CAPITOLO V.

Napoleone comanda di tôrre al Tirolo la comunicazione coll’Austria. Avanzamento de’ napoleoniani nel Tirolo italiano. Difesa del tenente colonnello conte di Leiningen in Ala. Sua ritirata a Rovereto, a Trento e poscia a Lavis. Il generale Rusca l’insegue. Carattere strano di questo generale. Sua diversione verso Bassano. Il Leiningen con 800 fanti e 50 dragoni prende alloggiamento nel castello di Trento, che viene fortificato insieme alle mura della città. Scorrerie del Leiningen verso i confini veronesi. Il maresciallo Lefebvre entra nel Tirolo tedesco colle due colonne governate dai bavari generali Wrede e Deroy. Quest’ultimo entra in Innsbruck. Hoffer lo attacca colla massa tirolese, e con piccol nervo d’austriaci. Seguono varii ed accaniti combattimenti con trionfo dei tirolesi, che liberano dal nemico tutta la valle dell’Enno. Fatti d’armi avvenuti nel Vorarlberg. Napoleone pianta il suo alloggiamento a Schönbrunn. Capitolazione di Vienna, e battaglia d’Essling.

Le vittorie di Napoleone sulle terre di Germania allargavansi anche in sul cominciare di maggio, e facevano gemere vieppiù la Casa d’Austria, talchè la di lei armata, anzichè volgere il pensiero alla difesa del Tirolo, pensar doveva a difendere il trono e le viscere più interne della sua monarchia. All’incontro Napoleone, quantunque occupato nella grandiosa impresa d’impadronirsi un’altra volta dell’austriaca metropoli, non perdeva di vista il punto centrale della tirolese provincia; e però, in mezzo alla folla delle sue operazioni di guerra e di stato, dettava dalle sponde del Danubio il comando, ch’ella si mettesse meglio alle strette dalle truppe di lui e de’ suoi alleati; che si avesse a ripigliare, e che tolta le fosse la comunicazione che colle armate cesaree ancora conservava. I tirolesi vedeano queste gravi e minaccianti misure, la piena dei mali che lor venivano addosso, i fieri colpi della fortuna da cui l’Austria era flagellata; ma le notizie che circolavano, o si facevano correre con segreti raggiri, e dell’insurrezione ungherese e croata, e degli eretti battaglioni di difesa del paese, e de’ fortissimi armamenti nelle provincie ancor possedute dall’Austria, e dell’unione de’ varii suoi corpi d’armata, riempivano le menti, adescavano maggiormente la speranza di vedere ben presto un felice rovescio di cose, ed erano di fortissimo sprone agli allarmanti apparecchi della patria difesa.

Il tirolese suolo risuonava pertanto novellamente d’armi e d’armati. Difatto, non appena avea incominciato Chasteler la sua ritirata dagli italici confini, che le napoleoniane truppe vi penetravano dalla parte del territorio veronese. Il tenente colonnello Leiningen, rimasto al comando del retroguardo imperiale, veniva assalito il giorno 2 maggio presso la città di Ala. Egli si opponeva coraggiosamente per qualche ora, ma il luogo e le poche sue forze di soli 600 uomini non consentivano di durar d’avvantaggio nella difesa, tanto meno che altrimenti suonava l’ordine del supremo suo comandante. Il dì seguente parea volesse rinnovellare il contrasto a Rovereto, avendo postata la sua gente in vicinanza alla chiesa di S. Maria del sobborgo di S. Tommaso; ma fosse la notizia delle superiori forze napoleoniane, fosse la situazione troppo esposta ad essere da più parti superata ed assalita da tergo, egli cambiava tutt’ad un tratto disposizione, e intorno alle ore 9 di mattina partiva difilatamente alla volta di Trento. Due ore dopo entrava in Rovereto la colonna del generale Rusca di circa 4000 uomini, con artiglieria, la cui vanguardia era comandata dal generale Bertoletti. Ad eccezione di alcune squadre appuntate verso a Volano, alle Porte e al monte della Croce a cavaliere delle strade di Vallunga e di Noriglio, il resto della soldatesca, fra cui si contavan trecento cavalli, s’accampava militarmente nella strada del Corso nuovo e dei Paganini.

