CAPITOLO VIII.

Incredulità dei tirolesi all’armistizio, e contraria persuasione pubblicata dai Capi. Loro opposizione a’ corrieri. Parlamentario francese giunto a Lizzanella vicin di Rovereto. Avvisi pubblicati intorno al detto armistizio. Gli austriaci evacuano il Tirolo, e v’entrano da ogni lato bavari e francesi guidati nella parte tedesca dal duca di Danzica. Fatti d’armi presso Mittewald e il ponte di Ladtsch. Il padre cappuccino Haspingher, comandante tirolese, si distingue: a lui si congiungono Hoffer e Spechbacher. Sconfitta e vergognosa ritirata del duca di Danzica. Contemporanei fatti nella Valle superiore dell’Enno, dove pure i tirolesi trionfano, specialmente a Prutz, Landeck, Zams. Nuova battaglia intorno alla provinciale metropoli colla peggio dei confederati. Allegrezza tirolese per le vittorie riportate.

Alla convenuta sospensione dell’armi succedevano i trattati per la conclusione della pace. Divulgava ovunque la fama questa lieta novella, ed esultavano i popoli anelando vederne prestamente il salutevole effetto. I soli tirolesi n’erano dolenti, e presagivano a sè stessi un disgraziato avvenire. Battagliavano a vicenda nei loro cuori nuovo timore e nuova speranza: gli agitava quello per la previsione dei mali futuri; manteneva questa il loro vigore nella difesa. L’istinto per la libertà della patria ardeva in essi costantemente, ed offuscava la loro ragione a segno, da mettere persino in forse e le nuove vittorie di Napoleone, ed il fermato armistizio. I capi della leva non solamente non vi prestavano fede, ma s’affaccendavano anzi a far credere colla voce e la stampa, che tale notizia fosse uno stratagemma dell’inimico, ordito allo scopo di far loro deporre le armi. A quest’uopo l’imperiale Deputazione di difesa pubblicava il 20 luglio un editto, in cui fra l’altre cose diceva: «Importando alla Deputazione moltissimo, che il popolo venga con ragioni incontrastabili convinto della falsità della sparsasi voce d’un armistizio, si credette in dovere di chiedere all’imperial Comandante dei posti avanzati quegli schiarimenti e motivi in contrario, che fossero capaci a mettere in chiara luce l’insussistenza di simili maligne voci.» Hoffer scrivendo il 23 da Lienz al suo amico Eisenstecken, altro capo di difensori: «Non ti lasciar gabbare, dicevagli, rispetto all’armistizio che due parlamentari francesi portarono ai 12 a Saxenburg; in una lettera, che ho ricevuta in data dei 14 da Sua Altezza Giovanni, vi è l’ordine, che non si dovesse dare ascolto a parlamentari francesi, nè a inviati: ma lavorare come per l’avanti; perchè se dovesse succedere qualche cosa in questo frattempo, io sarò avvisato dal detto Arciduca.» Ed acciocchè le truppe austriache stanziate in Tirolo non avessero per tal cagione ad abbandonare il paese levato a difesa, fecero persino gli stessi capi cangiar cammino ad un qualche corriere portatore di dispacci relativi all’armistizio, che era stato veramente conchiuso. A’ 23 luglio un uffiziale francese, scortato da quattro cavalieri, presentavasi qual parlamentario alla vedetta del primo picchetto austriaco, fra Lizzanella e Lizzana, a un miglio da Rovereto. Avvertitone l’austriaco comandante nella sua stanza di Rovereto, montò issofatto a cavallo, e con tre uffiziali recossi di gran galoppo in sul luogo. Dopo i vicendevoli saluti l’uffiziale francese esibiva all’austriaco la relazione a stampa dell’armistizio, e facevagli ad un tempo osservare che, stante l’articolo quarto delle inerenti condizioni, era dovere delle truppe imperiali di sgombrare subitamente la tirolese provincia, perocchè una colonna napoleoniana era già in procinto d’entrarvi dai confini del vicino regno d’Italia per prendere il possesso del Tirolo italiano. L’austriaco comandante riservava la conferma del conte Leiningen, a fine di notificargli o il modo del proposto sgombramento, o l’eventuale di lui risposta. Il Leiningen stava in forse nel deliberare, non essendone a lui per anche arrivato da’ suoi superiori l’annunzio. In sul finire di luglio l’imperial commissario barone de Hormayr dall’alloggiamento dell’arciduca Carlo, e il comandante superiore barone Buol dalle stanze dell’arciduca Giovanni, n’ebbero notizia in Bressanone. Fu pubblicata agli I. R. Commissariati provvisorii, ed agli abitanti della Provincia coi proclami che seguono.

«Da parte dell’inimico pervenne al signor Generale Comandante il manifesto d’un armistizio in iscritto ed in istampa; in di cui forza coll’art. IV, le truppe I. R. austriache devono evacuare il Tirolo e il Vorarlberg, consegnare il forte di Sachsenburg, e con marcie regolate di stazione in stazione ritirarsi nell’interno degli Stati ereditari.

«Le truppe francesi, che vi subentrano, devono sempre, almeno un giorno di marcia, restar addietro alle austriache che si ritirano.

«Il generale Matteo Dumas sarebbe nominato in Commissario generale per mettere in esecuzione il suddetto armistizio.

«Per quanto incredibile era in sè questo avvenimento, si credette di dovervi prestar tanto meno piena credenza, quanto che da tutte le parti ci giungevano uniformi semi-uffiziose notizie di vittorie.

«Di fatti, dal giorno 12 luglio fino a questo momento, non ci giunse, contro ogni regola di servizio, alcun ordine in proposito da veruna autorità militare imperiale austriaca.

