde pareva che in sul territorio trentino dovesse pendere imminente la sorte delle guerreggianti due armate. Ma sia che Trento non sembrasse al generale francese luogo opportuno ad una formale battaglia, o sia che dal supremo comandante dell’italico esercito avesse avuto istruzione di ricusarla, e di temporeggiare fino che il momento si presentasse d’agire diversamente, si disponeva alla ritirata. Prevedendo però, che l’avanzante Chasteler non resterebbe colle mani alla cintola, anzi veggendosi minacciato da una grossa tempesta, pensò bene di mascherarla coll’attaccare in sul meriggio del dì 21 le prime di lui squadre, specialmente quelle del corno sinistro, e di farsi in tal modo assalitore, anzichè vedersi assalito. Lo scontro ebbe luogo con qualche impeto d’ambo le parti. Il minacciato fianco sinistro era difeso da’ cacciatori austriaci, e da una gran parte de’ sollevati tirolesi. Tanta fu la resistenza, e il coraggio di questi ultimi, che ben presto obbligarono gli assalitori a ritirarsi alla distanza di un’ora. La compagnia di Schlanders in ispecie gareggiava nell’ardire cogli imperiali, e fu più volte eccitata a ritirarsi dal fuoco, in cui troppo rischiosa penetrava. La felice mossa del fianco sinistro diede argomento al conte Leiningen di muoversi colla vanguardia del centro verso Gardolo. Di concerto con esso lui operava il tenente colonnello Barone Gölding, che trovavasi alla testa dell’antiguardo in sulla riva destra dell’Adige. Il non grave combattimento finiva col tramontare del giorno. In esso perdettero i napoleonici intorno a 180 uomini fra morti, feriti e prigionieri, e circa 60 allo stesso modo gli imperiali.

Ai 22 i francesi calavano a Rovereto; e Trento ammirava le sue colline coperte di sollevati tirolesi, la cui massa ognor più s’ingrandiva per l’arrivo di non pochi montanari italiani accorsi anch’essi a difendere la causa comune. In sull’imbrunire del giorno stesso il generale Baraguey-d’Hilliers piantò il suo alloggiamento in Rovereto, abbandonando Trento agli austriaci, che v’entrarono vittoriosi fra le acclamazioni del popolo, le quali vennero rinnovellando nella seguente giornata, allorchè vi comparve il marchese di Chasteler.

Stando alle disposizioni che Baraguey-d’Hilliers prendeva il dì 23, si doveva presagire che la città di Rovereto divenisse un punto militare di qualche difesa, e che alla vigilia ella fosse di qualche tragica scena. La sua armata raccolta nel roveretano distretto sommava a circa 10000 uomini, parte francesi de’ reggimenti N. 81 e 112, e parte italiani di fresco arrolati, con un reggimento di dragoni francesi. Una colonna della stessa, composta di gente di un reggimento francese e di un italiano, egli mandava a Mori con qualche centinajo di cavalli sotto gli ordini del generale Fontanelli, per guardare e l’imboccatura della strada conducente al lago di Garda, e la sponda destra dell’Adige, sul quale sino dal giorno 20 era stato gettato, a maggior comodo del militare passaggio, un ponte di legno, nella posizione in cui al presente si trova quello di Ravazzone. Un’altra colonna di circa 4000 uomini si portava in sulle alture fronteggianti il paese di Volano, a destra e a sinistra della strada postale, sulle quali venivano eziandio puntati due cannoni, cioè uno sul monte delle Gardole, e l’altro sul dosso chiamato Destor, ed altre piccole schiere s’indrappellavano lungo il bosco della città detto di Valgravia e di Vallunga, sino ai monti della Costa oltre la villa dei Telani, che dominano alle spalle Rovereto. Il resto della truppa campeggiava nella spaziosa contrada del Corso Nuovo, ognor pronta ad accorrere ove richiedesse il bisogno. Le trincerate posizioni venivano reiteratamente visitate dal comandante francese, che sopra un focoso destriero, in compagnia del suo ajutante, e scortato da sei dragoni, si vedeva recarsi instancabile, ora al piano, ora al monte, alle militari sue speculazioni. Continuava l’andirivieni degli scorridori militari, apportatori di notizie, o di comandi. L’indizio d’una vicina battaglia era certissimo, tanto più, che per notizie segretamente pervenute in sulla sera di questo giorno, sapevasi che gli austriaci calavano da Trento divisi in due colonne, una a stanca e l’altra a destra dell’Adige, questa affidata al comando del generale Fenner, e quella capitanata dallo stesso comandante supremo Chasteler.

