Persistenza dei tirolesi nella guerra, e nuova loro difesa a Lavis. Ostaggi condotti a Mantova e a Strasburgo. I tirolesi mettono in fuga i napoleoniani, ed assediano Trento. Il bisogno dell’acqua, ed un soccorso sopraggiunto inducono Peyri alla battaglia. I tirolesi di nuovo si ritirano a Lavis. Peyri se ne gloria in modo esagerato. Fatti d’armi del Tirolo tedesco e del Salisburghese. l tirolesi sono pur quivi superati. Le truppe nemiche invadon il Tirolo da tutte parti. In Hallein e in Oberholm ricevono i tirolesi novelle sconfitte. Il generale Vial è surrogato al generale Peyri. Proclama di Vial. Conclusione della pace a Vienna. Sua pubblicazione in Tirolo, e come venga accolta da una porzione del popolo tirolese. Congresso a Sterzing per la difesa patria coll’intervento del Commissario austriaco de Roschmann. Ulteriore istruzione pervenuta dall’arciduca Giovanni a detto Commissario. Il principe ereditario di Baviera sconfigge a Melech i tirolesi condotti da Speckbacker. Il costui impubere figlio cade nelle mani nemiche; circostanza che espone il padre a nuovi e pericolosi cimenti. Alla sua colonna è rotta la comunicazione con Haspingher. Hoffer si stabilisce sul monte Isel, e Innsbruck è ripigliata da’ confederati. Questi attaccano i tirolesi sul detto monte, e poi si ritirano scompigliati. Innsbruck è ripresa da’ tirolesi. Dopo qualche giorno vi rientrano i confederati, che vi pubblicano la pace seguita coll’Austria. Viglietto dell’arciduca Giovanni ad Hoffer. Proclama del vicerè d’Italia ai tirolesi. Deputazione tirolese spedita al vicerè da Hoffer, e sua lettera al bavaro generale conte d’Erlon. Dubbia risoluzione dei capi tirolesi. Hoffer è da essi aggirato per la sua poca accortezza politica. I tirolesi muovono a novelle battaglie, e ne’ dintorni d’Innsbruck sono ovunque battuti da triplici forze; il loro coraggio comincia a vacillare. Il commissario Roschmann fugge dal Tirolo; ciò contribuisce maggiormente a far piegare i tirolesi alla sommissione.
Il fuoco della guerra non era in ottobre affatto spento nell’afflitto Tirolo; fatali scintille, or qua, or là, riaccendevano la rovinosa fiamma, e spaventando, devastando, flagellando i trambustati comuni, ridestavano il pianto delle misere ed afflittissime genti. Le speranze della maggior parte dei tirolesi inaridivano bensì a questi giorni autunnali viemmaggiormente, ma nel petto dei sollevati della classe produttrice e montanara verdeggiavano tuttavia, malgrado le minaccie delle avvicinantisi armate nemiche, e le voci d’una vicinissima pace.
Guerra pertanto esclamavasi in sulle sponde dell’Adige, guerra volevano ancora le alpigiane popolazioni; guerra le valli settentrionali, e i monti che l’Enno, l’Eisak e l’Avisio fronteggiano. Frattanto si abbandonava l’agricoltura, languivano le arti e le maestranze; lo spavento cresceva ne’ pacifici ed avveduti cittadini; ogni cosa in somma era piena di paura e di dolore. I sollevati, che si erano rannodati a San Michele e nei circostanti luoghi, con audace risoluzione e perseverante coraggio, pochi giorni dopo la battaglia dei 2 ottobre, calavano improvvisamente da quella terra per riprendere l’interessante posizione di Lavis. Il comandante Eisenstechen conduceva al periglioso passo la risoluta gente.
Nel mentre accadeva questa novella scena, il general Peyri mandava ad esecuzione un acerbo comando, in conseguenza del quale alcuni pacifici abitanti dovevano pagare il fio dell’altrui ostinazione. Nel silenzio della notte precedente al giorno 5, con imponente apparato, ma tuttavia con molto riguardo e buona maniera, furono all’improvviso sorpresi ed arrestati dalle truppe italiane e romagnuole ventiquattro assai spettabili ed onestissimi cittadini del Tirolo italiano, ed ancora lo stesso dì trasportati in sull’Adige a Verona. La compassione e lo spavento che ne sentirono le popolazioni, e massime le famiglie ed i congiunti, è stato grande ed orribile. Tutti erano ansiosi di saperne la causa, ed in sulle prime si giudicava che la malevolenza gli avesse indiziati a’ francesi come persone di mal affetto al presente ordine delle cose. Dopo qualche giorno si seppe, che i catturati venivano trasportati a Mantova, per esservi sostenuti come ostaggi del Tirolo; contegno osservato dal governo francese ne’ paesi di conquista, e che il duca di Danzica avea già eseguito sino dal 13 agosto in Innsbruck, ove furono arrestati ad ostaggi il presidente del Tribunale d’Appello conte Sarenthein, vecchio venerando, che pel dolore della sua cattura rimase vittima in Monaco; il barone di Schneeburg, il provvisorio commissario generale de Hormayr, e la baronessa di Sternbach, i quali vennero condotti a Strasburgo, dove custodivansi altri ostaggi del Vorarlberg, a’ cui fu data la libertà solamente in occasione del maritaggio di Napoleone coll’arciduchessa d’Austria Maria Luigia.