«Noi siamo bensì informati dal generale francese Dutaillis, che il capitano degli ulani, spedito con questa notizia del serenissimo comandante in capo arciduca Carlo, fu trattenuto dai contadini, e gli venne impedito il passaggio oltre i confini.

«Pertanto le notizie oggidì per appunto pervenuteci dal quartier generale non lasciano più dubitare dell’effettiva conclusione dell’armistizio, e di una vicina pace.

«D’ora in ora dobbiamo attendere l’ordine formale dell’evacuazione.

«In generale l’avvenimento è in sè troppo grande, troppo importante, e succeduto in un momento, in cui, col mettere in opera tutte le forze, si si vedeva in grado di sostenere colle armi almeno la maggior porzione del paese, anche contro una rilevante forza inimica: egli è inoltre un avvenimento, che troppo abbatte, per non rendere all’istante consapevole cotesto Commissariato generale della vera situazione delle cose, e nello stesso tempo di porlo in istato di prendere le necessarie misure, onde mantenere la tranquillità interna ed il buon ordine, ed onde prevenire colla possibile destrezza mali maggiori; poichè solo l’accettare l’offerta amnistia può impedire, che con una resistenza parziale, e perciò affatto irragionevole, senza militare regolato, senza munizione, senza danaro non si si attiri addosso la piena ruina tanto dei privati, che della patria intera.

«Bisogna in vero riconoscere l’opra di una mano superiore, e di un destino insuperabile, perchè gl’immensi sforzi dell’Austria, gli eroici sacrifici delle armate, e di tanti sudditi fedeli, ed il coraggio de’ popoli non abbiano potuto allontanare dagli Stati austriaci, e dal Tirolo questo colpo fatale.

«Bressanone, a dì 27 luglio.

«GIUSEPPE, BARONE DE HORMAYR.»

PROCLAMA
AGLI ABITANTI DEL TIROLO E DEL VORARLBERG.

«Un corriere, spedito al sottosegnato dal quartier generale di S. A. I. l’arciduca Giovanni, e giunto oggi in questa città, ha recato la conferma dell’armistizio, conchiuso il 12 del corrente presso l’armata di Germania, in forza del quale coll’articolo IV, deve venir evacuato dalle truppe austriache il Tirolo ed il Vorarlberg.

«Lo stato imponente degli avvenimenti militari, e probabilmente anche politici, ha dettato questo passo tanto doloroso al cuore di Sua Maestà; ciò non ostante Ella, giusta l’assicurazione del serenissimo arciduca Giovanni, farà ogni sforzo per procurare il bene del Tirolo.

«A questa promessa trovasi pure unito l’ordine della Maestà Sua di esortare i Tirolesi alla quiete ed alla sommissione, onde risparmiare al paese gli orrori e le desolazioni, che eglino gli tirerebbero addosso con un’inutile resistenza.

«Io devo, giusta gli ordini supremi, evacuare il paese, e per conseguenza voi non potete più contare sopra l’ulteriore mia assistenza militare. Rassegnatevi al volere della Provvidenza con pazienza, tranquillità e costanza.

«Io ho raccomandata la nazion tirolese, e quella del Vorarlberg alla protezione del maresciallo dell’Impero francese duca di Danzica, il cui corpo d’armata è destinato ad occupare il Tirolo ed il Vorarlberg.

«Il vostro contegno servirà di norma al suo, e voi stessi formerete con ciò il vostro benessere o la vostra rovina.

«Col più intenso dolore, e coi più vivi ringraziamenti per l’aiuto da voi fin qui prestatomi, trovomi obbligato di rendervi di ciò consapevoli.

«Bressanone, li 29 luglio 1809.

«BARONE BUOL DI BURENBERG»
«Generale maggiore, Comandante un Corpo in Tirolo.»

Alle conciliatrici parole alcuni rimettevano della loro pertinacia; ma il rio talento dei più sdegnò uniformarsi al pacifico sentire degli assennati, e fu stimato novello inganno l’avvertimento dei due ministri. Le cose piegavano agli estremi, e un tremendo avvenire preparavasi per l’infelice Tirolo.

Leiningen, dietro l’avuto comando, assembrava in Trento la sua truppa in varie parti stanziata, e il 1 d’agosto marciava alla volta del Tirolo tedesco, unendosi per via al corpo d’armata del generale Buol, per indi uscire dai tirolesi confini ed unirsi colla grande armata. I napoleoniani e i bavari, con altri confederati, ne prendevano il possesso, entrandovi lo stesso dì dalla parte d’Italia con 1300 francesi ed italiani, sotto il comando del generale Dazmair, e da settentrione con circa 30000 uomini tra francesi, bavari, sassoni e Virtemberghesi, guidati dal maresciallo francese Lefebvre, duca di Danzica. Se con lagrime di dolore miravano i tirolesi la partenza degli austriaci, è facile immaginare con quale animo vedessero entrare i tanti nemici, che mettevano alle strette il loro paese. L’arrivo di queste colonne, destinate a spegnere la fiamma della tirolese insurrezione, fu preceduto dai seguenti bandi:

AL POPOLO DEL TIROLO

«Le vittorie del Grande, che regge i destini del mondo, riconducono fra voi le sue truppe protettrici, ed alleate del vostro legittimo Sovrano e padre. Le illusioni, a cui v’hanno dato momentaneamente in preda gli agenti dell’Austria, quelle illusioni, che hanno condotti molti di voi al traviamento ed alla ribellione, debbono tosto far luogo alla realtà de’ fatti, ed alla verità, che ad arte vi fu tenuta nascosta.

«L’Imperatore Napoleone ha pienamente sconfitta l’armata tedesca. L’esistenza della Monarchia austriaca è nelle mani di quell’Eroe, che mai si offende impunemente.

