Si chiamava Letterina...
— Ma, cara signorina, con un nome simile com’è possibile parlare seriamente con voi? Il vostro non è un nome! È, tutt’al più, un indirizzo di qualche posto da cui si può assistere al nascere dell’alba o allo spuntare del sole... Oppure, ecco, ecco... ho trovato... un messaggio da inviare a qualche convegno di farfalle...
(Da cui si vede quanto sia facile dinanzi a una bella ragazza dire cose scipite).
— Voi siete un poeta?
— Che vuol dire, signorina?
— Vuol dire... un uomo che scrive dei versi!
— Allora no, signorina. Io sono un allevatore di cani...
— Ah!
— E poi imbalsamo animali da cortile.
— Dio mio!
— È un bellissimo mestiere. Se sapeste! Forse immaginate che io sia il solito tassidermista che impaglia animali morti costringendoli a positure inverosimili e col suo duro cuore va popolando di cadaveri le case degli uomini e i musei di storia naturale... Macchè! Io sono arrivato a tale perfezione, potrei dire a tale virtuosità che l’animale impagliato non si sente più morto, e a poco a poco riacquista il suo funzionamento regolare...
Letterina cominciò a sbarrare gli occhi.
— Come? In che senso?
— Nel senso ch’esso è quasi come prima! Anzi potrei dire «come prima», in quanto che della piccola differenza non posso accorgermi che io... io che so ... io che ho compiuto quella specie di miracolo...
Letterina appariva perplessa. Si capiva che stentava a farsi un’idea esatta del mio procedimento, ma era disposta a credermi in modo assoluto. Chiese:
— E gli occhi?
— Come gli occhi...
— Come fanno a vedere con gli occhi di vetro...
— Tutto è così perfetto, signorina, che, vi ripeto, l’illusione finisce col costituire una nuova coscienza di vita nei miei pazienti! Il loro organismo gradatamente si rianima e a poco a poco l’esistenza è ripresa come dopo un letargo. Forse essi non conservano nemmeno memoria della vita anteriore...
— Come fate a supporre una cosa simile?
— Perchè ho visto un cane, per esempio, che non riconobbe il suo padrone, che ero io... E voi sapete che i cani per solito non dimenticano chi dà loro da mangiare. Perciò quando mi accorsi che questo cane, dopo l’imbalsamazione, mi guardava come un estraneo, mi meravigliai molto. «Per Bacco! – dissi tra me. – Come va che non mi riconosce? È ben vero che io l’ho beneficato e infine, facendolo risuscitare, in certo qual modo è come se gli avessi salvato la vita, ma tanta nequizia la capirei in un uomo, non già in un cane!». E dovette essere così, perchè tornò a poco a poco ad affezionarsi a me, ma come se ricominciasse da capo...
— È straordinario!
— La migliore sodisfazione però l’ho avuta con le galline.
— Avete imbalsamato anche delle galline?
— Sì. È accaduto un fatto spiacevole in un pollaio, in un grande pollaio di cui era proprietario un mio amico. Su quel pollaio imperversò una specie di colera o di peste che faceva cadere stecchite le più belle galline e i più fastosi galli d’Europa... Allora fui chiamato d’urgenza dal mio amico, il quale con gesto tragico additandomi le vittime che giacevano a terra disse: «Prima di otto giorni sarò rovinato».
Allora io gli confidai il mio segreto. Si mostrò incredulo. Mi offersi di tentare l’esperimento. Acconsentì, per quanto non accennasse ad avere in me la minima fiducia. Pure volle che io provassi... Rimasi quattro mesi ospite nella sua casa. In quel tempo sua moglie, che non aveva mai avuto figliuoli, rimase incinta. Egli per la gioia dimenticò il pollaio, che il colera aveva distrutto interamente. Ma io rimisi a posto tutte le sue galline...
— E fecero ancora l’uovo? – chiese trepidante Letterina.