Durante la sua dimora, ebbe la città a scorgere che i comandanti napoleoniani non più la trattavano come suddita dell’alleato re di Baviera, ma come un paese di conquista, ed aderente agli altri sollevatisi paesi del Tirolo. Un sì fatto cangiamento spiegava massimamente il Rusca, per verità valoroso guerriero, ma di sì ferrigna natura, che il Tirolo tedesco ricorderà col più alto rammarico e per lunga stagione. D’umore assai stravagante, appena pose piede in Rovereto, rimproverò acremente i cittadini delle allegrezze che col festivo suono delle campane manifestarono alla venuta degli austriaci, dell’orrevole servizio dalla cittadina milizia prestato al generale Chasteler, accontentandosi poi, che a lui pure fosse fatto eguale onore; pretese senza discrezione per la sua truppa duplici porzioni di vitto e di foraggio, cioè non il bisognevole, ma il superfluo; minacciò al Marchesani l’incendio della sua stamperia, per aver egli, nel tempo che in Rovereto stanziavano gli austriaci, pubblicate colle sue gazzette alcune notizie da lui appellate false e in disdoro dell’armi francesi ed italiane; minaccia, che dopo l’incusso spavento, e le interposizioni fatte, convertì bizzarramente in una risata, prorompendo che altro è dire, altro è fare. Abbisognando di tradurre ad Ala alcuni prigionieri austriaci, ordinò al comandante dei militi cittadini che ne fossero messi tantosto a sua disposizione dodici, con un caporale, perchè servissero a quelli di scorta; ed avvisato ch’eran già pronti al suo volere, se gli fece tutti comparire dinanzi, e nell’affidar loro il trasporto: «Arricordatevi, disse loro con severissimo piglio, che se alcuno dei prigionieri, che a voi oggi consegno, vi avesse a fuggire, per uno di essi, sarà passato per l’armi uno di voi.» Ai deputati di Mori, requisiti sotto responsabilità del Municipio di Rovereto, bravò l’incendio della lor terra per le archibugiate scagliate contro i cavalieri francesi, per aver dato nelle campane, e rapinato il militare carriaggio: l’agitazione di quell’innocente borgata era venuta al sommo; ma nell’angoscioso evento non venne meno il civile coraggio di Giuseppe dei Telani, onorevolissimo cavaliere roveretano, il quale, essendo deputato cittadino, e per volere del generale nella necessità di doversi giorno e notte prestare ai di lui comandi, arrivò a insinuarsi, e a poter di modo sul soldatesco cuore del Rusca, da disacerbarne l’ira, che, fosse vera od infinta, non fu schiva agli accordi, e si quetò al tintinno dei numerati quattrini, mostrandosi persino generosa nel rilasciare i capi di famiglia presi in ostaggio nel punto della ritirata. Per buona ventura la città fu ben presto liberata dalle stravaganze e dal rigore d’un sì temuto condottiere; il dì 4, verso il meriggio, egli partiva alla volta di Trento con una parte della sua gente, avendolo l’altra seguitato il dì appresso.

Affacciavasi l’antiguardo francese alle 5 della sera alla porta di S. Croce di Trento. L’audacissimo Leiningen, ultimo fra tutti a ritirarsi, n’avea chiavate di propria mano in faccia al nemico le imposte, ed a sprone battuto si scaraventava fuor delle cittadine contrade. Giunto nel sobborgo di San Martino, dall’alto d’una finestra, a cui troppo avventatamente fu levata la sbarra affin di chiuderla per l’improvviso tafferuglio, cadde molto a lui vicino un vaso di fiori; e a una gettata di fucile fuor della porta, un carro di sermenti, che dalla via di Pietra Stretta era sboccato in quel punto a tutto caso sullo stradone, abbarrò la corsa al focosissimo suo cavallo, che lanciatosi a tutta carriera fuor sopra di quell’ostacolo, lo salvò dall’esser fatto prigione dai francesi dragoni, che circuendo velocissimi l’esteriore pomerio della città, gli erano già riusciti alle spalle. Per questi due accidenti, a cui si volle dare doppia interpretazione, e questa tale che non si dovea, gl’innocenti cittadini, presi in forte sospetto, furono spaventosamente minacciati, ed il Municipio accusato e chiamato a giustificarsi.