«Spiriti illuminati! concorrete con tutti i vostri mezzi a far rientrare i traviati nell’ordine sociale, da cui la seduzione gli ha allontanati.

«Le truppe francesi ed italiane vengono per far cessare l’anarchia, e tutti i mali che porta seco un despotismo, che da qualche tempo vi opprimeva.

«Se ho potuto altra volta esser testimonio della vostra fedeltà e devozione al legittimo vostro Sovrano, se tante prove ne avete a me date allorchè fui tra voi, ben a ragione ne attendo dai prodi Tirolesi più grandi e luminose, ora che per le circostanze della guerra io ritorno al comando delle vostre contrade.

«Abitanti del Tirolo, rientrate nei vostri focolari, nel seno delle desolate famiglie vostre; ripigliate pacifici le vostre cure domestiche. Depositate e consegnate le armi alle autorità locali. Sia questa la prima prova del vostro ravvedimento. Io vengo a proteggere le vostre sostanze, le vostre persone. La clemenza ed il perdono precedono i miei passi.

«Ma guai a coloro, che ostinati e ribelli saranno sordi a queste voci! Tremino costoro della sorte che gli attende. La più terribile vendetta sta per piombare sull’infame loro capo.

«Dal mio quartier generale, li 31 luglio 1809.

«GENERALE FIORELLA.»

ARMATA DI GERMANIA
Primo Corpo.

«Noi Duca di Danzica, maresciallo dell’Impero, comandante in capo le truppe di S. M. l’Imperatore de’ Francesi, Re d’Italia, e dei Principi alleati, nel Tirolo e nel Vorarlberg, essendoci assicurati da noi stessi che tutte le misure di clemenza, ch’eransi prese all’epoca del nostro primo ingresso nel Tirolo, non erano state d’alcuna utilità per richiamare i Tirolesi traviati alla sommessione che debbono al loro legittimo Sovrano, e volendo eseguir puntualmente gli ordini di S. M. l’Imperatore Napoleone nostro augusto Sovrano, il quale vuole che il Tirolo sia sottomesso, e che gli abitanti ne siano disarmati, ordiniamo quanto segue:

«Art. 1.º Il Tirolo, il Vorarlberg, e la parte del paese di Salisburgo che ha partecipato all’insurrezione, saranno disarmati.

«2.º Da oggi al 10 di questo mese le armi d’ogni specie, tutte le polveri, cariche e munizioni di guerra saranno depositate nel capoluogo di ciascun baliaggio.

«3.º Il balì di ciascheduno di questi baliaggi riunirà tutte le armi depositate nel capoluogo, e le farà trasportare, sulla sua responsabilità, al capoluogo del dipartimento di cui fa parte il suo baliaggio, e le rimetterà al comandante militare, che gliene rilascierà ricevuta.

«4.º Ciascun comandante militare terrà un registro, sul quale saranno inscritti tutti i nomi dei Comuni di ciascun baliaggio, e il numero d’armi che ciaschedun baliaggio avrà depositato.

«5.º I Comuni che ricusassero di restituire le loro armi, o ne’ quali se ne trovassero ancora, avranno delle esecuzioni militari, e saranno puniti in un modo esemplare.

«6.º Tutti i balì dei 24 baliaggi spediranno, tra oggi e il 10 di questo mese, al generale capo dello stato maggiore generale del corpo d’armata lo stato circostanziato delle compagnie di bersaglieri del paese, delle compagnie conosciute sotto i nomi di difensive e di compagnie di riserva, che erano state formate ed organizzate in ciaschedun baliaggio durante l’insurrezione, e nelle quali sono compresi tutti gli abitanti dall’età dei 16 fino ai 45 anni.

«7.º Tutti i comandanti di queste compagnie, e particolarmente i nominati Andrea Hoffer, Reich, Bombardy, de Morande, Giuseppe de Ress, Valentino Tschöl, Francesco Frischman, Ferdinando Fischer, Strell, ec. ec. si recheranno al mio quartier generale ad Innsbruck, tra oggi ed il 10 corrente, per assicurarci della loro obbedienza, della tranquillità del paese, e del disarmamento de’ suoi abitanti.

«8.º Quelli designati nell’articolo precedente, i quali, da qui al 10 di questo mese, non si saranno presentati al mio quartier generale, saranno considerati come persistenti nella loro ribellione, e trattati come tali; in conseguenza le loro case saranno demolite, le loro persone e famiglie bandite dal paese a perpetuità, i loro beni confiscati, e se osassero ricomparire sul territorio tirolese, saranno arrestati immediatamente, tradotti innanzi alla Commissione militare, e giustiziati entro 24 ore.

«9.º Il sedicente maggiore Martino Teimer, riconosciuto per essere il principale motore dell’insurrezione del Tirolo, e che ha comandato gl’insorgenti dell’Ober ed Unter-Innhalt, è escluso dal favore accordato dall’articolo 7.º; in conseguenza, ovunque sarà arrestato, sarà tradotto innanzi ad una Commissione militare, e giustiziato entro 24 ore.

«10.º I Comuni, sul territorio de’ quali sarà fatto qualche insulto o molestia qualunque alle persone addette alle armate di S. M. l’Imperatore de’ Francesi, Re d’Italia, o de’ suoi alleati, ne saranno renduti responsabili; i balì, borgomastri e principali abitanti saranno tradotti innanzi alla Commissione militare.

«11.º Sarà creata provvisionalmente una Commissione militare ed amministrativa, incaricata di provvedere alla sussistenza delle truppe che trovansi nel Tirolo, di adempiere alle funzioni interinali di commissario generale del paese, e di esaminare tutte le cause e delitti accennati ne’ differenti articoli del presente ordine. Essa giudicherà egualmente de’ delitti che si potrebbero commettere verso gli abitanti dai militari od impiegati dell’armata ec.

