CAPITOLO VII.

Silenzio momentaneo delle armi. Bisogno di munizione da bocca e da guerra, e provvedimenti relativi. Ordinamento di nuove compagnie di difesa, ed inciampi ad eseguirlo nella parte italiana, e a Rovereto in ispecie. Soppressione delle milizie cittadine del Tirolo italiano. Prestito forzato ingiunto dall’imperial Commissario. Requisizioni dei varii capitani di difesa nel Tirolo italiano, e freno imposto alle medesime dal comandante imperiale Leiningen. Dimissione d’alcuni capitani in parte stranieri. Sul principiar di luglio la quiete dell’armi si rompe nel Vorarlberghese, e a Kuffstein. Valorose prove di alcuni tirolesi. Battaglia di Wagram, e sue conseguenze pei tirolesi.

Nel mese di giugno tacevano avventurosamente in Tirolo per qualche giorno le armi, ma in mezzo all’apparente tranquillità altri accidenti, altre inquietudini sorgevano nel desolato paese.

Gl’imperiali magazzini, che somministravano le munizioni da bocca e da guerra alle truppe stanziate nella provincia, erano in questo mese intieramente consunti: la situazione delle grandi armate impediva di poterli ripristinare a spese dello Stato, tanto più che anche la cassa di guerra era pressochè esaurita; il bisogno imponeva che le truppe medesime fossero provvedute a carico dei comuni. Il Tirolo avea sacrificato il sangue e le vite di tanti suoi figli; a questo magnanimo sacrificio dovea aggiunger pur quello di snervare le pubbliche e private casse di danaro, e di privarsi delle proprie sostanze. Ormai le vele della travagliata navicella, portante l’interessantissima di lui causa, erano abbandonate al soffiare dei venti, a seconda dei quali conveniva rassegnatamente navigare. Per quella imperiosa circostanza il vicecommissario Carlo de Menz, in virtù del comando conferitogli dall’aulico Commissario imperiale, Giuseppe barone de Hormayr, sollecitava nel Tirolo italiano, in sul principiare di giugno, gli ordini da quest’ultimo già emanati per l’erezione delle Deputazioni, che provvedessero e sopraintendessero alla sussistenza delle truppe e agli affari inerenti alla nazionale difesa, giusta il sistema del Tirolo tedesco. Pochi dì dopo, lo stesso Commissario, col suo editto de’ 20 giugno, notificava la quantità di prigionieri austriaci, che liberati per diversi felici avvenimenti dalle mani del nemico, trovava un asilo in Tirolo, e si univa alle forze imperiali e tirolesi, fortificando con ciò viemmaggiormente la patria difesa, ed eccitava ad un tempo tutti gli abitanti a mandar armi e vestiti al magazzino di Bressanone per fornire dette genti, che offerivansi a pro della tirolese nazione. «Egli è della massima conseguenza, diceva fra le altre cose, il Commissario, l’accrescere le nostre forze, indebolite per la ritirata del tenente maresciallo Chasteler, coll’aggiunta molto importante di questi bravi, che per la loro esperienza possono maravigliosamente servire di guida ai valorosi difensori della patria.» Ed inculcava quindi sulla necessità di tosto apprestare 3000 camicie, 500 paja di scarpe e di stivaletti all’ungherese, e 500 mantelli, di cui massimamente abbisognavano.