Il Rusca, fatto alto nel sobborgo per aspettare l’artiglieria, che l’avanzante colonna spalleggiava, avendo udito dai cittadini, a cui avea imposto d’aprire, che il colonnello austriaco s’avea portato la chiave, ordinò loro di ben guardarsi, e con tre palle di cannone dirittamente imberciate la porta era sfondata. Entravano circa le ore sei i napoleoniani, e siccome il Leiningen s’era intanto ritirato al più opportuno ritegno di Lavis, così l’ingresso succedeva nella tridentina città senza spargimento di sangue. Tutti temevano che al domani le avversarie parti venissero a giornata in sulle sponde del torrente Avisio, alla cui destra stavano trincerate le genti dal Leiningen comandate; ma non fu vero, poichè il Rusca conduceva il dì 5 la sua colonna alla volta di Bassano. Donde traesse l’inaspettata diversione nol si potè penetrare; chi la diceva derivante da un comando del vicerè, e chi voleva sapere che un esploratore avesse informato il Rusca, il piccolo corpo capitanato da Leiningen essere stato ingrossato da molte compagnie di difensori, calate dalla valle di Fiemme e dalla terra di Bolzano. Il Leiningen, che in Lavis aveva apparecchiati alla difesa i pochi suoi valorosi, in un coi tirolesi ivi arrivati di fresco, udita la diversione del Rusca, si maravigliava dell’impensato evento, e in sulla sera del giorno stesso si trasferiva a Trento con 800 fanti e 50 dragoni, stabilendo nel Castello di questa città il suo alloggiamento, e dichiarandosi comandante superiore del Tirolo meridionale.

Al rumore dell’armi subentrava ne’ susseguenti giorni di maggio alquanto riposo, ma riposo doloroso anzi che no, attesa principalmente la procella, che oggimai a danno del Tirolo da lontano ululava, e che gli uomini assennati, e non diretti dal cieco fanatismo, vedevano pur troppo avvicinarsi. Scorgeva di leggieri il Leiningen, che la destinazione della governata colonna dipendeva in ispecie dall’esito delle grandi armate, e prevedeva pur anco, che il non lontano nemico non solo nol lascierebbe in pace, ma che anzi verrebbe a molestarlo ben di sovente; e perciò venne alla risoluzione di migliorare con ogni sollecitudine lo stato di difesa, che porgere potevano il castello, e la murata città. A quest’uopo fu innalzata, e coronata di cannoniere la torre, che dentro il castello signoreggia; si aprirono feritoje; si costruirono casematte, terrapieni e barricate, tanto nell’interno quanto davanti alle sue porte; si atterrò buon tratto delle mura che cingevano il parco, detto la Cervara, affinchè il nemico non avesse a mettervisi in agguato; si ristaurarono le cittadine mura, massime presso la porta di San Lorenzo, e quella di Santa Croce, sopra di cui furono appuntati due cannoni. Per tal modo ei procacciava di rendere le fortificazioni se non capaci abbastanza a mantenervi una lunga resistenza, almeno atte a rintuzzare momentaneamente un’impetuoso e pregiudicevole assalto.

Mentre si mandavano ad esecuzione queste opere di difesa, ravvisavasi, tanto nei regolari di Leiningen, quanto nei difensori tirolesi delle compagnie di Bolzano, della valle di Fiemme, e di alcun’altra, un continuo andare e venire, ora in su ora in giù ora in uno ora in altro paese; lo stesso Leiningen scorreva di tratto in tratto l’italiana regione con un qualche distaccamento della sua colonna, ed alcuna delle sue pattuglie, bezzicando perfin oltre i confini dell’italico regno; anzi riuscì ad una delle medesime di sorprendere, in sul finire di maggio, nel paese di Torri, posto sul lago di Garda, alcuni gendarmi, che prigionieri condusse a Trento coi loro cavalli, e due piccoli cannoni levati da quel villaggio.