«12.º Le disposizioni del presente ordine sono applicabili al Vorarlberg, ed alle parti del paese di Salisburgo, del Pinzgau e Zillerthal, ed a tutti i paesi che hanno preso parte all’insurrezione.

«13.º La sommissione degli abitanti del Vorarlberg sarà ricevuta dal signor generale di divisione Beaumont, conte dell’Impero, e le armi verranno depositate ne’ luoghi che egli indicherà.

«La sommissione degli abitanti del paese di Salisburgo, citata all’articolo 12.º, sarà ricevuta dal signor generale di brigata Kister, barone dell’Impero, governatore del paese di Salisburgo, e le armi saranno depositate a Salisburgo.

«14.º Al momento della pubblicazione del presente ordine, i baliaggi e Comuni, che avessero già deposto le armi secondo gli ordini ricevuti anteriormente, dovranno soltanto presentare ai comandanti militari la ricevuta che ne sarà stata loro rilasciata.

«15.º Il presente ordine sarà spedito a tutti i comandanti militari ed a tutte le autorità civili, pubblicato ed affisso in tutti i comuni, e letto in pulpito dai ministri del culto; tutti coloro che vi si conformeranno riceveranno assistenza e protezione per le loro persone e per le loro proprietà.

«Fatto al quartier generale, ad Innsbruck, addì 1 agosto 1809.

«IL MARESCIALLO DUCA DI DANZICA.»

REGNO D’ITALIA

ORDINE GENERALE

Popoli del Tirolo!

«Sedotti da suggestioni straniere, vi siete armati contro il vostro legittimo Sovrano; voi avete accolta un’armata che invadeva i suoi Stati, senza provocazione e senza dichiarazione di guerra.

«Ogni istante ingannati da rapporti i più menzogneri, avete perseverato nella difesa di una ingiusta causa, ed avete creduto che quel Principe che alla pace di Presburgo cedette i suoi diritti sul vostro paese, che ha abusato della vostra buona fede e della vostra confidenza, potesse solo rendervi felici. Non v’ha prosperità pei popoli che nell’obbedienza alle leggi, nel rispetto e nella fedeltà verso il Sovrano. Perchè siete ancora in armi? I soldati sui quali contavate, che tutti i giorni v’annunziavano delle nuove vittorie, attestano le loro menzogne colla loro ritirata, e vi abbandonano a voi medesimi. Rientrate in voi stessi finchè ne avete il tempo, e guardatevi dal chiamare su di voi e sulle vostre famiglie, con una cieca ostinazione, la collera dell’Eroe cui nulla resiste, ma che sa perdonare.

«Le truppe di S. M. I. e R. non ponno riguardare come soldati de’ paesani insorti, nè riconoscere degli ufficiali in uomini acciecati dalle loro passioni, e che, sudditi di un Sovrano, hanno preso l’uniforme e le decorazioni del suo nemico. Tutto dee rientrare nell’ordine. In conseguenza è ordinato quanto segue:

«Art. I. Tutte le compagnie e tutti i corpi franchi del Tirolo sotto qualsiasi denominazione, che non sono stati creati per ordine del legittimo Sovrano, saranno sciolti.

«II. Qualunque uniforme o segno di riunione, eccettuati quelli del Sovrano legittimo, dovranno immediatamente deporsi.

«III. Ogni abitante del Tirolo arrestato coll’armi alla mano, quando non sia munito della licenza della legittima autorità per portarle, verrà considerato come ribelle, e trattato come tale.

«IV. I Generali Comandanti faranno eseguire quest’ordine in tutti i luoghi di loro comando.

«Dal quartier generale di Milano, primo agosto 1809.

Il Generale di divisione, aiutante di campo dell’Imperatore,
Ministro della guerra e della marina,
Comandante le truppe di S. M. in Italia.

A. CAFFARELLI.

Le gravi e minatorie misure avrebbero dovuto produrre nei Tirolesi effetti conformi alle esortazioni ed alle intenzioni manifestate dall’Austria per mezzo di Hormayr e di Buol; ma il pensiero sempre vivo di conservare la libertà della patria, e i perniciosi semi non ancora spenti a quel fine, mantenevano tuttavia, nel minuto popolo in ispecie, l’antico vigore; nè mancava chi a studio ve lo nutrisse. Dopo una calma, che in ogni angolo della provincia apparentemente regnava, dopo una rassegnazione che sembrava universale, un piccolo urto di mali trattamenti, e l’ordine emanato dal duca francese ai capi della sollevazione di dover comparirgli innanzi, ruppero inopinatamente l’argine contrapposto. Niente curando gli eserciti che gli stringevano nelle viscere, niente quelli che circondavanli fuori, si accingevano i tirolesi ad uno spettacoloso e fierissimo cimento.

Di mano in mano che Lefebvre si dilatava colle sue truppe nella provincia, una moltitudine di gente armata saliva celatamente i monti posti fra Innsbruck e Mittewald lungo la strada postale, nel mentre che un’altra massa avviavasi verso il territorio di Trento: quella per abbattere Lefebvre, questa per cimentarsi con Dazmair, il quale ognor più ingrossava. Il mondo, rivoltando nella mente la grandezza di tanto pericolo, ne sentiva compassione ed orrore.