Alle funeste apparenze succedevano i funesti avvenimenti, che ora più distesamente verrò raccontando, perchè io stesso ne fui di gran parte testimonio di veduta.

Qualche ora dopo levato il sole del dì 24, gli austriaci della sinistra sponda dell’Adige muovevano alla volta di Rovereto divisi in due corpi: uno per la strada imperiale, e l’altro pei colli di Volano, di Serrada e di Noriglio, i quali insin dalla passata notte erano occupati in gran parte dai cacciatori imperiali, e dalla tirolese milizia. Usciva pel primo dalla porta comunale di Volano, il reggimento Lusignan, preceduto dal festivo suono della sua musica, in fra le viva dei volanesi, ed ignaro della vicina positura del nemico; quando fu salutato all’improvviso con una pioggia d’archibugiate, che alle dolcezze del suono fece subentrare tutt’ad un tratto il rombo de’ moschetti e de’ cannoni. Un sì atroce saluto, aprì subitamente una viva battaglia su tutta la fronte, che dalla parte austriaca distendevasi lungo gli anzidetti colli costeggianti la Vallunga, e dalla parte napoleonica lungo le sopra menzionate colline, che a quelli fronteggiano, fino sopra le case di Rovereto. Un colpo di cannone, scagliato dal monte delle Gardole presso Volano, portò lo spaventoso annunzio alla prossima città. All’inopinato rimbombo, una quantità di cittadini, che spinta da un’imprudente curiosità si trovava quà e là spiando il moto delle belliche cose, la diede issofatto a gambe per salvarsi nelle proprie abitazioni; si chiusero le botteghe e le porte delle case, e nessuno ardiva affacciarsi tampoco alle finestre, chiuse anche queste in gran parte, temendo ciascuno che l’orribil tempesta venisse a scoppiare nelle cittadine contrade. La truppa campeggiante in sul corso, e in qualche piazza della città dove stava sdrajata fumando, od apparecchiando vivande, prendeva tosto le armi, e ad un cenno del supremo comandante, che qual lampo percorreva di continuo le trincee per ispeculare ove inchinassero le cose, e gli andamenti degli avversarii, si recava velocemente a soccorrere le combattenti squadre, ossia a respingere gl’imperiali là dove si mostravano meglio gagliardi o più minacciosi. I colpi di cannone e della moschetteria s’udivan intanto più frequenti, e lo spaventoso lor rombo veniva, con sommo terrore dei valligiani e cittadini, ripercosso dall’eco. Gli austriaci e i tirolesi egregiamente battagliavano, ma non meno egregiamente i napoleoniani a sostenere l’impetuoso scontro. Questi ultimi avrebbero fors’anche superato, se i tirolesi ammucchiati sul monte detto Cornale, donde tiravano di mira, non li respingevano con un fuoco continuato e micidiale. Il generale Fenner, che costeggiava la destra sponda del fiume, veniva ancor esso con un branco della sua gente a prender parte all’azione, e a rendere più pericolante la situazione dei napoleoniani, poichè i due cannoni che avea fatti collocare sulla detta sponda in vicinanza all’Adige dirimpetto all’Ischia di Sant’Ilario, e le compagnie di tirolesi e di regolari anche ivi schieratesi, terribilmente li fulminavano. La pugna faceasi quinci e quindi più accanita e maggiormente sanguinosa; ovunque si aggiungeva furore a valore, ovunque la fortuna si stava in bilico nel favoreggiare, e indecisa pendea la vittoria. Da un lato gli offensori anzichè persistere ad offendere si riducevano alla difesa, e i difensori assumevano l’offesa; da un altro gli assaliti cedevano il suolo agli assaltanti, e posciachè ringagliardivano per sopraggiunto soccorso, ravvivavano lo spirito, rinvigorivano, e si tramutavano di bel nuovo in assalitori. La chiesa parrocchiale di Volano, presso la quale l’attizzato conflitto ebbe il suo primo accendimento, e i tabernacoli della Passione che la circondano, servivano di propugnacolo a’ due antiguardi serratisi insieme. Il cimitero situato fra questi e quella, erasi trasformato in piccolo campo di battaglia. Quivi per la maggioranza delle forze, le quali ognor più assembravansi, bolliva maggiormente la pugna; quivi, intantochè folgoreggiavano e battevano in breccia le vicine artiglierie, i combattenti aspramente battagliando inferocivano, ed inferocendo arditamente battagliavano, si minacciavano alla mescolata, si ferivano, si uccidevano da vicino colle corte, aumentando anche per tal modo le ferite, le stragi e le uccisioni, talchè la terra dell’angusto recinto veniva innaffiata dal sangue de’ guerreggianti. Nell’ardente conflitto si approssimavano due ufficiali, al servizio uno dell’Austria, l’altro della Francia, si riconoscevano tacitamente fratelli, rimanevano entrambi maravigliati del caso che li condusse a rivedersi dopo lunga stagione; continuavano il proprio dovere, e al riposo dell’armi ottennero dai comandanti licenza d’abbracciarsi.