Le poche truppe napoleoniane, già preparate alla battaglia in sulla stanca riva dell’Avisio, cedevano al nuovo impeto tirolese, e si ritiravano nel distretto trentino. Non contenti i tirolesi d’averle espulse dalla situazione di Lavis, e di avere per tal modo cambiato il dolore della perdita in allegrezza, e la sconfitta in vittoria, si muovevano colla loro massa a fugarle nella città di Trento. I fuggitivi chiudevano le porte delle cittadine mura, e intorno a queste circa quindicimila sollevati vi ponevan l’assedio. Il Peyri, che non avea ancora intieramente esaurita la fonte della contentezza e delle millanterie per il trionfo dianzi da lui riportato, rimaneva attonito e vergognoso, e non sapea come uscire dall’impensato imbarazzo. La rabbia si raddoppiava in lui, allorquando veniva a notizia, che per opera degli assedianti erano state deviate dalla città le acque del Fersina, che danno moto alle macine. Il giorno 9 d’ottobre durava tuttavia l’assedio di Trento; una scurità, un brulichío di sollevati, segnatamente italiani, copriva quasi tutte le circostanti colline, scaramucciando del continuo contro i francesi. Il bisogno dell’acqua, il manco delle vittuaglie, e un rinforzo di circa 500 napoletani e romani che sopravvenne dall’Italia ai napoleoniani, determinavano il Peyri a indrappellare il giorno 10 la sua truppa, ed a combattere con aspra battaglia i sollevati. Le due genti venivano a giornata; lunga pezza durava l’azzuffamento, e in esso facevano arrovellatamente ambidue l’estreme prove di coraggio e di furore. Ma sia che il coraggio e il valore dei napoleoniani abbiano superato quello dei tirolesi, o sia che questi avessero preferito di concentrarsi in una più opportuna posizione, questi ultimi deponevano il fervore del combattere, abbandonando l’assedio, e ritirandosi lo stesso giorno nelle trincee di Lavis. In questa fazione due sole compagnie di napoletani bastarono a disperdere in pochi momenti un nuvolo di sollevati, che sui colli prospettanti il ponte Cornicchio guardavano la fatta deviazione dell’acqua che entra in città. Lo sbaraglio e la fuga di questa vilissima gente, in gran parte naune e pinetana, fu così spropositato e dirotto, che molti, gettate le armi, i vestiti e le scarpe, trafelarono per via dallo spavento.
Il giorno dopo, le parti vennero a nuovo conflitto fra la Madonna Bianca e Mattarello, con minor perdita da parte dei tirolesi, che si ritirarono ai monti. I francesi di tutta fretta ritornarono a Trento, conducendo seco molti buoi, e mancando di viveri, presero precauzioni limitando alle famiglie il puro bisogno. Il Peyri, con manifesto pubblicato in quest’ultimo dì, esaltava il fatto dei 10, e gloriavasi d’avere scacciata dalle mura di Trento una ciurma di trenta mila briganti tedeschi (così egli diceva), rinnovellando ad un tempo ai tirolesi l’eccitamento di ritornare alle loro famiglie.
Di questi giorni anche in sui confini del Salisburghese i sollevati della settentrionale regione gareggiavano coi meridionali nell’arduissima impresa sconsigliatamente continuata di concerto coi sollevati salisburghesi. Anzichè dare ascolto alle eccitatrici parole di quiete, anzichè deporre le armi e rientrare pacifici nelle proprie case, si accingevano ad attaccare invece, sul cominciare d’ottobre, un bavaro reggimento di fanteria che a Lofer stanziava. L’investivano tanto impetuosamente, che il mettevano ben presto nella necessità di ritirarsi sopra Reichenhall. Un altro bavaro corpo veniva contemporaneamente respinto ed indotto a piegarsi da Gollin sopra Hallein. L’ardire tirolese scontrava in Hallein un acerrima rappresaglia, a motivo delle disposizioni date dal maresciallo Lefebvre, e dirette dal generale Montmarie. Un’altra sconfitta incontravano i tirolesi pur anco ad Oberholm dalle sciabole vendicatrici del furente nemico. Più centinaia di tirolesi sacrificarono in queste giornate con religioso affetto le loro vite per l’estremo amore di patria. Alla preziosa perdita del sangue si accoppiava fatalmente quella d’una quantità di munizione, e di qualche pezzo d’artiglieria, perdita anche questa assai importante alla patria difesa.