Lasciando ora il Tirolo italiano nella dolorosa sua quiete, mi volgerò a dire del tedesco, a cui le avvenute cose mi chiamano. Il carico principale di mettere questa regione alle strette, fu da Napoleone commesso al maresciallo Lefebvre, da lui creato Duca di Danzica, staccandolo dall’armata, che in verso l’austriaca metropoli la vittoriosa marcia aveva indirizzata. Il prescelto duce già veniva alla volta della sollevata provincia, agguerrita piuttosto d’un ardire sovrumano, che d’armi bastanti all’ideata difesa. Conduceva seco i corpi d’armata, di cui avevano l’amministrazione i generali bavaresi Wrede e Deroy. Penetrando dal Salisburghese per lo passo di Strub, scontravasi il dì 13 maggio presso Wörgel con un distaccamento del corpo d’armata del tenente maresciallo Chasteler, chiamato ad altre più gravi fazioni. La preponderanza delle bavare forze ripulsava lo scontro, superava facilmente la posizione, e il dì 19 entrava in Innsbruck, conquistando l’intiera valle dell’Enno inferiore. Una disposizione del supremo comando militare richiamò il dì 23 da detta città a Salisburgo il corpo principale di Wrede, sicchè non rimanevano nella sottomessa valle che circa 6000 uomini, fra cui 1000 di cavalleria, con 18 cannoni, comandati dal generale Deroy. Tutti i passi del settentrionale Tirolo, da Reutte sino ad Ackenthal, venivano a questi giorni occupati ed armati dalla bavara milizia. I pochissimi ostacoli, che i bavari incontrarono nella narrata occupazione, facevano loro credere oggimai, che la calma fosse subentrata ai passati rumori; che il sentimento dei tirolesi di difendere l’indipendenza della lor patria fosse svanito, e che ritornati e tranquilli ei fossero ai loro focolari. La cosa camminava invece tutto all’opposto. Il valoroso Hoffer, che non aveva ancora nè perdute le speranze di vedere l’Austria risorgere, nè deposto il pensiero della patria difesa, usciva tutt’ad un tratto il dì 25 con una parte della rassestata massa dei difensori, e si accingeva ad attaccare i bavaresi spalleggiato dai battaglioni de’ reggimenti imperiali Lusignan e Devauk, e de’ cacciatori, che il generale barone di Buol, comandante superiore del Tirolo, intento a far condurre a termine le fortificazioni sul Brenner, aveva quivi appositamente distaccati dal comandato suo corpo. L’ammassato esercito con sei cannoni si divideva in due colonne. Una, composta di tirolesi diretti da Hoffer, e di regolari comandati dal tenente colonnello barone Ertel di Lusignan, addrizzava i passi dallo Schönberg verso il monte Isel; e l’altra, che ubbidiva al tenente colonnello de Reissenfels di Devaux, rivolgeva il cammino per Ellenbögen verso Hall. Ardire e volontà conforme sì negli uni che negli altri, promettevano fortunoso avvenimento. I bavari avevano apprestate le armi, desiderosi di venire a cimento con un nemico, che molto odiavano. Alle ore 9 di mattina la prima colonna degli austriaci e dei tirolesi avanzando dallo Schönberg sopra le alture di Naters, costringeva con molta violenza le bavare schiere ad abbandonare in tutta fretta la loro posizione sul monte Isel, ed a trincerarsi sulle alture di Wilten. Quando l’austro-tirolese colonna si approssimava alle trincee, scaricavano i bavari contro di essa una rovinosa tempesta di moschettate e di palle di cannone. I bravi cacciatori ed artiglieri austriaci, fervidissimi alle confortatrici parole di bravi capitani, si avventavano coraggiosamente i primi. L’urto impetuoso di questi, e il non minore riurto di quelli, accrescevano il numero delle uccisioni. La parte bavara propulsava terribilmente il novello assalto degli avversarj, ma questi menavano le mani con tanto impeto nell’accaneggiato conflitto, che quella incominciava a disordinarsi nel corno sinistro, e quindi calava in campo aperto ritirandosi in sulla sera verso Innsbruck, e cedendo alla parte vincitrice le anzidette alture.

Inaspriti i bavari dalla perdita di circa mille uomini fra morti e feriti, ricomparivano il dì 26 furiosamente alla pugna. Un’ora avanti il meriggio incominciava a farsi novellamente sentir nella valle lo strepito spaventoso dei cannoni e della moschetteria. L’urtare e il sospingere succedevano a vicenda; niuna delle parti piegava; in ambedue oltremodo imperversavano il coraggio e l’ostinatezza. Al tramontare del sole rallentava, per mancanza della munizione, l’indicibile costanza della tirolese milizia, declinando a poco poco dal combattimento. I bavari, approfittando dello scorto rallentamento, arrovellatamente rovesciavano, scompigliavano e ricacciavano i tirolesi, i quali, giunti al punto di non poter più rispondere col fuoco, ed essendo per soprassello venuto a piovere, rinunziavano in un cogli austriaci al vantaggio pria riportato, e quinci ritornavano alle primiere posizioni dello Schönberg e di Patxh, cedendo loro il monte Isel, e le alture di Natters. In queste posizioni campeggiavano i dì 27 e 28 le combattenti squadre, prendendo riposo dalle fatiche nei varcati giorni sostenute.

