V.

O uom che m’odi, fu labiorosa

la mia sorte. Non fecero grandi ozii

a me gli iddii. Solstizii ed equinozii

passano; passa il colchico, e la rosa.

Tutto ritorna; e la saggezza è vana.

La saggezza non val legno ficulno

né zàccaro caprino. Io voglio, alunno

di Libero, finir di fine insana.

Se bene obeso, molto vidi e udii

però che amico fui de’ viatori

insonni, esperto di molti sapori,

a servigio di efimeri e d’iddii.

Molto contenni, puro o adulterato.

Il falso e il vero son le foglie alterne

d’un ramoscello: il savio non discerne

l’una dall’altra, l’un dall’altro lato.

E la virtú si tigne come lana,

e la felicità come Vertunno

tramuta la sua specie. Io voglio, alunno

di Libero, finir di fine insana.

So nelle loro generazioni

diverse l’acqua, il latte, l’olio tacito;

so il sangue umano e so l’afflato pànico

e so le metamorfosi dei suoni.

Ma il licor rubicondo che ti rende

simile ai numi, o uom che m’odi, ignoro:

quello onde gonfio mi credette il buono

Egípane, e il gran riso ancor mi splende!

Tu m’hai raccolto, o uomo nello speco

ove per ruzzo trassemi il lupatto.

Che valgo? Vedi tu come son fatto!

Piacciati dunque d’insanire meco.

Desio d’altre fortune non mi tocca.

Piú lungamente vivere non posso.

Ricucimi la spalla ov’ebbi il bosso

animato e ristringimi la bocca.

Tu vedi: sono vecchio e non ti giovo.

Ma è larga alla tua sete e alla tua fame

la Terra, e tu le devi il tuo libame.

nell’otre vecchio or poni il vino nuovo!

Vendemmierai con cantici di gioia.

Farai del mosto mite il vin possente.

Della giovine forza, alla nascente

luna, tu m’empirai queste mie cuoia,

che me le schianti almen la giovinezza

terribile! E coronami di fiori

selvaggi, ed al piú folto degli allori

tuoi sospendimi. Oh ultima bellezza!

Discisso tonerò nel gran meriggio.

Lungi s’udrà nell’alta luce il tuono.

E tu dirai, la pura fronte prono:

«Bevi l’offerta, o Terra. Io son tuo figlio».

(Data di composizione sconosciuta)

Share on Twitter Share on Facebook