I segni del funesto avvenire qui sorgevano più che mai per ogni dove, indiziando vicina quella fiera tempesta, che sugl’infelici tirolesi doveva orrendamente rovesciarsi. Da tutte parti della provincia entravano, intorno alla metà dell’ottobre, le truppe nemiche destinate ad annientare, per un assoluto comando di Napoleone, l’indomita costanza della derelitta nazione. Tre colonne vi mandava la bavara potenza, le cui truppe ponevano piede nel territorio tirolese il dì 14: una penetrava pel Salisburghese sotto gli ordini immediati del principe ereditario: la seconda, che da Kessen camminava appresso a’ detti confini verso San Giovanni, era guidata dal generale barone di Wrede. Della terza, diretta verso Kuffstein, aveva il governo il generale Deroy. Il francese generale Drouet, conte d’Erlon, aveva il comando supremo di queste tre colonne, i cui soldati andavano alla battaglia contro la sollevata nazione predominati tuttavia dalla vendetta, che per gli preteriti insulti non avevano ancora deposta. Dalla parte orientale e meridionale, attraversando la Stiria, la Carintia ed il Friuli, avvicinavasi con altre truppe il principe Eugenio, vicerè d’Italia. Nel Tirolo italiano giungeva, preceduto da nuovi rinforzi di fresca gente, il generale Vial, mandato da Napoleone per assumere il comando delle truppe francesi ed italiane in esso stanziate, e surrogato al Peyri chiamato a dirigere un’altra fazione.
Vial manifestava ai tirolesi italiani il suo arrivo in Trento con questo proclama:
«Li 14 ottobre 1809.
«Tirolesi! Da molti mesi voi siete in preda dell’anarchia; false insinuazioni vi avevano persuasi, che voi ritornereste sotto il dominio della Casa d’Austria, alla quale il tempo e l’abitudine avevano potuto affezionarvi: disingannati sopra questo motivo, si è cercato di persuadervi che voi giungereste a farvi riconoscere come potenza indipendente. La Casa d’Austria per voi non può più nulla, e voi in mezzo a grandi potenze non potete restare isolati senza esporvi alle più grandi disgrazie. Avete bisogno d’un appoggio, d’una protezione; la Francia deve assicurarvela. Il grand’uomo che la dirige, alleato di S. M. il re di Baviera vostro sovrano, apprezza i popoli, che, come voi, mostrano energia; ma egli punisce severamente coloro che si abbandonano allo sviamento e all’errore: i vostri destini non dipendono che da Napoleone; confidate nella sua giustizia. Afflitto dai mali che voi soffrite, egli mi ha ordinato di venire tra voi per ricondurvi l’ordine e la felicità. In questo momento altri corpi di truppe entrano nel Tirolo tedesco per molte strade. Non risguardate in noi che amici dell’umanità, soldati induriti ed accostumati alle fatiche della guerra, pronti ad annichilare quelli che ad essi resistono, ma che sanno proteggere gli abitanti pacifici, quelli che mostrano moderazione e confidenza.
«Masse d’uomini usciti dal Tirolo tedesco e condotte da capi esaltati, sono entrati nel Tirolo italiano ad esercitarvi una tirannica condotta. Essi hanno voluto forzare i suoi abitanti ad arruolarsi sotto le loro bandiere, ove i segnali di religione sono divenuti i segnali del disordine.
«Io applaudisco alla resistenza che un gran numero di comuni hanno opposta. Il Tirolo italiano sarà particolarmente protetto. Io farò cessare le violenze, delle quali è vittima; farò rispettare la religione, le persone e le proprietà.
«Il corpo ch’io comando si aumenta tutti i giorni; colonne mobili vanno a percorrere dietro Trento, ove alcune orde di malfattori tormentano e saccheggiano i pacifici abitanti. Unite i vostri sforzi alla mia vigilanza; imitate la condotta dei contadini di Folgaria, distretto di Rovereto, che sotto la direzione del loro curato Giovanni Rella hanno resistito ad una banda di quei miserabili, gli hanno inseguiti, e ne hanno arrestati e tradotti in gran numero a Rovereto.
«Tirolesi! non è questa la prima volta ch’io vengo fra voi. Nell’anno 1806 io ho attraversato il vostro territorio alla testa delle truppe francesi; il mio nome vi è conosciuto e, oso dirlo, giustamente segnato nell’opinione. Io non fui mai terribile che contro quelli che mi hanno resistito colle armi alla mano. Dopo la presa di Clausen, che fu presa di viva forza (innanzi Mühlbach), le mie truppe si avanzarono sopra il villaggio di Mühlbach. Gli abitanti l’avevano abbandonato; le loro case ed i loro effetti restarono intieramente a nostra disposizione: ma tutto fu rispettato; nulla, assolutamente nulla, fu portato via. Io feci ripiegare le mie truppe a Clausen; alcuni deputati di Mühlbach furono spediti agli abitanti di Mühlbach fuggitivi, e sparsi nelle montagne, e gli assicurarono della mia protezione. Essi rientrarono nelle loro case, e all’indomani, proseguendo la nostra marcia sopra Villaco, noi fummo accolti a Mühlbach ed in tutti gli altri villaggi col sentimento della più franca amicizia.