In quanto alla patria difesa il de Menz col suo dispaccio dei 23 giugno, indiritto a tutti i Giudizii distrettuali, ed alle Preture del Circolo all’Adige, abbracciante allora il Tirolo meridionale, istruiva e queste e quelli a formare le tavole per inscrivervi tutti gli abitanti dai 16 ai 45 anni (età che fu poi cangiata in quella da’ 18 a’ 60), chiamati a difendere la patria, coll’esclusione dei sacerdoti e degli impiegati regi e cittadini, e a sistemare le compagnie, ciascuna delle quali dovea comprendere 109 individui. Una deputazione appositamente eretta in Lavis riceveva queste tavole, in cui quattro classi d’individui si distinguevano: la prima e la seconda comprendevano i nubili e gli esercenti un’arte o un mestiere meno indispensabile alla società, e questi erano i primi a marciare là dove il bisogno della difesa chiamavali. In alcuni comuni del prefato Circolo le compagnie venivano attivate colla bramata celerità, ma in alquanti altri, come in Trento, in Rovereto, in Riva, in Ala e ne’ circostanti luoghi insorgevano gravissime difficoltà. La loro situazione troppo accessibile al nemico minacciante da tanti sbocchi, e dal quale erano di continuo infestati, fu il motivo principale che impediva in essi l’effetto di quella patria misura.

Fra le città che il giusto e gravissimo ostacolo misero sott’occhio all’imperial Commissario, Rovereto fu delle prime. Essa, che da vicino poteva prevedere la somma del pericolo a cui, levandosi, col nemico sull’uscio, si esporrebbe; essa che vedeasi dominata ora dai napoleoniani, ora dagli austriaci, senza stabilità nè degli uni nè degli altri, e che in varie occasioni fu testimone dei barbari eccessi dal nemico furore esercitati sui sollevati tirolesi, elesse, nel suo consiglio dei 30 giugno, due deputati nei cittadini Giovampietro conte Fedrigotti, e Giovambattista barone Todeschi, affinchè si presentassero al Commissario, gli esponessero nella piena sua luce la trista situazione dei cittadini, ed impetrassero dal suo potere la dispensa dal levarsi in massa. Convinto l’imperiale ministro dalle forti ragioni esposte dalla roveretana deputazione, non esitò a risponderle – che la dispensa dalla prescritta leva ei non poteva assolutamente concedere ai lagarini, ma che da canto suo avrebbe lasciato cadere l’eccitamento; tanto più, che dalla sperimentata fedeltà del roveretano distretto non sarebbe mancata occasione d’ottenere altre prove in compenso della non fattibile leva, che non è per verità (così conchiudeva egli) nè pur compatibile colla povera e non armigera loro condizione, affatto diversa da quella dei tirolesi tedeschi, universalmente bersaglieri, ricchi, difesi e trincerati fra le naturali strettezze e scabrosità dei monti; tanto più, che il pensiero della maestà del Monarca da lui rappresentato sarebbe ben lungi dall’esigere il sanguinoso olocausto d’industriosi sudditi a lui carissimi. – In questa consolante risposta era già preventivamente concorso col suo vantaggioso parere il tenente colonnello Cristiano conte di Leiningen, il quale, avendo più da vicino riconosciuto la facilità del pericolo di un eccidio nell’evento della leva in massa, che in queste parti si avesse voluto mandare ad effetto, si oppose, qual comandante militare dell’italiano Tirolo, e colla penna e colla voce, argomentandosi a dissuadere da tale misura colle prove le più lucenti tanto il superiore comando militare, quanto la politica superiorità. All’incontro, essendosi presentato di nuovo il bisogno di armare i sollevati d’altri distretti, e soldati accogliticci, egli eccitò la guardia cittadina di Rovereto a dargli le armi da essa possedute; e perchè la sua richiesta non avesse ad urtare l’amore e la fedeltà roveretana verso la Casa d’Austria, con suo editto del 4 luglio, dato dal castello di Trento, egli si esprimeva così:

«Non è già la diffidenza, o fedeli roveretani, quella che mi determina a chiedere le armi della cittadinanza, ma si è l’indispensabile necessità delle medesime per la difesa del Tirolo, di questa Provincia, i cui valorosi abitanti meritano l’attenzione e la stima di tutte le Potenze per il loro valore, per il coraggio, per i sacrifizj loro e per il particolar attaccamento al loro Monarca; e voi, o Roveretani, avete dato a divedere in special modo sì belle qualità: voi avete meritato della gratitudine della Patria e dei ringraziamenti del nostro rispettabile Sovrano ed Imperatore.