Il cappuccino Gioachino Haspinger, notissimo ne’ fatti della sollevazione, alzava primo d’ogni altro il sanguinoso vessillo, ed alla testa di una squadra di difensori, da lui benedetta in nome di Maria e dei Santi protettori del paese, si accingeva, il 4 di agosto, allo scontro della vanguardia di Lefebvre, condotta dal generale Royer. Questa, composta di sassoni, di bavari e di francesi, già s’incontrava coi tirolesi postati appresso Mittewald in fra le balze divise dal torrente Eizack, là dove appunto nel 1703 fu manomessa e distrutta la vanguardia bavarese, che voleva unirsi nel territorio trentino coll’esercito alleato francese per aggregarsi ai malcontenti dell’Ungheria. Ambedue le parti s’ingaggiavano ivi tantosto in una battaglia, che fino alle quattro della sera viemmaggiormente indurò. Animosamente combattevano i confederati, ma con tutto ciò venivano soperchiati dallo squisito valore dei tirolesi, animati dall’efficace comando del cappuccino, che coll’invocare e gridare il nome di Maria Santissima, imprimeva loro tanta gagliardia e conforto, che lieve cosa giudicavano essi l’andare, sì come facevano, in mezzo ai pericoli ad incontrare la morte. Dopo le quattro piegava finalmente all’audacia tirolese lo stanco antiguardo nemico, con una perdita di 1200 uomini, e 53 uffiziali, fra cui il colonnello di Sassonia Gotha barone Hennings, spento per mortal ferita poco dopo in Bressanone.

Questo però non era che un principio di ciò che intravvenne in appresso. Sì come alle fulminanti minaccie dell’avanzante colonna nemica, abbisognavano grandi apparecchi, così i tirolesi aveano di questi giorni innalzati con ogni celerità ripari e trincee di difesa; e in sul colle direttamente superiore al ponte di Ladtsch avevano eretto con tronconi d’alberi un terrapieno rivestito di grossi macigni, e costrutto in modo da poterlo ad un cenno subitamente rovesciare. L’evento non era tanto lontano. La vinta vanguardia, ripreso spirito per altra gente sopraggiunta di fresco, ritornava poco dopo a novella fazione, e con bajonette calate moveva alla volta del ponte, che alcune compagnie nazionali difendevano sotto la direzione del cappuccino, e dei comandanti Kemmaters e Mayer. Già i confederati s’avvicinavano al ponte, già credevano di afferrare la vittoria, già erano realmente vicini a superarlo, allorquando i tirolesi tagliarono tutt’ad un tratto le funi sostenenti il terrapieno. I tronchi e i grossi macigni rotolando con veemenza pei sottoposti burroni, portarono improvvisamente la confusione e la morte in fra le file dei furenti nemici, distruggendo per tal modo quelli che il fuoco delle carabine avea risparmiato. Tanto strazio non bastava ancora per atterrire ed indurre alla ritirata gli avanzi degli arditi francesi e de’ sassoni soldati. Rinfrancati dai loro comandanti, ed assistiti dalle nuove truppe che tratto tratto arrivavano, aggiungendo la rabbia al furore, s’avventavano novellamente appresso al difeso ponte con tanto irresistibile impeto, che i tirolesi, ormai tanto investiti e sì strettamente serrati, dovettero mettersi al partito d’incendiarlo per assicurarsi la ritirata, sino che nuove genti recassero l’aspettato soccorso. Quest’era il momento propizio a Lefebvre di annientare la massa armata del vacillante Tirolo, che già incominciava a scemare di spirito, perchè le vive dimostrazioni che gli uomini assisi all’ombra della ragione andavan facendo e le imponenti forze nemiche, faceano sì, che dai resistenti si combattesse più per timore, che per altro; ma il maresciallo in luogo di approfittare dell’occasione, si abbandonava il dì 6 in Sterzing a vane lamentazioni contro i comandanti della vanguardia, svillaneggiando i bavari e i sassoni, dei quali aveva riprovevolmente prodigalizzato il sangue e la gloria, e rifiutava con acerbo pensiero di accogliere le tirolesi deputazioni, che per la sommissione a lui s’erano indirizzate. Egli pretermise d’impadronirsi delle migliori posizioni, e di riportare quinci, senza gran sangue, e colla clemenza, l’intento della spedizione affidatagli da Napoleone. I suoi modi, anzichè calmare l’irritazione e sopire le animosità, sollevarono ed inasprirono gli spiriti, sviandoli dal sentimento di quella quiete, a cui si disponevano. I Tirolesi ingrossavano il giorno 8 per nuova gente chiamata dalle campane a martello, e dai messi reiteratamente spediti dal cappuccino, da Speckbacher e Mayer. Il valoroso Hoffer, giunto dalla parte di Jansel colla gloriosa massa di Merano e di Passiria, dove si era annidato per sottrarsi ai primi furori del nemico, scosso dall’eccitante voce de’ suoi connazionali, univasi il dì 7 al bravo Speckbacher, prendendo alloggiamento alla Kalche. Questi due comandanti, avuti in altissimo conto dalla generalità dei sollevati, ravvivano colla loro presenza ne’ difensori il vacillante coraggio, e li rialzavano a grandi speranze. All’esempio dei Meranesi e dei Passiriani molti altri valligiani, riprese le armi, correvano alla riassunta difesa dell’afflittissima patria. In detto giorno Lefebvre alla testa delle sue truppe colla spada sguainata, spingeva arrovellatamente verso Bressanone i tirolesi condotti dal colonnello Wittgenstein, e già davasi a credere di farli morder la polvere, sì come aveva a Sterzing dichiarato, quando invece approssimavasi a’ fieri colpi di più fatale tempesta. Il fulmine di repente scoppiò. Le compagnie della Pusteria, stanche di bersagliare gl’inimici con un vivissimo fuoco, calavano a precipizio dai monti, si avventavano alla mescolata sopra di quelli; precipitavano da cavallo a viva forza i cavalieri, e rivestendosi di quel furore che spiegava il loro nemico, li percuotevano col calcio delle carabine, li malmenavano ed uccidevano con furibondo ardimento. L’inaspettato micidialissimo scroscio sbaldanziva oltremodo il maresciallo francese, che, più impetuoso che costante, rimaneva confuso e propulsato. Lo sdegno tirolese puniva aspramente lo sdegno dei collegati nemici, che tempestati di fronte e dai lati non trovavano salvezza che nella fuga. Fuggivano essi dunque alla sfilata verso Mauls, nel qual paese e cavalleria e artiglieria e fanteria tumultuosamente si rannicchiavano, e nell’inevitabile avvolgimento la loro disperata situazione peggioravano. La confusione ivi cresceva fuormisura, massimamente per la comparsa di altre nuove squadre di tirolesi. Fra lo scompiglio e il terrore di una numerosa calca perseguitata dai colpi mortali del tirolese furore, Lefebvre, in cui l’intrepidezza e l’orgoglio eransi mutati in spavento, perdette il suo ricco cappello guernito di nastri d’oro e di un alto pennacchio, e deponendo l’interesse della gloria, s’affidava alla bravura e al coraggio dei suoi gendarmi, i quali, aprendogli il passo a colpi di sciabola scagliata sulla propria gente, poteron procurargli d’oltrepassare il predetto villaggio, avendo egli però dovuto smontare dal suo destriero, e a piedi valicare carriaggi e cannoni. Sì tremendamente aveano i tirolesi in questo fatto menato le braccia.