La confusione e l’ardore nascevano non solo a Volano, ma ben anche in altre parti della combattuta circonvallazione. Avanzavano e retrocedevano ora questi, ora quelli. Chi discendeva, e chi saliva arrampicando e scorrazzando per le asprezze dei monti appellati i Dossi dei Toldi, di Saltaria, della Costa, della Croce e di Vallunga. In una parte l’assalto indeboliva, nell’altro si faceva gagliardo. Per una collina le squadre salivano con mirabile intrepidezza le ripide balze a suon di tamburo, ed inoltrate alquanto sotto il furioso bersaglio delle palle si spartivano, ed alla sfilata facevano fuoco contro i sovrapposti avversarj. In altra collina gli scompigliati ad un diverso segno di tamburo si rannodavano, e tiravano ordinatamente. In sulla vetta di certi monti ora comparivano austriaci e tirolesi, ora questi dileguavano e ricomparivano i napoleoniani. In certi altri ora combattevano da lontano col fuoco, ora si raggiungevano, si agguatavano, e si azzuffavano da vicino, straziandosi e squarciandosi a vicenda, massime intorno alle case campestri ed alle ville dei Telani, dei Chiusole e dei Panzoldi, ove si venne agli stocchi ed alle bajonette. In altri luoghi i vinti divenivano vincitori, e i vincitori si mescolavano ai vinti.

Nel vicino piano e intorno alla chiesa volanense, ove con incessante ostinazione si battagliava, venivano conservate le medesime posizioni e la medesima calca; all’incontro nei ripartiti combattimenti del monte i difensori mostravansi ove arrendevoli, ed ove inaccessibili. Il grosso dei tirolesi, che dominava i varii movimenti dalla sommità dei monti più rilevati posti a sopraccapo dei colli costeggianti la Vallunga, e denominati la Lovara, il Roven, e il Monteghel, stava in attenta osservazione delle operazioni de’ suoi commilitoni, e andava rafforzando e rinfrancando ora quelli d’una sottoposta collina, ora quelli di un’altra.

Dopo tanta tempesta di colpi, al cui echeggiante rimbombo pareva che i monti crollassero dall’ime loro radici; dopo tanto sangue e tante morti, l’arrabbiata battaglia andava finalmente, qualche ora dopo il meriggio, cessando.