«Oltracciò io do la mia parola d’onore, che sarete indennizzati per ogni arma che consegnerete».

Questa milizia cittadina era stata eretta, come nelle altre città dell’italiano Tirolo, dal bavaro reggimento; ogni cittadino dai 18 ai 60 anni era chiamato senza distinzione ad armarsi a proprie spese, affine di vegliare al buon ordine ed alla pubblica quiete. Alla prima entrata che gl’imperiali fecero in Trento, quella milizia, ch’avea alquanti a cavallo, fu chiamata con solennità di apparato alla rassegna dell’armi in sulla piazza, e resa finita; quella di Ala, Riva ed Arco contemporaneamente a quella di Rovereto.

Intanto le compagnie del Tirolo tedesco venivano novellamente sistemate con ogni cura ed attività, specialmente quelle della valle dell’Enno, per le quali il vicecommissario de Roschmann ebbe a spiegare le sue zelanti premure. In queste il valoroso Roberto Wintersteller di Kirchdorf copriva una delle prime cariche. Nominando queste capo non posso tacere a chi mi legge il patriotico sentimento, che annidavasi nel suo petto. Fa d’uopo avvertire, che l’ira nutrita dalla soldatesca bavarese contro i tirolesi s’abbandonava di sovente allo sfogo delle più acerbe vendette. Fra l’altre orrende cose, che la penna freme in rammentare, essa incendiava otto delle di lui case, situate nella detta valle. Scrivendo il Wintersteller una lettera all’arciduca Giovanni, e toccando questa sua perdita, soggiungeva, reputarsi egli abbastanza felice per avere salvate le sue carabine, ed il gran tamburo tolto dall’avolo suo a’ bavari nella guerra dell’anno 1703.

