Discendenti di pirati

CAT-BA’, 27 settembre.

La tempesta che da due giorni batteva il mare s’è rabbonita durante la notte. Il «crascian» ha smesso di piangere verso le dieci e subito un sole pallido è uscito dagli strappi delle nubi a spennellare di riflessi gialli il Delta ed il golfo. Il vaporetto che unisce quotidianamente l’isola di Cat-bà alla costa tonkinese è uscito ballonzolando da Honghai ed ora s’avvicina all’isola in mezzo agli innumerevoli scogli che punteggiano le onde limacciose ancora gonfie di vento. A sud la baia d’Along spalanca la sua fantastica bocca irta di roccheforti e di castellacci.

L’isola rocciosa dominata da un picco ardito drizza sul mare le sue alte mura a strapiombo, mura di granito rossiccio, scanellate da lunghi crepacci, traforate di grotte e di caverne dentro le quali le onde precipitano con ululi rabbiosi.

Per lunghi secoli l’isola di Cat-bà è stata la sentinella avanzata degli invincibili pirati del golfo. Da Cat-bà partivano le flottiglie per le scorrerie notturne sul litorale, per le crociere intorno all’isola di Hai Nan o per le grandi spedizioni nei mari dell’Annam e della Cina. A Cat-bà si rifugiavano le giunche corsare inseguite dalle flotte imperiali dei figli del Cielo e sovente attiravano il nemico nelle trappole di Kebak o di Gow-Tow. Tutta la baia d’Along e tutte le cento isole grandi e piccole della costa erano covi di pirati ma Cat-bà era la chiave strategica dell’intero arcipelago e v’erano, annidate le ciurme più audaci e più agguerrite. I poemi dell’Annam e della Cina cantano le gesta dei corsari che risalivano i fiumi ed i canali fino alle grandi città del Sud Pacifico e dell’impero del Mezzo seminando la morte e lo sgomento, catturando i Tong-doc ed i mandarini, saccheggiando le pagode, rubando i Buddha di avorio e di giada. Le più belle ragazze dei villaggi erano rapite nottetempo nelle case e non si aveva più notizia della loro sorte. Le leggende attribuivano ai pirati un capo favoloso, il Dragone, e formidabili alleati nei Genii delle caverne e nei serpenti marini...

Ora i pirati sono scomparsi dal golfo del Tonkino, sopraffatti dalla celere navigazione a vapore e dai cannoni delle flotte europee. Le isole più piccole sono disabitate, la baia d’Along è diventata un luogo di gite e di merende. Gli abitanti delle isole maggiori hanno cambiato mestiere, lavorano nelle risaie del Delta o fanno i minatori nelle cave di carbone di Honghai. Solo è rimasto a Cat-bà uno strano villaggio di pescatori cinesi, gente rude e selvaggia che ha nelle vene il vecchio sangue corsaro e vive appartata sullo scoglio degli antenati.

Tutti i tentativi fatti dalla direzione delle miniere di Honghai o dai padroni delle fabbriche di Haifong per reclutare mano d’opera a Cat-bà sono sempre falliti. Anche nella stagione cattiva, quando i monsoni cacciano i pesci dal golfo del Tonckino a cercare i fondali più tranquilli nel golfo del Siam, nessun uomo di Cat-bà lascia l’isola. Qualunque lavoro è considerato dai discendenti dei pirati una fatica d’ergastolani. Solo il mare soddisfa i loro istinti ereditarii di libertà e di rischio. Ed il mare è cattivo nel golfo! Per quattro mesi all’anno i monsoni lo squassano rabbiosamente obbligando le giunche a star rannicchiate nel piccolo porto e le barche a ripararsi dai marosi sotto le palafitte del villaggio. Nel resto dell’annata le tempeste sconvolgono con frequenza l’arcipelago. Tifoni, cicloni e maremoti devastano le isole. A volte bastano poche ore per trasformare una bonaccia in una furibonda tempesta. Le trombe marine si formano con straordinaria facilità in mezzo agli stretti e si spezzano con veemenza di cataclismi contro le alte scogliere. Ma gli uomini di Cat-bà restano avviticchiati all’isola delle caverne.

Se domani per un sovvolgimento politico fosse nuovamente possibile la vita corsara, i pescatori di Cat-bà ricomincerebbero senza dubbio l’esistenza di guerra e d’avventura dei loro padri. Rare sono le zuffe nel paese, ma quando due uomini s’accapigliano è a morte. Il coltello balena in tutte le cintole. Una «legge d’onore» regola i litigi, legge sconosciuta in tutto il resto della Cina e dell’Indocina, codice di briganti e di filibustieri pei quali la forza e la destrezza hanno l’ultima parola.

