LETTERA VI.

Avendovi accennato di avere avuto che fare coi Quaccheri, voglio dirvi ciò che ne penso anche a costo di dover dirvi parte di quello che già sapete. Siate intanto persuaso dei fatti che vi esporrò, e giudicate poi delle conseguenze a piacer vostro. Ho trovata la famiglia in cui sono vissuto, molto modesta, frugale, quieta, laboriosa, e di una tal minutezza di pulizìa, che i mezzi per ottenerla non lasciano di essere nojosi ed incomodi a chi non è Quacchero. In questo proposito non vi sia discaro che in aria di parentesi vi narri, come una mattina alzatomi dal letto con un resto di febbre cagionatami dal freddo acutissimo sofferto nel giorno avanti nella [41] Corte Criminale di Chelmsford, scesi abbasso mezzo spogliato per ricercare dove soddisfar potessi a qualche necessità naturale. Credei che come in tutte le Case da me fino allora vedute in Londra e altrove, fosse un comodo nella Corte, che chiamano Yard o luogo prossimo. Con questa idea seguitai la guida che si mosse per indicarmelo; e questa facendomi attraversare mezzo il Paese, mi condusse in un Giardino a un terzo di miglio di distanza. Sebbene mi fosse di vero incomodo questo costume, non lasciai di riderne, parendomi quanto bizzarro, altrettanto curioso e nuovo.

I Quaccheri tanto uomini che Donne, vestono in una maniera affatto semplice, di una estrema proprietà per altro. Non ammettono guarnizioni, non trine, non colori brillanti, non metalli. Non levano il cappello ad alcuno, e non fanno ad alcuno riverenza, [42] neppure al Re. Parlano poco, modestamente, senza complimenti, e con quanta precisione è possibile. Il sì e il nò sono espressioni spesso sole nella loro bocca. Dicono di esser Cristiani, ma coi Cristiani non hanno di comune che la Bibbia. Non hanno verun Sacramento, nè culto; non Preti; nessuno Ecclesiastico Stabilimento, e forse non altra credenza determinata che quella di un Dio. Ciò che noi chiamiamo Chiesa è presso di loro più che altro una Sala di adunanza, senza alcuna decorazione. Vi siedono indistintamente, le Donne per altro tutte da una parte, e vi regna un'aria malinconica di profonda meditazione. Il silenzio vi è perfetto. È rotto da quello che si sente, dice egli, ispirato, sia uomo, sia Donna. Ognuno di loro si crede di un Carattere Sacro, e pretende di esser guidato internamente dal vero spirito di Dio. È annunziata l'ispirazione con tremiti, con sospiri, [43] con singhiozzi, con affanno che sembra di convulsione; dice alla fine a mezza bocca, interrottamente; dice, e spesso non sa egli quello che dice, e lo sa molto meno quel che l'ascolta. Così è seguito a me più volte, che ho voluto assistere a queste adunanze, dov'è permesso entrare ad ogni sorta di persona decente, purchè vi resti quieta e tranquilla. A queste preseggono alcuni scelti fra loro che si chiamano the Elderst, gli anziani. Il loro Governo è veramente Repubblicano. Questi anziani sono i loro Capi; hanno il diritto di avvertire quelli della loro Setta che non si comportano con la decenza conveniente, provvedono ai bisognosi, consigliano, assistono, ricevono le contribuzioni, puniscono. I Quaccheri non vogliono mai prestar giuramento; pretendono che basti per sicurezza di verità la loro asserzione; non devesi, dicono essi, pronunziare il nome di Dio per [44] cose mondane, nè prestar valor sacro a oggetti profani. Non vogliono in caso alcuno andare alla Guerra.

Da tutto questo e dall'essere i Quaccheri generalmente nelle transazioni ordinarie della vita, onesti, dolci e moderati, molti sono propensi a credere che la Setta loro si accosti più dell'altre al metodo, se può dirsi metodo, di quelle Sette primitive, figlie della natura e di quell'entusiasmo Religioso che animò l'uomo semplice, e non illuminato nè corrotto dalla esperienza, quando sentì il bisogno di un ajuto che la circostanza fece credergli non potersi avere che da un Essere al di sopra di lui. Non so che cosa fossero Fox e gli altri primi loro Legislatori; non so se nella Istituzione ebbero viste politiche o se veramente furon mossi dalla semplicità de' loro costumi, dalla dolcezza del loro carattere, e da quello spirito puro [45] di far bene, che allora è sincero quando non può fare a meno di comunicarsi.