Fu tanto il valore e tanta la fermezza con cui i napoleoniani combatterono in questa giornata contro i non men valorosi austriaci e tirolesi, che, cessato del tutto il fuoco, ritornavano ambidue le parti a ripigliare le loro posizioni, restando equilibrate le bilancie della fortuna. Alla succeduta quietezza dell’armi, n’apparivano i dolorosi effetti.

Mentre durava il contrasto, alcuni dragoni scorrevano di galoppo le cittadine contrade, e quanti in esse trovavano, venivano tutti indistintamente costretti coll’autorità della sciabola a dover in sull’istante recarsi al campo di battaglia, e specialmente al luogo denominato le Laste di Volano per assistere ed accompagnare, o portare sulle braccia o sulle spalle i feriti all’ospedale di Rovereto. Il francese Baraguey-d’Hilliers, vedendo il poco numero degli assistenti, insinuossi minacciosamente al cittadino Magistrato, perchè per sua mediazione venisse quello aumentato. Al che prestaronsi di buon grado i deputati Giuseppe de Telani, Isacco barone Eccaro, Cristoforo de Birti e Gaetano Tacchi, coll’andar a battere alle porte eccitando e procurando persone, che all’umano officio volessero cooperare, e precedendo i due primi col loro esempio. La vista di quegli infelici che con assaissima compassione furono portati al pio luogo da mezzodì sino a notte continuamente, faceva raccapricciare. Chi era ferito nella testa, chi nelle braccia, chi nel petto, chi nel ventre, chi nelle coscie; a cui penzolava infranta una gamba, a cui uscivano le interiora. Chi urlava, chi piangeva, chi chiedeva l’assistenza dell’arte medica, chi quella dei ministri dell’altare, e chi finalmente col terribil pallore di morte in sul volto mostrava d’aver finito di soffrire. L’ospedale cittadino e l’annessavi chiesa di Santa Maria Lauretana ne albergò più di cinquecento fra napoleoniani e pochi austriaci, fra quelli che rimanevano per la gravità del male, e quelli che leggermente feriti partivano. Eccetto tre, che non erano membri della Chiesa, ed un capitano, che mostrava di essere un membro putrido, gli altri tutti ch’andarono a’ piè di Dio, s’acconciarono dell’anima, ricevendo di buon cuore i sacramenti. Le monache Salesiane, il casato dei Saibanti, e molt’altri gareggiarono nel mandare spontaneamente e gratuitamente, a sollievo e ristoro degli infermi e vino e minestre ed altre vivande, non che faldelle, stuelli, paglioni e primacci, le quali ultime cose alcuni pietosi cittadini andavano raccogliendo scorrendo le contrade e picchiando alle porte.

La pietà e insieme l’orrore che sentivano i roveretani per questa tragica scena, crebbero fuor misura alla vista della snaturata sevizie dei napoleonici soldati in verso i sollevati tirolesi caduti fatalmente nelle loro mani. Oh quanto è crudele la razza dell’uomo, quando dall’ira e dalla vendetta vien dominata! Per satollare queste obbrobriose passioni non bastava loro torli di vita passandoli per l’armi; ciò era troppo dolce cosa al loro animo: dovevan esser prima martorizzati o collo scarpellarli, o col menar loro de’ forti pugni sulla faccia, o a colpi di bajonetta, o col calcio dell’archibugio, e così via. Fatta però riflessione che ciò è un niente a petto di quello che i soldati bavaresi fecero in sulle prime coi tirolesi caduti in lor potere nei fatti della Pusteria, di Sterzing e d’Innsbruck, e di quello che avrebbero fatto, se minacciati non venivano della rappresaglia, io m’asterrò dall’affliggere l’animo del lettore in raccontare sì mostruosi eccessi, che tanto denigrano l’umanità, e dirò in vece, a corollario della prenarrata battaglia, la quale durò oltre a cinque ore, che la parte napoleonica perdette circa mille uomini fra feriti e morti con pochi prigionieri, e circa settecento l’austriaca, i cui feriti vennero condotti nella massima parte all’ospedale di Trento sopra trentasei carri.