VIAL.
«Generale di divisione.»
In mezzo a questi moti militari, tendenti a debellare l’armato Tirolo, il suono giulivo delle campane, lo squillo festevole delle trombe, lo sparo strepitoso dei cannoni, e le feste de’ soldati annunziavano ad una gran parte dell’afflittissima sua popolazione la notizia della pace, conchiusa a Vienna il dì 14 d’ottobre fra il principe Giovanni di Liechtenstein, plenipotenziario dell’Imperatore d’Austria, ed il conte Giovambattista Nonpere di Champagny, plenipotenziario dell’imperatore della Francia.
L’annunziata pace riusciva di somma contentezza all’Europa, poichè tutti i popoli vedevano per essa finito lo spargimento di tanto sangue, e riaperta la via al commercio, che la guerra avea con danno universale intersecata. Il solo popolo del Tirolo essa riempiva di sdegno, sì come avvenne colla pace del 1805, perchè oggimai disperava di ottenere d’essere coi di lei trattati liberato dal dominio della Baviera: l’articolo decimo dolcificava per altro il di lui cruccio; esso suonava così:
«S. M. l’Imperatore de’ Francesi s’impegna di far accordare un perdono pieno e sincero agli abitanti del Tirolo e del Vorarlberg, che hanno preso parte all’insurrezione, i quali non potranno essere molestati, nè sulle loro persone, nè sui loro beni.»
Nei circoli di Trento e di Rovereto, posseduti sino alle frontiere di Lavis dalle armi della Francia, fu questa pace pubblicata il dì 20 ottobre, e festeggiata colle imposte solennità civili e religiose, a cui il popolo, dubbioso della pace e di nuove rotture, rispose con freddo giubilo e senza acclamazioni, tanto più vedendo arrivar nuove truppe, e continuarsi le ostilità fra Gardolo e Lavis. Nel Tirolo tedesco poi, e segnatamente ad Innsbruck, la pace fu annunziata alquanto più tardi, perchè vi dominavano ancora le armigere nazionali fazioni.
Le speranze della libertà tirolese non solo respiravano in quella parte tuttavia, ma venivano anzi fomentate da un novello incidente, qual era la presenza di Antonio de Roschmann, pria della pace ricomparso in Tirolo come imperiale comandante supremo e commissario d’armata, coll’istruzione di persuadere i tirolesi ad intraprendere un’offensione in ischiena al nemico, qualora si desse il caso di continuare l’interna difesa. Nel giorno stesso, nel quale i due ministri conchiudevano a Vienna i pacifici trattati, il commissario Roschmann compariva a Bressanone; il dì 16 interveniva alla sessione, appuntata a Sterzing per trattare sugli affari di difesa, e poscia recavasi ad Innsbruck all’alloggiamento di Hoffer, che allegramente l’accolse, dandogli stanza, e riguardandolo qual ambasciatore imperiale. Non appena si accostava egli al supremo comandante della nazione, che l’arciduca Giovanni inviavagli la rivocazione dell’affidatogli uffizio, e l’ordine di astenersi dall’infondere, colla sua comparsa in Tirolo, ingannatrici speranze, con che, oltre il compromettere la corte imperiale, non avrebbe cagionato che l’infruttuoso spargimento del sangue d’un popolo abbastanza colpito dalla disgrazia.
Nei giorni susseguenti a quello della pace i popoli delle due grandi potenze solennizzavano il fausto avvenimento. In Francia, in Italia e ne’ paesi dei principi confederati risuonava l’aria del ribombo dei cannoni, che tiravano a festa, e delle grida giulive degli abitanti, che ammiravano i prodi guerrieri riedere trionfanti col pacifico olivo. Nel Tirolo tedesco, a rincontro, i cannoni mettevano spavento, e cagionavano ancora novelle stragi, novelle rovine, novelle morti.
Il principe reale di Baviera moveva il primo l’oste sua. Addì 16 ottobre incontravasi a Meleck colle genti di Speckbacker. L’allegrezza delle fresche vittorie riportate sull’Austria, la preponderanza delle forze, la speranza di riaquistare la perduta provincia, e di vincere chi vincitore era rimasto in tante fazioni, accompagnavano al nuovo cimento i bavari soldati. La presenza del figlio del trono dava loro altresì e desiderio di combattere e coraggio di distinguersi. I tirolesi affrontavano bensì, per impulso dell’innato valore, chi li veniva a combattere, ma il vincere non istava più nel potere nè del loro coraggio, nè tampoco della tirolese costanza. La vaga fortuna o, per meglio dire, le conseguenze della cessata guerra aveano cambiato intieramente l’aspetto delle cose. L’egregio Speckbacker stava forte all’impeto nemico, ma i di lui sforzi costavano il sangue della valorosa gente da lui capitanata, e la perdita eziandio di un impubere suo figliuolo, che in questa, e in altre passate occasioni diede a divedere come in lui scorreva il sangue e gli spiriti paterni. Il singolarissimo fanciullo, di circa dodici anni, cadeva fatalmente prigioniero, e con esso lui dovea cadere anche il padre, se una fuga precipitosa non l’avesse salvato dal periglio, a cui, nel vedersi mancare il tenero figlio, s’era disperatamente esposto. Fra morti, feriti e prigionieri perdette in quest’incontro il Tirolo 500 uomini; rovescio che non sarebbe forse succeduto, se, come diceasi, le compagnie di Rattemberg avessero avuta l’avvedutezza di occupare e guardare le alpi dietro Melech. A fronte però della grave perdita, e delle considerevoli forze del nemico, Speckbacker rinfrancava ancora dopo la sua fuga, e volea avventurarsi ad un novello cimento. L’estremo pericolo produceva l’estremo coraggio, aizzato dall’angoscia di ricuperare il figlio perduto. Ma la sua gente era scorata per la fiera sconfitta avuta da un potente nemico, e mostravasi omai avversa in seguitare i suoi passi.