In quanto al mantenimento della truppa imperiale e delle compagnie di difesa, durissima oltre ogni dire era la condizione de’ Comuni. Non solo davano essi, come fu detto, i loro figli, non solo dovevano pagare le straordinarie imposizioni caricate sulle campagne e sulle case, non solo eran tenuti a mantenere nelle proprie terre la gente armata che vi transitava o stanziava, e a vettovagliare i magazzini eretti nelle città, ammanendo a quest’uopo l’occorrente danaro, o con imprestiti ripartiti sugli abitanti, o con appositi locali balzelli; essi dovevano eziandio concorrere a procacciare ogni fornimento necessario all’esercito imperiale stanziato nella provincia, e ad approntare la pecunia atta a sostenere le spese dell’amministrazione, a salariare gli ufficiali e i pensionati dello Stato. «Siamo costretti», diceva a questo proposito l’imperial Commissario colla sua circolare de’ 2 luglio, «di ricorrere ad un mezzo straordinario più pronto, per non lasciar in preda al maggiore dei mali tanto i privati, quanto le intiere corporazioni, e la patria istessa. La storia patria ci offre questo mezzo: un prestito forzato è l’unico mezzo che può salvarci; un prestito forzato sulla norma di quelli che furono adottati ai tempi dei serenissimi Arciduchi Ferdinando, Leopoldo, e dell’arciduchessa Claudia, negli anni 1605, 1632 e 1647. La situazione attuale del Tirolo è ancora più urgente di quelle d’allora.» Esigendo l’imperial Commissario un simile prestito, mitigava la sua domanda, che nelle attuali contingenze riusciva oltremodo acerba, e fatale a’ comuni, col promettere loro tanto la restituzione del capitale, quanto il pagamento dell’annuo canone. È facile l’immaginarsi quale sconcerto avesse portato ai Comuni, bersagliati com’erano a questi giorni da tante spese, l’approntare una somma sì rilevante. I Comuni italiani in ispecialità gemevano sotto il peso delle disorbitanti e talvolta capricciose requisizioni delle compagnie dei difensori italiani comandate dai capitani Garbin, Belluta, Collini, Cantonati, Chesi, Frizzi, Meneghelli, Nocher, Conti, Santoni, ed altri. Guidati questi dall’ambizione di comporre le loro compagnie con quel numero d’uomini che era statuito, arrolavano in esse inavvedutamente quanti lor presentavansi, senza badare se fossero indigeni o pur forestieri, e senza avvisare alla lor fede e condotta. Per tal modo alcuni facinorosi delle vicine provincie dell’Italia, i quali fuggivano la castigatrice giustizia, e molti disertori di estere potenze, approfittando della tirolese sommossa, cercavano in questa provincia un più sicuro rifugio, e s’ingaggiavano nelle compagnie di difesa. Tristi ed infami furono prima, tristi ed infami dappoi. Questa peste di gente senza freno e senza consiglio, germe funesto di discordie, di perturbazioni e di pericoli, infestava i paesi dell’italiano Tirolo in ispecie, e disonorava la tirolese nazione, dandosi alle dissolutezze, alle abbominevoli taglie, alle malvagità, ed alle enormi e stravaganti pretese, e gettandosi dietro le spalle la militar disciplina, le minaccie e i castighi dei capitani, non che l’ordinamento, che contro gli eccessi delle loro requisizioni, a’ 12 giugno, avea pubblicato appositamente il comandante conte di Leiningen. E sì come i malvagi esempi sono pestilenza della più contagiosa, così alcuni di quei cattivi terrazzani, de’ quali le società più o meno rigurgitano, si associavano agli atroci loro sentimenti, e dei più tristi si faceano seguaci. I gravi richiami, che le comunali rappresentanze innalzavano contro l’eccessive prepotenze, che queste collettizie compagnie commettevano per opera dei birboni, che in parte le componevano, furono accolte ed esaudite dalle autorità politiche e militari, che gli affari del paese a quel tempo possibilmente reggevano. Esse cominciavano a scorgere che in quella geldra di paltonieri non allignava nè il sentimento dell’onore, nè l’impulso della virtù, nè il sincero amore di patria, e perciò mandavano fuori nelle due lingue della provincia il seguente

DECRETO

«Considerando, che la sfrenatezza e gli eccessi di quelle compagnie italiane di bersaglieri, che girano nei contorni del lago di Garda, nelle Giudicarie e luoghi circonvicini, hanno persino costretto le oppresse Comunità di armarsi contro le medesime, per reprimere le prepotenze, le estorsioni e angarie di ogni genere; considerando, che la maggior parte degli individui componenti queste compagnie sono forestieri, dai quali non si può aspettare nè riguardi concilianti, nè fermo attaccamento alla Patria, nè l’esigibile disciplina; considerando inoltre, che vengono nel momento organizzate delle compagnie italiane ben regolate di bersaglieri, le quali non già per rapacità e interesse, ma per amore verso l’adorato loro Sovrano, per la conservazione dell’indipendenza dal giogo straniero, e per la difesa dei proprii confini pigliano le armi con nobile coraggio e vigore; considerando finalmente, che giungono da ogni parte numerose lagnanze ed istanti suppliche per ottenere pronto riparo contro le suddette violenze,

«Viene deciso e ordinato quanto segue:

«I. Tutte le compagnie italiane di bersaglieri stazionate o vaganti nei contorni del lago di Garda fin oltre Arco e Villa, nelle Giudicarie, nella Val di Ledro, e nei luoghi circonvicini, nominatamente le compagnie Meneghelli, Bertelli, Belluta, Collini, Cantonati, Chesi, Frizzi, ec., vengono colla presente disciolte, e i loro uffiziali sono personalmente risponsabili, di licenziare prontamente la gente sotto i loro ordini.

«II. I suddetti individui possono tuttavia, all’occasione delle elezioni d’uffizialità, da farsi in seguito alla nuova organizzazione della difesa nazionale, essere nominati alle cariche delle compagnie.