Pria ch’io chiuda questo capitolo, altri fatti mi chiamano alla destra dell’Adige. In sui primordi della battaglia di Volano e dei monti di Rovereto, il generale Fontanelli, che aveva stabilito il suo alloggiamento in un’erma casa situata in sulla stanca riva dell’Adige nel luogo detto alla Favorita appresso il tragitto di Ravazzone, era venuto a conoscere per gli suoi esploratori, che le scolte da lui postate in vari luoghi vicino al lago di Loppio, facevano fuoco contro la vanguardia di quei tirolesi, che partecipando alla comune difesa imbrandirono le armi, ed assembraronsi in Arco e in Riva, la qual ultima città fino dal dì 24 era stata occupata in nome dell’Imperatore d’Austria dai sollevati discesi dalle valli di Sole e di Non, sotto il governo dei capitani Vecchietti, Martinelli, Bozza e Cominelli, a’ quali unironsi le genti di Tenno, guidate dal capitano Canella, ed altre genti delle Giudicarie e dei circostanti paesi levatisi in armi ad esempio de’ tirolesi tedeschi, e tutti determinati ed ardenti di congiungersi colla colonna austriaca condotta dal general Fenner.

Il generale Fontanelli, che colla sua gente dovea tener principalmente guardata e difesa la destra sponda dell’Adige, perchè sapeva che per questa calava Fenner, non s’interessava gran fatto delle minaccie di quei sollevati; questi all’incontro, veggendosi alquanto ingrossati, incalzavano il loro avanzamento, sbaragliando i pochi napoleoniani che glielo contrastavano, e innanzi il meriggio entravano strepitosamente in Mori, mettendo negli abitanti non poco scompiglio e spavento per lo campana a martello che, sfondata la porta della chiesa, si accinsero a suonare col nemico vicino; per lo che il paese dovea essere messo a ferro ed a sacco, se il parroco locale Emmanuele de Sardagna da Trento con indicibile coraggio non si fosse presentato supplichevole al general Fontanelli in mezzo alla piazza, facendogli conoscere la piena innocenza dei suoi terrazzani. Non volendo il Fontanelli tollerare che Mori restasse in possesso dei sollevati, staccò dal suo corpo una banda d’uomini a piedi e a cavallo, e ordinò alla medesima che il resto del paese fosse tostamente ripreso. Entrò furiosa la cavalleria, indi l’infanteria. Prevenuti i sollevati del movimento nemico, si erano già ritirati per tempo alla volta di Nago scansando così uno scontro, che avrebbe loro certamente costato gran sangue e mortalità. Alcuni però raggiunti dalla cavalleria furono tagliati a pezzi; e tre, ch’erano di Arco, presi in sulla piazza di Mori, vennero passati per l’armi alla presenza del generale che ne diede il comando; altri si rifuggirono intorno alla chiesa parrocchiale, situata in luogo più eminente della strada, e di qui ardirono affrontare col fuoco la cavalleria, anzi un tale ebbe l’audacia di discendere in mezzo alla piazza, vibrare un’archibugiata, ed uccidere un cavalleggiero. L’impetuosa entrata della cavalleria nel paese cagionò eziandio la morte di due moriani, che presentatisi alle finestre nel mentre che quella scorreva le contrade, vennero colpite dalle archibugiate ch’essa scagliava contro di quelli che vi si affacciavano, sospettandoli sollevati in agguato.