La disgrazia di Speckbacker ne produsse un’altra: i corpi bavari, che in Tirolo inoltravansi, gli ruppero la comunicazione colla colonna del cappuccino Haspingher; circostanza assai influente a sollecitare la meditata distruzione. Il dì 16 era destinato a nuovo conflitto. Haspingher, prevedendo finalmente che il corso delle vittorie era finito per la digraziata nazione, e che le cose ad altra piega disperatamente volgevano, abbracciava il prudente partito di evitare il minacciatogli assalto, che non avrebbe prodotto che un aperto sacrificio della sua gente, e spingendo il di lui cammino nella Stiria, e da qui volgendosi sulla via di Villaco, univasi poscia coi tirolesi, che bloccavano Sachsenburg, e rientrava in Tirolo. Giunto appena sulla patria terra, indirizzava i passi per abboccarsi con Hoffer, che a Steinach avea trasferito il suo alloggiamento in conseguenza dei fatti che più sotto verremo narrando.
La bavara colonna, che la gente di Speckbacker avea tanto percosso, entrava poco dopo trionfalmente in Loffer. I tirolesi ritiravansi, i bavari gl’inseguivano. Speckbacker, sempre accompagnato dal naturale ardimento e dall’estremo amore di patria, ardiva esporre ancora la vita affrontando un drappello di cavalleria. La prudenza facevagli alfine curare la ritirata per lo stretto di Mariastein, poscia per le eminenze di Rattemberg, indi per le valli di Gerlos e di Ziller, e finalmente per Friedberg e Wolderse, coll’idea di pervenire sul monte Isel presso Innsbruck. Il general Wrede stabiliva nel giorno 17 il suo alloggiamento in Kössen, e il giorno 18 arrivava colla vanguardia a San Giovanni. Durante la celere marcia della sua colonna, i tirolesi lanciavano sur essa delle archibugiate dal Kleinberg, indi tentavano inutilmente di rompere il ponte sull’Ach per sospenderne alquanto l’avanzamento. In questo medesimo giorno metteva piede in Wörgel la colonna comandata dal generale Deroy, che avea poc’anzi e superata un’opposizione a Kuffstein, e rimessi due ponti da’ tirolesi tagliati. Per tal modo le tre bavare colonne si aprivano in Wörgel il dì 18 una vicendevole comunicazione, che quanto riusciva ad esse di giovamento, si rendeva altrettanto funesta alla massa dei sollevati.
Addì 24 la riunita bavara armata camminava col grosso delle sue forze da Kundel verso Hall. Nel tempo stesso il bavaro colonnello e brigadiere Oberndorf piegava il cammino, col reggimento dei cacciatori ed altri fanti, alla volta di Mittenvald e di Scharnitz, per giungere ad Innsbruck da quella parte. Veggendo Hoffer la formidabile calca che ad Innsbruck si approssimava, udendo le sconfitte, la fuga e la disperata situazione dei varii corpi di difesa in varie parti disposti, e pensando che il paese veniva cinto ognor più da potenti ed implacabili nemici, dava il dì 21 alcune disposizioni per la futura custodia dei bavari prigionieri, e dichiarava di trasferire sua stanza sul monte Isel.
Il giorno 25 la provinciale metropoli ricadeva in potere del Bavaro. Vi prendevano alloggiamento il comandante supremo conte d’Erlon, il principe ereditario di Baviera, e i generali Wrede, Razlovich e Bechers, che vi entravano preceduti da molta truppa a piedi e a cavallo, e da un buon corredo d’artiglieria. Questi capi d’armata, pria ancora di curare il ripreso possesso dell’interessante metropoli, con due reggimenti di fanti e due di cavalli, e con alcuni pezzi d’artiglieria andavano a scandagliare la posizione dei tirolesi trincieramenti in sul monte Isel. Scorgevano i tirolesi l’armata, che alla loro volta difilava. Il vederla, il salutarla col fuoco delle loro carabine, fu tutt’uno. Lo scudiere del principe bavaro cadeva ferito; ferito cadeva egualmente il cavallo del generale Wrede. A tal vista evitavano gli altri la mortale tempesta delle tirolesi piombate, e rientravano in Innsbruck. Qui volgevano tosto l’attenzione all’amministrazione generale del paese instituita da Hoffer; i di lei rappresentanti venivano arrestati per ordine del supremo comandante. Coll’innata sua bontà ascoltavali e parlava loro il principe bavaro in sulla strada che da Innsbruck conduce ad Hall: da lì a pochi giorni l’amministrazione medesima veniva ristabilita.