Ridotto Lefebvre in tante angustie, e vedendo omai che il fiorito suo esercito andava in maggior precipizio, che le afflitte cose erano salite all’ultima disperazione, e che infruttuosa sarebbe tornata ogni ulteriore perseveranza, abbracciava il partito di ordinare all’avvilita sua soldatesca la ritirata verso Innsbruck, la quale in fatti seguì il dì 11 e 12 per lo monte Brenner. Gl’implacabili tirolesi, che apparivano improvvisamente in sulle costeggianti colline, e in sulle strade, non desistevano dall’incalzarla, e dal fulminarla continuamente con una pioggia di palle, producendole gravissima mortalità. Temendo il dilegiato Lefebvre in questa piuttosto rovinosa fuga, che ritirata, di essere preso di mira dai tirolesi, i quali per antica fama sanno sì bene aggiustare i loro colpi, stimò bene, a fine di assicurarsi della persona nella marcia delle 18 miglia che dovea percorrere, di travestirsi da semplice dragone, tenendo in mano la carabina e la berretta in capo, sino che si vide vicino a Innsbruck, dove arrivò fra due nerboruti dragoni, seguitato poscia dalla sua truppa.

Di non minore rinomanza fu l’esito ottenuto di questi medesimi giorni dai tirolesi contro il corpo del generale Beaumont, che il duca di Danzica avea inviato nell’Oberinthal, all’intento di assalire da tergo le genti di Merano e di Passiria condotte dall’Hoffer alle sponde dell’Eisach. La vanguardia dei 1700 bavaresi, comandata dal colonnello barone Bourschio, e dal francese tenente colonnello Vaserau, appropinquavasi il dì 8 per la via di Landeck al ponte di Prutz, e già era in procinto di passarlo, allorquando venti bersaglieri tirolesi, che ivi a caso trovavansi, osarono audacemente di contrastarle il passaggio colle archibugiate. A questi prodi si unì subitamente gran gente, accorsa da più luoghi all’avviso delle stormeggianti campane. Allora il combattimento divenne più gagliardo. Una parte de’ tirolesi occupava il ponte, l’altra dominava le alture di Laditsch. E in queste e su quello i bavari investivano acremente la sollevata gente, facendo sur essa giuocare le artiglierie; ma essa con altrettanto animo virile combatteva, e l’assalto non solo facea tornar senza frutto, ma ben anche dannoso agli stessi assalitori, di guisa che il riurto dei tirolesi superava, sbaragliava, vinceva ed obbligava finalmente quanti sopravanzavano ai colpi micidiali dei bersaglieri, a ritirarsi nel campo di Dullen, dove la sopraggiunta notte permetteva che si potessero ristorare e dissetare insieme a’ proprii cavalli. Nell’oscurità di questa notte istessa i soldati di guardia ai primi posti s’introducevano nelle prime case di Prutz già abbandonate da’ loro abitatori, e non sapendo in qual altro modo sfogar la vendetta, appiccavano il fuoco a ben dieci delle medesime. I sollevati v’accorreano furenti, scacciavano animosamente gl’incendiarii, e riuscivano, se non a spegnere il fuoco, a salvare la massima parte delle suppellettili. Al sorgere dell’aurora la parte tirolese, fatta maggiormente ardimentosa pei sussidii ad essa giunti di fresco, accingevasi a rinnovellare la pugna. La potente sua mossa scoraggiava i bavari, li metteva in disordine, e li riduceva a concentrarsi nel loro campo, e a battere da questo luogo ordinatamente coi tiri della moschetteria e del cannone. Rispondevano i bersaglieri tirolesi, postati alla spicciolata in sul monte; ma il vicendevole trarre non produceva quasi nessuna mortalità, per la soverchia distanza delle parti avversarie. Infastiditi i tirolesi dell’inutilità del loro fuoco, una gran parte di essi serravasi insieme, ed armata di archibugi, di spiedi, di aste e di giavellotti precipitava furiosamente dal monte colla ferma risoluzione di venire alle mani. Un impeto sì strano presagiva all’attonito nemico il suo sterminio, e per evitarlo determinò di arrendersi alla discrezione dei tirolesi, ai quali fece conoscere la sua intenzione per uno sventolante pannolino. A ciò seguiva il parlamento, in virtù del quale si diedero in potere de’ vincitori 700 fanti del reggimento Junker, e 150 dragoni del reggimento Taxis, con 200 cavalli, colle loro armi e molta munizione. Circa 250 furono i morti e i feriti bavari, soltanto 12 dei tirolesi. A questo conflitto parteciparono anche le donne e le fanciulle, attendendo a far rotolare delle rupi in sulla strada sassi e scheggioni sopra la truppa e le artiglierie, ingombrando così la via, e cagionando confusione e rovina a uomini, a cavalli, ed ai transitanti carriaggi.