Avevano forse queste qualità, come son persuaso che le avessero per la maggior parte quei primi Istitutori degli Ordini Religiosi nella Cattolica credenza. Gli uomini poi che succedono e che non sono (nè è frequente l'esserlo) di tempra fervida di vero zelo, di vera carità, di vera buonomìa, trovatisi in un Corpo già accreditato e conosciuto senza ulteriore esame per la severità e purità della sua virtù, si sono prevaluti di questo credito, e abusando dell'incauta buona fede, sotto il manto delle buone qualità tanto più nascosti quanto neppur supposti, hanno immaginati e seguitati vasti progetti d'ingrandimento e di dominio. Ignazio di Lojola nell'adunare la Compagnìa di Gesù, non ebbe certo in vista che potesse pretendere [46] un giorno al possesso del Mondo; eppure ognuno sa che i suoi seguaci, sempre parendo attaccati alle regole della modesta Istituzione di lui, coperti delle sue virtù, erano andati tant'oltre nell'ambizione, che la temporal Potestà tremò quando l'imminente pericolo la pose nella necessità di attaccarli. Gli Apostoli furono senza dubbio uomini semplici, o tutto al più Entusiasti del bene e della virtù. I loro successori concepirono la grande idea di niente meno che della Monarchìa universale. Sono contati fra i primi Sovrani d'Europa; e non è che ai giorni nostri, che si è cominciato a disciogliere l'Impero che avevano esteso in tutta la parte culta del Globo sopra le opinioni. Questo è tanto vero che abbiamo veduto Giuseppe II. star pensoso in mezzo a 300 mila uomini armati, sul Trono dell'Austria, all'approssimarsi che fece a lui Pio VI. con null'altro che con [47] una Croce in una mano, e con un Breviario nell'altra.

Giacchè mi son permessa una sì lunga digressione, un'altra dovete concedermene per esporre un'idea che ha qualche relazione col caso nostro, e che non so se nelle rivoluzioni quasi senza fine a cui è soggetta la memoria nostra, vorrebbe ricomparire giammai.

Vedendo nel corso delle vicende umane avere il vizio bene spesso le stesse prerogative della virtù, e produrre all'incirca gli stessi effetti, non mi stupisco che dei Genj perversi dubitando se questa virtù abbia per se stessa una vera determinata qualità caratteristica, e se avendola sia ella fatta per la comprensione degli uomini, abbiano ardito imporre alla povera specie umana, senz'altra legge che quella del loro arbitrio. In questa maniera [48] definendo in sostanza questa virtù un temperamento occasionale da volersi a loro piacere nelle azioni, hanno anche preteso variarlo secondo i tempi, le circostanze e il loro capriccio. Tanto abuso non fu loro difficile. Sapevano essere la virtù uno di quei soggetti che chiamiamo morali, e nella mancanza in cui siamo di definizione in ultimo termine di questa parola morale, conobbero che questo abuso resterebbe impunito perpetuamente perchè equivoco, anzi incognito alla maggior parte. E fatalmente lo sarà ancora per lungo tempo, finchè maggiori progressi nelle Scienze non ci avranno dati maggiori lumi per la maggior conoscenza di noi medesimi. Potrebbe succederne allora che disingannati, rinunziando alle nostre sublimi pretensioni con riconoscerci non come il primo dei molti Anelli della Catena collegatrice dell'Universo, ma come uno di quegli intermedj [49] susservienti, nel quale possiamo sentir certi effetti, ma non conoscerne le cagioni, perchè appartenenti all'Anello superiore prossimo a quello da noi formato, disingannati, dico, ci risolvessimo a dare una nuova regola ai nostri morali e politici sentimenti. Se la virtù fosse un'emanazione di questo Anello superiore, che arrivando a noi con gli ultimi, dirò volentieri, suoi raggi, fa sentirsi quasi e non sentirsi, ne risulterebbe che per tenerci ad un sistema più semplice, più chiaro in conseguenza e più sicuro, la Legislazione prenderebbe in veduta nelle azioni umane quello soltanto che è utile in generale all'interesse della nostra specie; ridotta così la virtù a massime grandi ed estese, sarebbe sentita più di quello che è, perciò, più efficace e più vantaggiosa.