Il dì 29 era destinato a novello cimento, e fra le ore 8 alle 9 del medesimo gli austriaci e i tirolesi divisi in due colonne come il dì 25, diffilavano fieri e baldanzosi verso le nemiche trincee. I tirolesi sommavano a diciotto mila. I guerrieri si approssimavano, si scoprivano, e principiavano a fulminare coi cannoni e cogli archibugi. La battaglia infuriava, il cannonamento e la moschetteria facevano un orribile rimbombo, e spaventavano terribilmente i valligiani, e gli abitanti della circostante città. Al valoroso combattere degli austriaci e dei tirolesi rispondeva il valoroso combattere dei bavari soldati. Di tre ore era già passato il meriggio, che i forti petti tuttavia rinfocolavano nella pugna mantenendo in bilico la contrastata vittoria, ma in fine verso le ore quattro l’eroico valore degli austriaci e dei tirolesi superava l’eroico valore dei bavari. Non potendo questi più resistere al terribile cozzo ed alla micidialissima strage, prendevano sforzatamente il partito di ritirarsi nella pianura, e di qui, continuamente perseguitati dagli avversarj, ripiegavano alla volta d’Innsbruck. I vinti perdettero fra morti e feriti circa 2300 uomini; 269, compresi sei ufficiali, rimasero prigionieri, e circa 300, giusta la costoro asserzione, andaron smarriti. Tre carri di bagaglie e tredici di munizione ornarono il trionfo dei vincitori. A tale preda aggiunger doveansi quattro cannoni, che i bavari, per non abbandonare nelle mani nemiche, rovesciarono dal monte Anget nelle acque. La perdita degl’imperiali sommava fra i morti a due ufficiali, venticinque uomini e due cavalli, e fra i feriti a sessanta con un ufficiale; e quella dei tirolesi consistette in cinquanta morti, e dai settanta agli ottanta feriti. Dalla parte di questi fu molto compianta la morte del conte di Stakelburg di Merano, e dai bavari quella del loro tenente colonnello Günter.

La toccata sconfitta avvertiva il bavaro generale Deroy, che Innsbruck non era più luogo adattato per evitare un nuovo impeto, e veggendo, d’altra parte, che prima di risorgere a nuova guerra gli abbisognavano rinforzi, atteso specialmente l’ingrossamento della milizia tirolese, deliberò di ritirarsi, e nella notte fra il dì 29 al 30 dirigevasi cogli avanzi della sua colonna per la via di Hall e Kuffstein a Rosenheim. L’austriaco maggiore Theimer, che cogli abitanti della valle dell’Enno superiore ebbe intorno a Zill molta parte al narrato combattimento, seguitò fino a Kuffstein i fuggenti bavari, i quali potevan pur bene essere rinserrati, e rimaner quindi tutti prigioni, se gli austriaci ed i tirolesi avessero avuto la precauzione di occupare la strada pel monte Anget, quella della valle di Maria-Stein; e così alla fine di maggio l’intiera valle dell’Enno veniva sgombrata dal nemico, ed il paese, ad eccezione della fortezza di Kuffstein, tornava di bel nuovo in poter della nazione.

Mentre nella valle dell’Enno in tal modo cozzavano i tirolesi la causa, che incominciava a formarsi nazionale, gli abitanti del Vorarlberg, che insieme al Tirolo si levarono, davano anch’essi valorose prove pel sostegno della causa medesima, che egualmente loro interessava, perchè vincolati alla stessa provincia. Nella giornata appunto del 29 maggio venivano essi attaccati presso Hochenems da un distaccamento di mille uomini, composto di soldati francesi, bavari e virtemberghesi, a cui facevano scudo altri cinquecento di cavalleria ed alcuni cannoni. All’urto di questa gente stavano apparecchiati i vorarlberghesi. Dopo le sette del mattino appiccavano quelli un vivissimo fuoco contro il loro centro comandato dal capitano Müller. Se gagliardo ed animoso era l’urto dei confederati, non meno gagliarda facevasi la difesa dagli abitanti del Vorarlberg, i quali non solo sostenevansi, ma inferocivano nell’aspra tenzone, di foggia che riuscivano bravamente a repulsare gli offensori, afferrando la vittoria col metterli in fuga sino a Klien, piccol villaggio fra Dornbürn ed Ems. Di concerto col capitano Müller agiva il capitano Riedmüller, che coll’ala sinistra al di lui governo commessa si avanzava sulla strada di Götsis verso Lustenau per minacciare di fianco il nemico, nel mentre che dai piedi del monte presso Hochenems sino verso Klien si avanzavano coll’ala destra i capitani Nachbauer ed Ellensohn. Il fuggente nemico, appuntandosi poscia coi cannoni e colla cavalleria in sulla strada, affaccendavasi a tutta possa d’impadronirsi di Klien. Riattaccavanlo quivi colle sopraggiunte loro squadre i vorarlberghesi. I collegati, mutando l’offesa in difesa, scagliavano sugli assalitori una grandine di palle d’archibugio e di cannone. Si battagliava già da due ore, in capo alle quali la parte vorarlberghese aggiungendo forza a coraggio rovesciava i collegati, di guisa che finalmente dovettero questi e rinunziarle l’occupato suolo, e rinculare sino a Lautrach. In questa posizione allargavano a destra e a sinistra la loro cavalleria per difendersi da un ulteriore attacco.