— Sì – risposi – ancóra! Ma andiamo per ordine. Il mio amico, dopo quattro mesi, considerando con disprezzo il suo pollaio interamente imbalsamato, sogghignò: «Che vuoi che me ne faccia di questi cadaveri?». Io risposi indignato:
«Aspetta qualche giorno e vedrai».
Infatti non poteva durare a lungo una così vittoriosa gara con la natura! La natura io l’avevo non pure imitata, ma sopraffatta! Non le rimaneva che soggiacere. Soggiacque. Le galline cominciarono a beccare per terra, senza trovare il becchime... Poi cominciarono a vedere. I loro occhi feroci, che divorerebbero un elefante se l’elefante fosse ridotto in chicco, i loro occhi rotondi, stupidi e feroci cominciarono a fissare il granturco e ad appetirlo. Poi ripresero a lanciare occhiate oblique ai galli. Infine tornarono a essere galline in tutta l’espressione della parola.
— E fecero ancora l’uovo?
— Sì. Fetarono. E nacquero pulcini, e il pollaio prosperò meglio di prima. Tutto parve prosperare in casa del mio amico. Io, dopo un breve periodo di assenza, vi rimasi ospite tre anni. Sua moglie partorì altri due figliuoli. Quanto al pollaio, non si può immaginare nulla di più redditizio, perchè esso è ormai stereotipato...
— Che vuol dire?
— Non sapete che cos’è una pagina stereotipa? È una pagina la cui composizione tipografica non si rinnova più e serve per molte e molte edizioni. È come dire una pagina eterna. Così è avvenuto per quelle galline. Non essendo più vive, ma imbalsamate a tal punto da essere più vive del vero, la loro vita non finisce più. Galline stereotipe...
— E il loro uovo che sapore ha? – chiese ancóra Letterina a cui la faccenda dell’uovo non andava giù.
— In quanto al sapore non bisogna pretender troppo – risposi. – È il solito sapore artificiale delle uova che si comprano al mercato. Sapore artificiale e anonimo, tra l’acqua di calce e il salnitro... Ma si vendono lo stesso!
Letterina rimase convinta e inghiottì la faccenda dell’uovo. Poi rimase a meditare per qualche istante. Dopo aver meditato esclamò (da tempo immemorabile sentivo le donne esclamare sul mio conto la stessa cosa!):
— Che uomo strano!
— Perchè strano?
— Perchè siete il solo che imbalsami animali prolungandone l’esistenza, anzi rendendola eterna. Perchè non sperimentate la stessa cosa con gli uomini?
— Oh signorina! Semplicemente perchè questo esperimento è già stato fatto e si pratica da molto tempo su larga scala...
Letterina mi guardò impaurita.
— Volete sostenere forse che esistono uomini imbalsamati?
— Ma diamine! Tutte quelle persone che si aggirano esangui intorno a noi, e quando vi stringono la mano sembra che vi porgano un pezzo di cartone... Guardatele negli occhi e vi vedrete non già riflessa la vostra immagine, ma strane ombre vaghe di altri uomini defunti! Ebbene, credete che siano vive sul serio? Ma neanche per sogno! Lo strano è che non si è mai saputo chi si prende la cura d’imbalsamarle. Pare che si tratti di una setta antireligiosa...
Letterina rabbrividì.
Da quel giorno io dominai la volontà di quella creatura veramente unica nella sua credulità e nella sua innocenza. Ella cominciò a considerarmi un essere soprannaturale: e fu il mio castigo. Perchè avendo voluto sbalordirla quando non l’amavo, il risultato fu sorprendente; ma quando cominciai ad amarla e volli essere considerato un uomo come tutti gli altri, ella non capì, non potendo mai supporre che un essere della mia importanza consentisse ad abbassare gli occhi fino a lei. Così avvenne che la più cara di tutte le donne mi fu contesa da quella specie di barriera che io stesso avevo innalzata tra noi due, per la stupida manìa che ho sempre avuta di voler stupire la gente coi miei racconti pazzi.