Rileverete da voi nel corso delle mie Lettere, ancor senza che mi sovvenga [50] di farvelo osservare, che in Inghilterra esiste già questo genere di politica, in pratica almeno. Il Governo traendo partito dal vizio come dalla virtù, altro non ha in vista che la utilità pubblica, e non prende in considerazione la particolarità delle azioni che quando hanno diretta relazione alla società generale. Ma ritorno ai Quaccheri e dico, che se la loro istituzione fu nella sua prima origine da riguardarsi in aspetto religioso e diretta alla miglior condotta della vita, ora comparisce a' miei occhi un sistema politico tendente alla indipendenza e all'interesse. Che questo sia, deve esserne una prova l'assicurarvi che tutti gli anni sotto il pretesto della Religione tengono in Provincia in luogo appuntato delle Adunanze, a cui intervengono alcuni de' Quaccheri delle Città Provinciali dalla distanza di 250 e 300 miglia; e tra loro prendendo in esame lo stato del Commercio delle [51] respettive Città in cui vivono, si danno conto individualmente di ogni Mercante, del genere delle sue occupazioni, de' suoi costumi, della sua maniera di vivere. Tal'è l'utilità che ricavano da questo spionaggio le Case grandi Quacchere di Londra, di Bristol, di Liverpool, che mantengono nel Commercio in ogni Città subalterna alcuno della loro Setta, e ne stabiliscono dove non n'è, essendone tanto più sicuro il servizio, quanto più è coperto sotto l'apparenza di modestia, di non curanza per ogni cosa che non è Dio o il loro mestiere. Dissi e vi era noto, che non vogliono prestar giuramento nelle Corti di Giustizia, privilegio che il Governo lascia loro valere nelle Cause Civili, non per altro nelle Criminali, giacchè la Legge non condanna alla morte sopra la semplice asserzione di un Quacchero. Vi aggiungo adesso che questo Quacchero si allontana dalle [52] regole della sua Setta nel caso che il delitto riguardi lui medesimo o la sua roba. Allora depone la sua mansuetudine in favore dell'interesse, presta come un altro il suo giuramento, e fa morire il miserabile che si è fidato della sua ipocrisìa. Il non levarsi il cappello, nè salutare o piegarsi a chicchessia, annunzia un orgoglio e una superbia che distrugge o si oppone a ogni diversità, che pur è necessaria, di ranghi, e che tende ad una eguaglianza che non è compatibile in verun caso coi costumi generali della presente Società. Il Quacchero mostra è vero una probità non ordinaria nelle sue contrattazioni; ma siccome per questa principalmente ha un maggior numero di affari ed ha più concorrenti al suo Commercio, mi è permesso di dubitare se questa probità proceda da sentimento o da un miglior calcolo d'interesse. Che questo possa essere, lo manifesta l'aver io esempj [53] che il Quacchero rinunzia ben volentieri e senza turbarsi a questa sua probità, quando gli si presenta il caso di fare la sua fortuna tutta ad un tratto e senza dilazione, non curando di essere scacciato dal corpo di quelli che vi restano e che aspettano forse dal rigore che usano, una favorevole occasione d'imitar la apostasìa di lui. In somma la Setta dei Quaccheri, che fortunatamente non può mai essere troppo estesa perchè allora molto diminuirebbe del suo oggetto, io la riguardo per impraticabile in un Governo civile di qualunque genere siasi, e per più perniciosa di quello che alcuni credono essere certe razze di Frati nel Cattolicismo. Quella è più tendente di queste a concentrare in se stessa la maggior massa possibile di beni derivanti dalla Società, alla quale non vuol prestarsi neppure nel pericolo di distruzione con portar le Armi per lei, ripugnando, dicono, l'effusione del sangue [54] umano ai suoi religiosi principj.

Questa Setta se si riguarda per la parte della Religione, si accosta assai al solo Corpo Regolare, che si conosce, di Deisti, che è quello dei Letterati della China, discepoli del famoso Confucio. Per la parte poi della Politica, ha molto del sistema di alcune Famiglie Asiatiche, celebri per la loro estensione e per la stretta unione in cui sono tra loro da innumerabil numero di anni, nell'Indostan, dove possiedono tanto immense ricchezze, che quei Sovrani e la stessa Compagnìa Inglese dell'Indie e le altre Società Mercantili di altri Paesi di Europa, hanno con esse un debito smisurato, e ad esse devon ricorrere quando hanno bisogno di rilevanti somme per i loro affari. Scusate la lunghezza di questa Lettera, e purchè vi sia anche un'idea sola di nuovo che vi soddisfaccia, mi lusingo di non avervi annojato. [55]

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