Il presidio di Landek, forte di 700 soldati, udiva da 300 bavari fuggitivi l’avvenimento di Prutz, e ne sentiva raccapriccio e timore. I tirolesi non pretermettevano l’opportunità che loro si offeriva del vincere, e quindi nella seguente notte, esacerbati per le ingiurie ricevute, lo sorprendevano. Prendeva questo tostamente le armi, usciva dalle proprie stanze, ed affrontava gli assalitori per respingerli; ma in luogo di riportare l’intento, rimaneva parte ammazzato col piombo micidiale, o colle bianche, e parte fatto prigioniero. Un successo non dissimile avvenne poco dopo ad altri 500 bavari, che da Zams venivano a sussidiare i perdenti. Proseguendo i vincitori nel vittorioso cammino, vincevano in appresso anche il presidio d’Imst, forte di 1200 uomini, il quale invano cercava di resistere a Brenn, a Kühel, e a Nassereit. Le giuntegli notizie di Prutz, di Landeck e di Zams, e la fermezza con cui battagliavano i tirolesi, il distoglieva dal pensiero di resistere davvantaggio, ed avviavasi frettoloso alla volta d’Innsbruck, ove concentrarsi doveano tutte le guerreggianti colonne dei collegati. A Telf e a Zirl i fuggitivi s’incontravano, e si univano con altre forze. Quest’avventura partoriva in essi l’ostinazione di misurarsi novellamente coll’oste tirolese, ma subivano ben presto la pena di rendersi vinti un’altra volta per le genti condotte da Martino Firler, e da Mohrbergen, che li snidavano dal nuovo seggio che volevano conservare, inseguendoli sin presso Innsbruck, a vista della quale il giorno 12 erasi adunata su ambidue le sponde dell’Enno una moltitudine di tirolesi, fra cui si noveravano pur anco e vecchi e giovani imberbi, e donne d’ogni età, tutti allegri, coraggiosi, pieni di speranze, avidi di nuova gloria, e determinati di finire l’ultimo atto dell’eroica intrapresa con la propria morte, piuttosto che dare il paese e sè stessi in mano dell’arrogante e terribile Lefebvre.

In questo giorno le reliquie dell’armata collegata si squadronarono nella spianata d’Innsbruck, e Lefebvre le passava in rivista. In tal incontro egli potè meglio giudicare il valore della sollevata gente, con cui aveasi misurato alla cieca, e meglio pentirsi della baldanzosa e inconveniente condotta da lui osservata nella confidatagli spedizione, non che della negligenza in lasciarsi fuggire la felicità della vittoria, che stava da principio in sua mano; per il che, oltre d’essere caduto in disgrazia del suo sovrano, perdette gran parte della militare sua reputazione. In quella rivista: «Soldati, egli diceva, noi daremo domani una nuova battaglia, e poi potrò condurvi fuori di questi sciagurati monti. Rammentate il grande e vittorioso combattimento di Wagram; rammentate che voi siete i commilitoni di quei prodi, che tanta vittoria riportarono in quelle memorande giornate campali, e fate vedere al mondo, e specialmente al Tirolo, che voi non siete minori in valore.» Ma in pronunziando queste parole il duca forse non pose mente che soldati mercenarii e scorati, messi in rotta e in iscompiglio per le incessanti molestie dei tirolesi, che da tutte bande sbucavano, combatter doveano contro un’accanita gente, animata dal potente sentimento della patria, e protetta da montuose barriere, da essa valorosamente difese; laddove nel campo di Wagram le condizioni de’ combattenti rivali erano pareggiate. Malgrado le gravi perdite incontrate negli andati giorni, egli potè tuttavia raggranellare, per disporsi al nuovo cimento sconsigliatamente da lui meditato, un corpo di 25000 uomini con 2300 cavalli, e 40 pezzi d’artiglieria. Nella seguente notte, in sui colli che circondano Innsbruck, si ravvisava una corona di fuochi accesi da’ difensori tirolesi, che coi 300 accogliticci austriaci sommavano a 18000, tutti preparati per attendere il minacciato assalto. Hoffer avea il suo alloggiamento nello Schönberg inferiore appresso il valoroso Eschmann. Il cappuccino Haspingher, che dal primo d’agosto non prendeva riposo, era scomparso il dì 4 per cagion di salute dalla vista dei patrii difensori, i quali non veggendo alla loro testa il ministro di Dio, tanto vincolato a’ lor cuori, mostravano un generale mal umore, talchè incominciato aveano a stessere l’ordimento per lo domani meditato; ma resone avvertito, ricompariva fra le file de’ combattenti alquanto sdegnato pel concepito loro timore; riconduceva seco le genti di Spechbacker; rianimava, scuoteva, invigoriva le raffreddate schiere. Poco dopo la mezza notte il cappuccino svegliava l’Hoffer per avvertirlo che si approssimava il momento di celebrare la messa, e di chiamare i difensori ad assistervi. Prostrata pertanto quella gran massa di gente, da vicino e da lontano, di fronte all’altare, con dimesse ed ossequiose voci essa supplicava ajuto a Chi dall’alto vede e tutela le generose opere degli afflitti mortali, e con un’estrema divozione mandava preghiere a Maria Santissima, affinchè la gran causa prendesse a proteggere del suo divoto Tirolo. Non mai tanto spiccò nella sollevata nazione il sentimento della religione congiunto a quello della libertà, quanto in questo dì, che merita nella patria storia una ricordanza distinta.