«III. I sotto-uffiziali e comuni delle suddette compagnie, i quali sono forastieri non domiciliati nel paese, o devono prendere servigio nelle I. R. truppe, o legittimarsi in una maniera costante presso le autorità civili, come pretendano e possano mantenersi, e ottenere degli attestati in proposito, oppure abbandonare il Tirolo fra otto giorni.

«IV. In caso che nel Circolo all’Adige si ritrovassero altre compagnie italiane, nè autorizzate dal Comando militare, nè dall’Intendenza, nè dai Comitati, nè dai Comandanti nominati nella Circolare dei 20 corrente, nè regolarmente erette dalle Comunità, saranno pure le medesime da riputarsi disciolte, e vige pure a lor riguardo ciò che venne ordinato nei paragrafi antecedenti.

«V. Dal giorno della pubblicazione della presente le Comunità non sono più obbligate di prestare alcuna somministrazione alle suddette compagnie, ma sono invitate di ajutare ed assistere, ove le circostanze lo richiedano.

«Non solo le I. R. Autorità, ma ben anche le rappresentanze comunali invigileranno all’esatta esecuzione del presente ordine in tutte le sue parti.

«Trento, 26 giugno 1809.

«CRISTIANO CONTE DI LEININGEN
I. R. Ten. Colonnello e Comandante nel Tirolo meridionale.

CARLO DE MENZ
C. R. Sotto-Intendente in Tirolo

Ma ormai il male avea troppo profondate le sue radici, e per ottenerne il rimedio i soli ordinamenti non erano bastanti. Noi racconteremo in proposito, nel progresso di queste memorie, vicende che faranno raccapricciare, e la cui origine a questa gente si deve principalmente attribuire.