L’ostinazione nella difesa continuava nei tirolesi; essi attaccavano il dì 27 con tanta ferocia i bavari, che gli obbligavano a sgombrare per alcuni momenti la città d’Innsbruck. Nella valle di Zimmer cadevano nelle mani di Speckbacker alcune compagnie. Gl’impetuosi e gagliardi attacchi rinnovellati sul monte Isel e presso Rinn, venivano con indicibile valore ributtati. Felici apparivano questi successi, e felici erano veramente; ma chi pensava e ragionava, non potea non giudicarli fatali e per la momentanea loro durata, e per l’infelice risultato ch’essi doveano sortire. Ammirava il mondo l’inaudita resistenza dei tirolesi, e compiangeva la deplorabile loro situazione omai scevra d’ogni più lieve speranza.
Il dì 29 udiva Innsbruck la pubblicazione della pace. In questo giorno avea Hoffer trasferito di nuovo il suo alloggiamento a Steinach; egli però se ne stava per lo più sullo Schönberg, ove ebbe qualche parlamento colla parte avversaria. Nella sera precedente al giorno 30 giungeva a Hoffer il barone Giuseppe Lichtenthurm, speditogli come corriere dalla Corte austriaca in allora dimorante nel castello di Totis. Egli era portatore ad Hoffer di un viglietto autografo dell’arciduca Giovanni dato a Kestzthely li 21 ottobre, e di un proclama del vicerè d’Italia.
Il viglietto parlava così: «La notizia della pace conchiusa, sarà già pervenuta sino a voi. Tale nuova io ve la devo confermare per supremo comando. Tutto avrebbe fatto l’imperatore per mandare ad esecuzione i voti del Tirolo. Ma per quanto all’imperatore interessi da vicino il destino dei prodi abitanti di questo paese, null’ostante la necessità dettógli la pace. Per comando supremo vi metto di ciò in cognizione, coll’aggiunta, essere desiderio di Sua Maestà, che i tirolesi stiano tranquilli, e che non abbiano più a sacrificarsi senza scopo».
Il Proclama era del seguente tenore:
EUGENIO NAPOLEONE
Arcicancelliere di Stato dell’Impero francese, Vicerè d’Italia, Principe di Venezia, Comandante in capo l’armata d’Italia
AI POPOLI DEL TIROLO.
Tirolesi!
«La pace è stata conchiusa tra S. M. l’Imperatore de’ Francesi, Re d’Italia, protettore della Confederazione del Reno, mio augusto padre e sovrano, e S. M. l’Imperatore d’Austria.
«La pace regna dunque in oggi ovunque intorno a voi.
«Voi soli non godete ancora de’ suoi benefizii.
«Traviati da nemiche suggestioni, vi siete armati contro le vostre leggi: le avete rovesciate.
«Raccogliete in oggi i tristi frutti della vostra ribellione. Il terrore regna nelle vostre città, l’ozio e la miseria nelle vostre campagne, la discordia tra voi, il disordine dappertutto.
«S. M. l’Imperatore e Re, commosso dalla vostra deplorabile situazione, e dalle testimonianze di pentimento, che molti fra voi hanno fatto pervenire sino al suo trono, ha espressamente acconsentito col Trattato di pace a perdonarvi i vostri traviamenti.
«Vi porto la pace, poichè vi porto il perdono.
«Ma, ve lo dichiaro, il perdono vi è concesso col patto che rientrerete voi stessi nell’ordine, che deporrete volontariamente le armi, che in nessun luogo troverò resistenza alcuna.
«Incaricato del comando in capo delle armate che vi circondano, vengo a ricevere la vostra sottomissione, o ad imporvela.
«L’armata sarà preceduta da Commissari da me espressamente incaricati di sentire le vostre lagnanze, e di ascoltare i reclami che foste nel caso di fare.
«Ma, non lo dimenticate, questi Commissari non sono autorizzati ad ascoltarvi, che quando avrete deposte le armi.
«Tirolesi! se le vostre lagnanze ed i vostri reclami sono fondati, ve lo prometto, vi sarà resa giustizia.
«Dal quartier generale di Villaco, li 25 ottobre 1809.
«EUGENIO NAPOLEONE.»