Senza far alto in alcun luogo e riposarsi, continuavano i vorarlberghesi nella vittoriosa impresa, avanzandosi a presti passi col loro centro per la strada maestra di Lautrach unitamente ad una compagnia del reggimento imperiale Lusignan, avente un cannone, e coll’ala destra verso Wohlfürth sino al ponte di Ach, al quale il nemico stava appiccando il fuoco per distruggerlo. Non dissimile destino ebbero i collegati anche in quest’ultimo certame. L’investirli, il batterli, il disordinarli e il metterli in ritirata verso Bregenz, fu l’opera di brevi istanti. Per un rinforzo di 400 virtemberghesi, dianzi arrivati in Bregenz, credevano essi di ristorare la cadente fortuna, e però con estremo sforzo affrontavano ivi novellamente l’avanzante colonna. Questa serravasi loro addosso con tanto irresistibile impeto, che una mezz’ora sola bastò a prostrare totalmente le mal fondate speranze, e dopo sette ore di reiterate fazioni andava il nemico a riposarsi in Lindau, sgombrando scompigliatamente la città di Bregenz e i suoi dintorni, di maniera che tutto il Vorarlberg per lo squisito valore di pochi suoi abitanti veniva per intiero liberato da un’armata superiore di forze, e provveduta di cavalleria e di artiglieria, e ciò con non grave perdita, la quale, per morti, feriti e prigionieri, fu molto più significante nella parte nemica.

Con questi fatti stava per uscire il mese di maggio. I tirolesi e i vorarlberghesi insanguinavano le valli ed i monti, arrischiavano le loro vite, si esponevano agli orribili strazj, agli aspri martirj, ed alle dolorose morti per difendere l’offesa patria, e liberarla dalla insoffribile presenza d’un irato nemico; ma le vicende dell’Austria si riducevano ad un partito viemmaggiormente disperato, ed atterravano ognor più, a giudizio dei savj, la lusingatrice loro speranza, fomentata da alcuni fanatici, che prendevano lucciole per lanterne. Già sino dal dì 13 le armi napoleoniche folgoreggiavano in Vienna, avventurosamente sottratta, per la statuita capitolazione, dal già cominciato bombardamento; già Napoleone, gran maestro nell’arte delle battaglie, avea con alta maraviglia superati i più possenti ostacoli, e passeggiava trionfante gl’imperiali appartamenti di Schönbrunn, dove gli si presentarono i viennesi deputati, che, oltre la salvezza della città, ottennero promessa che dessa sarebbe trattata cogli stessi riguardi dell’anno 1805. Un tanto infortunio accorava oltremodo l’Imperatore Francesco, veggendo specialmente la diletta sua capitale signoreggiata dal nemico; ma le speranze da lui riposte negli arciduchi Carlo e Giovanni suoi fratelli, e lo spirito delle armate di cui essi avevano il supremo generalato, non erano ciò non pertanto scemate. Curvati sotto tanti disastri, in preda a tante afflizioni, conservavano queglino in sì crudele frangente immota la mente, e ruminavano i disegni per poter fiaccare l’orgoglio del vincitore. La grossa e sanguinosa battaglia d’Essling, combattuta con avversa fortuna ai 21 e 22 di maggio, porge una luminosa prova dell’egregio valore, che nel petto degli austriaci guerrieri ancor s’annidava a fronte dei rovesci e delle gravissime perdite incontrate: contro la forza non basta il valore; e quella era di gran lunga superiore negli eserciti di Napoleone, che, oltre della gran massa dei francesi e degl’italiani, si componevano dei contingenti forniti dai Principi della renana confederazione.

Share on Twitter Share on Facebook