Il dì 5 luglio dovea rompersi la quiete dell’armi, che da più giorni regnava. I bavari, che ognor più infrenesivano di poter una volta soggiogare coloro che tante sconfitte e tanto disonore lor cagionavano ad ogni tratto, tornavano a rinnovellare gli ostili attentati. Quelli che il Vorarlberg infestavano, quelli che il presidio della fortezza di Kuffstein componevano, e che in vicinanza alla medesima campeggiavano, al ferro ed al fuoco in detto giorno venivano. Scontrando i vorarlberghesi vigorosamente l’assalto, davano agli assalitori novelle prove di essere ancor tenaci nella pugna, ancor immutabili nel valore, ancor audaci nelle imprese. Non solo di primo slancio li repulsavano dal suolo su cui eransi arditamente introdotti, ma loro producevano altresì una perdita di 120 uomini di cavalleria, e quasi 100 di fanteria, che rimanevano prigionieri di guerra, e coronavano la vittoriosa repulsione coll’acquisto di Wangen. La colonna campeggiante poco lungi da Kuffstein con un apparato assai più minaccioso, menava ad effetto nello stesso giorno il disegno, che da qualche tempo avea meditato: un battaglione di fanti, un treno d’artiglieria, ed un drappello di cavalleria affacciavansi di buon mattino al ponte di Kiefer per superarlo, ed afferrare l’opposta riva. Un altro corpo più numeroso tragittava ad un’ora l’Enno con due cannoni presso la dogana, e una parte dei presidiarii della fortezza mandava da questa una pioggia di cannonate. Gl’imperiali e i difensori avevano già forbite le armi, e con fermezza d’animo attendevano presso il predetto ponte ed a Sparchen l’implacabile nemico, che a minacciarlo veniva. Allorchè le avversarie schiere si erano alquanto appressate, e le rispettive batterie eran disposte, faceano manovrare il cannone, che col suo rimbombo avvertiva i circostanti villaggi dell’aperta battaglia. L’ufficiale bavaro che l’antiguardo indirizzava, e che forzare voleva il passaggio del ponte, pagava alle prime scariche il fio dell’estremo ardimento. Colpito da una palla cadeva insieme a molti cannonieri appresso a’ maneggiati cannoni. I cacciatori imperiali, e le compagnie de’ difensori di Innsbruck e di Söll altamente si segnalavano. Fra quelli distinguevasi colle più luminose prove di sapere e di coraggio il maggiore Giacomo Sieberer, quel Sieberer che nel dicembre dell’anno 1800 vide in Tiersee morire al suo fianco, senza atterrirsi, due fratelli e due cugini dello stesso cognome; tanto poteva in lui l’amor della patria. Nel valore pareggiavalo il sergente Münzel. Fra i difensori si rendevano degni di singolare encomio il capitano Stuffer della compagnia d’Innsbruck, supposto l’uccisore dell’anzidetto officiale, e il sotto comandante Spiss, pria capitano della milizia di Zillerthal, e il capitano Spechbacher di Rinn, conduttore d’una schiera che sommava a 600: le prove d’ingegno, e le illustri prodezze davano a quest’ultimo la preminenza sopra tutti gli altri capi della tirolese nazione. – Ma il nemico, col nervo specialmente della cavalleria e dell’artiglieria, faceasi avanti con esimio coraggio, e urtava sì gagliardamente, che toglieva ai nazionali il modo di sostenere più oltre il pondo delle maggiori sue forze. Laonde cedevano da una inutile resistenza, e senza scompaginarsi si ritiravano parte sopra Thierberg, e parte sopra Thiersee Kirchlsteg, verso la fonte e la torre della polvere di Kuffstein. I tirolesi occupavano oltracciò la selva di Kuffstein, il Lochner, la Doxa, la Hochvacht, e così in questa, come in quella posizione stavano apparecchiati per azzuffarsi colle colonne nemiche allargatesi su ambidue le sponde dell’Enno, qualora indirizzassero alla lor volta il cammino. La qual cosa non avvenne, perchè quando esse arrivarono nella città di Kuffstein, e si uniron al presidio della fortezza portandovi munizione da guerra e da bocca, si astennero da ogni altro attacco, dando a divedere di avere con ciò conseguito il loro disegno. Esse campeggiarono intorno alla città, donde partirono in sulla sera dell’istesso giorno, trasportando seco un grosso numero di ammalati e di feriti. I bavari perdevano in questa fazione 60 uomini circa fra morti e feriti, e otto gli imperiali coi tirolesi.

Mentre in Tirolo s’agitavano queste scene, mentre tutto era in movimento per una sistemata e più gagliarda difesa, ed i tirolesi, sempre intenti alla guerra che ardeva fra le grandi armate nelle vicinanze di Vienna, e in sulle sponde del Danubio, andavano sul buon esito di quella, e massime sopra notizie di alcuni successi favorevoli all’Austria in sul finire del giugno, alimentando le loro speranze, e mantenendo viva la fiamma della sollevazione; un memorabilissimo avvenimento empiva il mondo di maraviglia. La ferocissima battaglia da Napoleone combattuta a Wagram li 6 di luglio squarciava novellamente le viscere dell’austriaco impero. La vincitrice armata inseguiva senza posa i perdenti austriaci; l’imperatore francese presentavasi agli 11, con poderoso nervo de’ suoi avanti Znaim, dove pareva che gli austriaci rinfrancassero, e di fatto venivano a novello cimento. Intanto che nuovo sangue spargevasi a Znaim, il maresciallo austriaco Bellegarde scriveva a Marmont, che il principe Giovanni di Liechtenstein era per recarsi a Napoleone con una missione dell’imperatore Francesco suo signore, a fine di concertare la pace, e convenire per una sospensione d’armi, la quale venne statuita il dì 12, con questo però, che le truppe austriache tuttavia stanziate nel Tirolo e nel Vorarlberg dovessero subitamente evacuarlo.

Share on Twitter Share on Facebook