Ciò fatto, le compagnie venivano disposte all’aspettata battaglia dai bravi comandanti Hoffer, Spechbacker e Haspingher, l’ultimo dei quali si esponeva sul piccolo suo cavallo ai primi posti. Le operazioni dell’ala sinistra eran commesse al cappuccino, il quale indirizzava le sue genti sopra Natters e Matters verso la Galleviese. Hoffer comandava il centro sul monte Isel. Spechbacker dirigeva l’ala destra, che si estendeva dalle alture del ponte di Pass sino al piano, e ai ponti sull’Enno di Hall e di Volders, non ommettendo tutti e tre di infiammare ed incorare le proprie genti con possenti ed ardentissime voci. Sorgeva intanto l’aurora del dì 13, giorno di domenica; tutto era silenzio, ma silenzio tremendo e presago di orribile avvenimento. Alla sesta del mattino si udivano i primi colpi dal nemico scagliati; allora tutta la massa tirolese, che tal motto aspettava, si faceva ad incontrarlo fra le grida di giubilo, ed il rimbombo de’ cannoni. Ardeva la battaglia subitamente per ogni lato, e inacerbiva in maniera straordinaria. Da bel principio ostinazione e ferocia da una parte, ostinazione e ferocia dall’altra. Ma debolmente poteano combattere gli ardenti collegati; chè fulminando i tirolesi dall’asprezza dei monti, recavano a quelli grandissima mortalità, laddove la interminabile pioggia di archibugiate e cannonate, che sui tirolesi mandavano dal piano i nemici, poca gente feriva. Il fortissimo Hoffer combatteva con molta operosità, e pari valore: il conte Giuseppe Mohr altamente si distingueva colla gente di Wintschgau alla sua direzione affidata. Al ponte della Sill, alla caduta d’acqua di Wiltau, la battaglia inferociva più sanguinosa che altrove, l’inimico minacciava di circondare la colonna comandata dal cappuccino, ma era prova infelice rivenire all’azione. Presso al castello di Amras le parti battagliavano accanitamente colle bianche. Gagliardissimamente pugnava Lefebvre, tentando di rimediare colla virtù agli errori da principio commessi; ma la resistenza, il patrio valore dei tirolesi avanzavano i di lui ultimi sforzi. La situazione della sua truppa incominciava a peggiorare, già fra le sue file spargevasi la disperazione, i soldati appiccavano il fuoco ai granai di Wiltau ed a più case campestri empite di morti: i boschi ed i campi erano coperti di cadaveri nemici e di feriti, che chiedevano aiuto. Ondeggiava il maresciallo in mille pensieri, e veggendo che le cose traboccavano all’ultima loro rovina, risolveva al fine di desistere da un’estrema opposizione, che avrebbe certamente finito coll’inevitabile sacrificio della sua soldatesca, sì terribile n’era lo strazio. Nel dì seguente i rimasugli dei confederati si ritiravano, raccogliendo quanto l’angustia del tempo loro permetteva. Il corpo principale volgeva il cammino pel Salisburghese, e il conte Oberndorf, in un col colonnello Massimiliano conte d’Arco, s’indirizzava con diversi distaccamenti sopra Scharnitz ed Achenthal, all’intento di mantenere la comunicazione tra Schwatz e la Baviera. Questa colonna fu inseguita e fugata presso Pill e Santa Croce, ed il capitano che ne aveva il governo pagò il fio delle maledizioni e grandi minaccie da lui fulminate contro i tirolesi; un colpo di carabina lo stese dal suo cavallo. Con esso lui perirono alcuni altri uffiziali, e maggiore sarebbe stata la perdita, se l’intiera colonna non si fosse rifuggita nei cortili delle case bruciate di Schwatz. Nella rabbiosa ritirata i collegati lasciavano ovunque le vestigia d’un’atroce vendetta. Con efferatissima barbarie incendiavano paesi, e martorizzavano pacifici abitanti, lavando nel loro sangue la macchia delle sofferte sconfitte.

Finita la battaglia del dì 13 d’agosto, si misurarono le perdite. Fra i confederati perirono intorno a 5000 uomini; 1700 furono i feriti, e 6000 i prigionieri. Ai tirolesi mancarono per morte solamente 50 uomini, e 132 per ferite.

Alla partita da Innsbruck delle confederate truppe v’entravano il dì 15 di buon mattino i sollevati difensori con l’Hoffer, che vi fissava la militare sua stanza. Il cappuccino recavasi con alcune compagnie sopra Hall, onde frenare i disordini che una masnada di tristi difensori venturieri stava per commettervi. Immensa era l’allegrezza, che per una vittoria tanto piena e sì segnalata sentivano i tirolesi, fatta ragione massimamente alle lor perdite, tanto lievi rispetto a quelle de’ formidabili nemici. L’aria della provinciale metropoli rimbombava al suono dei pifferi, dei tamburi, dei lieti applausi e delle festevoli grida: tutti esultavano al glorioso trionfo, tutti celebravano la terza liberazione della patria nel giorno appunto in cui nelle terre possedute dalle armi francesi veniva solennizzato il giorno natalizio ed onomastico di Napoleone, e tutti con religiosa divozione innalzavano preci al cielo in ringraziamento della vittoria.

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