Per convincerla che io ero un uomo come tutti gli altri mi assoggettai a compiere dinanzi ai suoi occhi le stesse cose stupide, le stesse cose vili che avevo sempre deplorate e che avevo sempre aspramente rimproverate agli altri uomini.
Ma anzichè ottenere l’effetto che mi ripromettevo, raggiunsi quello contrario. Le cose stupide, dette e compiute da me, apparvero a lei bellissime e straordinarie. Esse non fecero che approfondire la nostra amicizia, che del resto non accennava a varcare i confini oltre i quali l’amore trionfa d’ogni altro sentimento affine. Era il tempo in cui ella viveva molto appartata dal mondo, sola in casa con una vecchia zia incartapecorita.
Un giorno andai a trovarla, e questa zia, contrariamente alle sue abitudini, ci tenne compagnia nel salotto e consentì a prendere il tè con noi.
Mentre io la guardavo distrattamente, Letterina seguì la direzione del mio sguardo e i suoi occhi si fissarono stranamente sulla vecchia; poi cercarono di scrutare i miei profondamente. Ma io non capii a tutta prima la natura della sua inquietudine. Solo più tardi, verso sera, dopo aver trascorso alcune ore sprofondata in una tetra meditazione, ella mi chiese a bassa voce (e le sue labbra tremarono):
— Anche lei, è vero?... Anche mia zia?
A mia volta io rabbrividii di spavento. Ebbi la sensazione precisa di aver sconvolto il cervello e la coscienza di quella creatura! Allora m’inginocchiai dinanzi a lei scongiurandola a non credere alle assurdità che le avevo detto prima e di credere bensì alla mia sincerità di oggi. Le confessai piangendo che io non avevo imbalsamato niente, che tutto quello che era imbalsamato nel mondo apparteneva ai musei e alle tombe egizie, e che io stesso non mi ero mai sognato d’imbalsamare nè un pollo nè un cardellino...
Mi guardò allora per la prima volta con grande tenerezza, con una tenerezza melanconica e come ispirata da una profonda pietà. Poi m’obbligò ad alzarmi e mi tenne lungamente le mani strette nelle sue, senza parlare. Infine m’invitò con un dolce sorriso ad andarmene, mi pregò di lasciarla sola. E io me ne andai tutto sconvolto, con la promessa che sarei tornato il giorno dopo...
Infatti il giorno dopo andai a trovarla ed ella mi accolse con un sorriso divino in cui mi parve di leggere una immensa felicità.
— Sono persuasa che tu mi ami – mi disse – e capisco il tuo sacrificio...
— Quale sacrificio?
— Non negare! Tanto, anche se neghi, io capisco lo stesso... Tu hai rinunziato a essere ai miei occhi un essere soprannaturale affinchè io potessi col mio amore avvicinarmi a te... Questo è molto bello! E io ho misurato dal tuo sacrificio la grandezza del tuo amore...
E mi gettò le braccia al collo.
Insomma Letterina è stata l’unica donna che mi abbia dato una gioia senza restrizioni, non avvelenata, alla fine, dalla solita amarezza e dal solito rancore. Avevo avuto ragione di dire, sin dai primi giorni, ch’essa aveva un indirizzo, e che questo indirizzo era la felicità. Per solito nella vita simili lettere, anche quando esistono, rimangono senza recapito. Io invece lessi e rilessi la mia imparando a memoria tutte le pagine e – quel che più conta – dopo averle imparate le dimenticai in modo che per me furono ancóra nuove, e potetti rileggerle da capo, con la stessa gioia e con la stessa ansietà.
Simili letterine le donne non ne scrivono mai agli uomini. E, anche se le scrivono, aggiungono sempre un poscritto che guasta ogni cosa, un poscritto in cui è detto così:
«P. S. Si annulla col veleno tutto quanto è stato detto sopra».