Quale rivoluzione di pensieri abbia suscitato nell’animo di Hoffer la lettura di questi due documenti, è cosa piuttosto facile a immaginare, che descrivere. Sconsolato e dimesso, si fece a discutere sul loro argomento con Wörndle, uno de’ capi della Pusteria, e col capitano dei meranesi, in detta notte a lui presentatosi per trattare sugli affari della difesa, e con altre persone ancora, che con esso lui alloggiavano, e che nell’esercizio del supremo comando o bene o male il consigliavano e l’assistevano. Tutti stavano alquanto perplessi di quello che avessero a fare. Conoscevano apertamente che il paese veniva cinto ognor più da formidabili inimici, giacchè oltre le colonne entrate in Tirolo, si appressavano a gran passi le napoleoniane legioni, condotte dai generali Severoli, Barbou, Rusca, Brussier, Peyri, Bertoletti, comandate dal generale Baraguey d’Hilliers, e sulle quali il vicerè d’Italia avea il capitanato generale; s’accorgevano che non era più tempo nè di far uso del patrio valore, nè tampoco di mettersi in potestà della fortuna, perchè nè il valore, nè la fortuna possono avere influenza quando si tratta di misurarsi contro forze gigantesche e strabocchevolmente maggiori; vedevano che la pace troncava tutte le speranze e i consigli vanamente formati, e che necessario era di rimovere l’ostinazione cotanto indurita; e quindi in mezzo ad una discordanza di pareri conchiudevano che per non esporre il paese ad uno strazio maggiore, ed evitare un’ulteriore effusione di sangue, fosse più sano partito quello di deporre le armi, e sottomettersi a chi decidere omai poteva della sorte futura del paese.
Mettendo adunque forzosamente in non cale la gloria acquistata con tante fatiche, e con tanti pericoli, e con tanto sangue, mandava Hoffer ad esecuzione, poco dopo l’arrivo dell’anzidetto corriere, la deliberazione pronunziata dalla maggioranza, coll’inviare una deputazione a Villaco per presentare al vicerè una supplica sottoscritta dai rappresentanti di alcuni distretti, e diretta ad ottenere dalla sua clemenza un’intiera perdonanza delle offese fatte; e nell’istesso tempo indirizzava al supremo generale della bavara armata la lettera seguente:
«All’Illustrissimo comandante la regia bavara armata generale di divisione, e conte dell’Impero Erlon Drouet
«L’arrivo avvenuto in questo punto di un corriere spedito dal quartier generale di S. A. I. l’arciduca Giovanni, munito di passi imperiali francesi, annunziò al Tirolo l’ufficiale conferma della pace effettivamente seguita tra la Casa d’Austria e S. M. l’Imperatore dei Francesi.
«Consolati e tranquilli i Tirolesi, che il destino della loro patria sia riposto nella generosità di S. M. l’Imperatore dei Francesi e Re, e per vedere un fine all’ulteriore spargimento di sangue, furono subitamente spediti deputati a S. A. I. il Vicerè d’Italia onde mostrargli preventivamente la nostra devozione, e rimettersi, come l’esigono le circostanze, all’ulteriore destino.
«Da Schönberg, il 29 ottobre 1809.
« Dal supremo comando in Tirolo.
«ANDREA HOFFER.»
I partiti per la difesa, o per la sommissione non si conciliavano fra i capi: essi germogliavano molto variabilmente. Generale era bensì in essi il sentimento d’appoggiare la gravissima causa al principe Eugenio, nella ferma speranza di trovare in lui maggiore moderazione che nella Baviera, colla quale l’antico odio nazionale ultimamente s’era tanto ingrandito; ma nel resto chi approvava il già adottato divisamento, e chi no. Chi era stanco di vivere fra tante procelle, ed anelava la quiete e il riposo per medicare le aperte ferite, e chi voleva ancora la guerra. Taluno opinava di mantenersi nelle piantate trincee, stando sulla difesa fino al ritorno dei deputati da Villaco, e tal altro consigliava che colla resistenza delle armi s’otterrebbero migliori condizioni nella trattata amnistia. Hoffer ondeggiava in mezzo a tanti partiti come una nave agitata dai venti. Udiva le ragioni degli uni, udiva le opposizioni degli altri. In punto di coraggio e di azioni guerriere egli era incontrastabilmente l’anima dei combattenti, l’ornamento e lo splendore della nazione; ma nel trattare le faccende politiche del paese non possedeva il necessario intendimento, e perciò le di lui risoluzioni venivano facilmente aggirate. La poca accortezza e la facile sua credulità il trascinavano in un errore, che gli preparava niente meno che la morte. Gli evidenti apparati, le insinuazioni di pace e le minacce, i vessilli di numerosi eserciti che dentro e d’intorno alla provincia spuntavano, non bastavano a frenare gli imprudenti trasporti d’una soverchia ed irragionevole speranza, che ad ogni tratto in lui si destavano per opera dei malvagi, che colla tirolese sommossa o sottraevano i loro delitti