I bellici fatti del giorno 24 ebbero il narrato esito su ambedue le sponde dell’Adige, e i combattenti entravano nel riposo, ristorandosi delle sostenute fatiche, riposo che continuò anche il dì 25 fra le due armate della sponda sinistra; ma non così avvenne di quelle campeggianti oltre l’Adige nel luogo di Ravazzone. Quivi il general Fenner doveva dar prove del suo valore, quivi doveva scaricarsi il turbine paventato dai roveretani nella stessa giornata, e rompersi l’incertezza della pendente vittoria. I circa tre mila napoleoniani, che in quella situazione stavan pronti alla difesa, venivano in sul comparire del dì 25 attaccati dall’avanguardia del corpo austriaco. L’attacco, che ristretto sembrava da principio, facevasi in appresso gradatamente più largo e più ostinato, e durava lunga pezza indeciso, poche erano le ferite e le morti; ma essendo entrati nuovi ajuti agli austriaci, facevano questi piegare in lor favore la fortuna. Contrastavano fortemente i napoleoniani; ma vedendo Fontanelli le maggiori forze spiegate dagli avversarii, ordinava a’ suoi la ritirata in sulla sinistra del fiume, dopo aver saccheggiato parte di quel paese, e condotti seco quattro signori in ostaggio; e in pari tempo faceva abbruciare e distruggere il ponte di Ravazzone, conformandosi alle disposizioni del supremo suo comandante. Alcuni carriaggi di munizione e d’altri oggetti militari, errata vicino a Tierno la strada, in luogo di andare per la via della Crona alla Chizzola, riuscirono troppo tardi alla riva destra del fiume, e furon predati da quei popolani e dai sollevati, che saputa la ritirata del nemico, erano già sopraggiunti da Nago. In sulla sera i napoleoniani della sinistra si congiunsero coll’armata osteggiante in Rovereto, e gli austriaci s’impossessavano di Mori, rannodandosi colle squadre de’ sollevati del lago di Garda e del Sarca.

L’ordine dei fatti mi conduce ora a raccontarne uno assai doloroso. Alla municipale Rappresentanza di Sacco, terra alla sinistra riva dell’Adige, a un miglio da Rovereto, fu compartito l’ordine che ottanta ammalati di leggieri ferite fossero per acqua tradotti a Verona sur una zattera. Il Municipio, ben comprendendo tosto l’intoppo del ponte eretto militarmente a Ravazzone, a pochi minuti sotto di Sacco, fa subitamente osservare per lettera dei 22 aprile l’impossibilità di quel passo. Il generale persiste, ed il Municipio non cessa di rinnovellare anche a voce le sue dimostrazioni, massime sulla difficoltà di avere i zatterieri che si prestino all’opera; ma è di nuovo respinto dalla militare ostinazione e persino minacciato. Nella seguente giornata il naviglio era già pronto. Alcuni zatterieri s’erano allontanati, ed altri nascosti; i pochi rinvenuti in paese furono costretti al duro uffizio coll’armi. V’entrano i feriti, alcuni vi sono portati, fra questi il capitano Barbieri, che addolorato oltremodo dalla ferita, accelerava più d’ogn’altro l’infausta partenza. Il naviglio si stacca dal porto, già sparisce fra brevi istanti dalla vista di coloro che compiangevano il fatale pericolo, e poco stante è alla veduta del ponte. I remiganti già preparati al disastro, scorgendo che alcuna barca non n’era stata levata, come per estremo espediente aveasi chiesto da ultimo, ed era stato promesso, abbandonano disperatamente i remi, gridando ajuto; ed il gettarsi tostamente nel fiume, e l’afferrare a nuoto la sponda, lasciando alla ventura il naviglio, fu d’un solo momento. Abbandonato il naviglio in balia dell’onde, che a Ravazzone si fanno furenti, urta con gran fracasso nelle barche del ponte, e va tutto in sfracello. Le grida di que’ disperati si confondono con quelle dei militi spettatori, e s’innalzano sino al cielo. Alcuni pochi più vigorosi degli altri arrivano nuotando a salvamento: gli altri tutti perirono miseramente. Le anime gentili inorridirono all’orribile caso, e piansero su quei prodi, i quali, scampata la morte nelle battaglie, ne trovarono una sì lagrimevole per la brutal pertinacia di chi vegliar doveva alla loro sicurezza. Fu maledetta la guerra, fu maledetto all’ostinatezza del generale, e a chi non diede in tempo opportuno la necessaria ordinazione al proposto rimedio.

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