allo sguardo della giustizia, o saziavano i loro intenti di rapina, e i quali spargevano una voce fomentatrice con cui facevano credere che la pace, il viglietto dell’arciduca Giovanni, il consiglio paterno della Corte imperiale, le generose promesse del vicerè d’Italia, fossero stratagemmi del nemico per ingannare e ridurre i tirolesi a deporre le armi. Questa falsa voce il toglieva dal pensiero del chiesto perdono, il faceva obbliare la lettera scritta a Drouet, e il rendeva tuttavia persistente nella patria difesa; sicchè, in luogo di richiamare gli armati tirolesi dalle varie posizioni, e persuaderli alla rassegnazione, concedeva sconsigliatamente, il dì 31, che ripigliassero le armi, e con queste assalissero i primi posti delle bavare colonne, che rafforzate da sopraggiunti soccorsi, voltavano prestamente la fronte, e respingevano gli assalitori. Un fatto chiamava l’altro. Alle ore 9 di questo medesimo giorno si movevano altresì le colonne del principe ereditario e del generale Wrede contro i difensori del monte Isel, nel mentre che il generale Raglovich spingevasi con un distaccamento ad Ambras, Altrans ed Ampass, per rompere ai tirolesi la comunicazione della loro destra col centro, e che il generale Deroy pugnava nelle posizioni di Rattemberg, di Schwatz, di Vernberg, di Volders e di Hall. I tirolesi, che non più combattevano colla pristina arditezza, avevano ovunque la peggio. Questo produceva il disordine; al disordine succedeva la fuga, e la perdita della poca artiglieria abbandonata sul monte Isel, acquistato dall’impetuoso e forte assalto del bavaro esercito. Il solo battaglione di Habermann toccava in ischiena della città una sconfitta significante; ma venendo in suo aiuto le genti condotte dal generale Rechberg, rinfrancava, e riparava ben presto la perdita sofferta.
Drouet facea risuonare ai prostrati tirolesi la gloria di questi ultimi fatti, e parlava loro così:
ARMATA DI GERMANIA
Corpo d’armata regio bavaro.
«Tirolesi! Io mandai ad Andrea Hoffer alcuni esemplari del Proclama di S. A. I. il principe Vicerè d’Italia avente il supremo comando delle armate, e molti estratti del trattato di pace conchiuso il 14 ottobre tra S. M. l’Imperatore Napoleone e S. M. l’Imperatore d’Austria, nella speranza che e gli uni e gli altri avesse egli a pubblicare tantosto per accelerare la vostra sommissione.
«Dal dì 25 fino al 31 ottobre ho aspettato al mio alloggiamento presso Hall il risultato delle mie pacifiche misure, ma rimasi ingannato nella mia aspettazione. Durante il giorno 31 ebbi invece a conoscere che egli divulgò a tutto il paese ordini e comandi d’attaccare i primi posti della mia vanguardia. Probabilmente egli fondò le sue speranze sul monte Isel, per suo comando fortificato, e da lui creduto inespugnabile. Un tale prestigio presto però è scomparso. Questa forte posizione venne presa da una parte delle mie truppe appena assalita. La fuga e il disordine succedevano dappertutto. Artiglieria e munizione venivano abbandonate il dì 1 di questo mese.
«E però, Tirolesi! se volete partecipare al perdono che l’Imperatore Napoleone si è impegnato d’interporre per voi, affrettatevi di eseguire le condizioni che v’impone il Proclama di S. A. I. il Vicerè d’Italia. Solamente questo mezzo può sottrarvi ad una guerra, che altro scopo non ha che quello dell’intiera rovina del vostro paese.
«Io vi comunico con questa l’estratto della lettera che Andrea Hoffer mi fece pervenire per certo Thurnvald di San Leonardo: il tenore di essa diluciderà tutti i vostri dubbii, e, lo spero, solleciterà prontamente la intiera vostra sommissione.
«Innsbruck, il 3 novembre 1809.
«DROUET»
«Generale di divisione.»
Quest’esito avevan le cose del Tirolo col finirsi d’ottobre. Non più rispondeva nei sollevati la costanza alle determinazioni, non più la celerità all’esecuzione. Di mano in mano che cadeva in essi la speranza, cadeva la concordia dei loro sentimenti, cadeva la volontà del combattere; il timore spargeva negli animi loro il suo possente dominio, e scemava la presunzione delle passate prosperità.
Il commissario Roschmann, veggendo omai tutto perduto, affrettava la sua partenza dal Tirolo. Da Steinach, dove avea seguíto il comandante supremo della nazione, dirigevasi alla volta di Bolzano. Munitosi quivi di un passaporto colla qualificazione di mercante, si accinse a viaggiare fuggiascamente, e per la via d’Engadina penetrò, con fatica e fra i pericoli, nella Svizzera. Da qui volse il cammino verso la Svevia, la Boemia, e da Praga liberamente a Vienna. La partenza di Roschmann offriva ai tirolesi un nuovo incidente per accelerare la piena loro sommissione; ma se omai era dal destino segnata la loro caduta, non era però suonata ancor l’ora del fine di tante loro sciagure.