Quando si sbarca nell’isola si è sorpresi dall’aspetto fiero degli abitanti che non hanno nulla di comune coi tonkinesi gracili e burattini della terra ferma e neppure coi tondi e panciuti cinesi di Haifong. È gente alta, magra, muscolosa, che vi passa vicino senza degnarvi di uno sguardo. I bimbi non stendono la mano a chiedere l’elemosina, ma guardano con cipiglio lo straniero e si ribellano alla carezza. La mescolanza delle razze ha creato un tipo a sé che non è cinese, non è indo-cinese e non è indiano. Certi nasi piatti fanno pensare ai mongoli delle steppe settentrionali, certi visi bruni e regolari ricordano invece i portoghesi di Macao, Ogni tanto una testa bionda evoca i misteri delle alcove pirate nelle quali la ripartizione del bottino mescolava i continenti.

Il villaggio è costruito in una piccola insenatura, dietro una fantastica accozzaglia di roccie su una stretta striscia di terra fra il mare e le rupi. Sono forse trecento casupole appoggiate una all’altra con dinanzi agli usci tre metri scarsi di strada. Subito dopo incomincia il mare.

Le case miserabili, rabberciate con sughero e latte arrugginite, stanno in bilico su un complicato sistema di palafitte perchè d’inverno le onde arrivano fino alla roccia ed invadono il paese. Un masso ciclopico domina il luogo e pare debba franare da un momento all’altro. Una pagoda sordida e sbilenca, messa di traverso fra due macigni, erge il ciarpame della sua feluca sul groviglio fetido delle bicocche. Sotto le palafitte la ragazzaglia del paese sguazza nel putridume di un fango nerastro insieme con i maiali neri che v’hanno il loro truogolo ed ai cani muti che v’hanno la loro tana. Però le finestre sono piene di gerani e di fiori secondo l’usanza cinese e fuori degli usci penzolano quei lampioni di carta e di seta che danno un’aria di festa a tutte le topaie della Cina.

Il villaggio ha una sola strada, selciata alla meglio coi sassi tondi della spiaggia. Qua e là affiora una roccia od il mare s’intrufola fra le case. Assi gettate di traverso aiutano a superare i mali passi. I muri corrosi dall’umidità e dalla salsedine sono tappezzati di muffa verdognola, talvolta addirittura di quella vegetazione marina che copre gli scogli.

Nel minuscolo porto stanno appiattate le grandi giunche legate con canapi alle roccie. Hanno la prora alta e lunga come i nostri vecchi galeazzi, la chiglia sottile, la poppa larga e bassa. Sulla prua un drago spalanca le ali e sporge il testone dorato, contorto in una smorfia. Un altro drago digrigna i denti in cima all’albero maestro. Altri draghi s’affacciano curiosamente dai finestrini di babordo. Benché l’isola appartenga alla Francia, la bandiera della Repubblica di Canton sventola in cima alla pagoda e sulle antenne delle imbarcazioni.

Un odore terribile di pesce marcio ammorba l’aria. Quando entriamo nel villaggio ci accorgiamo che tutti i tetti delle case sono pieni di pesce messo a seccare, che molte facciate sono coperte di file di pescetti secchi attaccati per la coda ad un cordino, che la spiaggia è un grande immondezzaio di teste e di lische, che tutti i cesti sgocciolano salamoia, che il fango stesso altro non è che una melma di pesci e di molluschi putrefatti.

Cat-bà fornisce a tutto il Tonkino il «noc-man», cioè quei pescetti salati che costituiscono per l’indocinese il principale alimento dopo il riso. Le donne s’occupano in genere della concia e della salatura. Gli uomini passano la giornata in mare a sarchiare gli scogli od a gettare reti nei fondali. Ogni famiglia possiede il suo pezzetto di mare e di scogliera secondo un diritto di proprietà antichissimo che non è suffragato da nessun documento, ma che è garantito dalla pubblica opinione. Nelle notti di bonaccia gli uomini partono alla caccia dei polipi giganti del golfo, con un fanale, un tridente ed una bottiglia d’olio. Quando è la stagione delle grandi pesche, le famiglie s’imbarcano al completo. Restano nel villaggio i vecchi ed i bimbi, i maiali neri ed i cani muti.

Il golfo straordinariamente ricco di pesce è considerato uno dei mari più pescosi del mondo. L’esportazione del pesce secco, salato ed affumicato ha raggiunto quest’anno nell’arcipelago i trecentomila quintali. Cat-bà ha la specialità dei gamberetti rosa, che, putrefatti a puntino e fortemente pepati, sono una delle leccornie predilette dai gialli. Il golfo, tutto irto di isole, scogli, penisolette, capi e promontori, non ha segreti per i figli dei pirati. Essi non hanno bisogno del servizio meteorologico di Haifong. Il colore delle nubi, la tinta del mare, la direzione dei venti, certi loro curiosi indizi come il rombo di alcune caverne ed il giuoco delle onde contro determinati scogli, li tengono meravigliosamente al corrente dell’entità e della durata delle burrasche, della direzione dei tifoni, degli spostamenti delle correnti. E tale è la giustezza dei loro rudimentali sistemi che il semaforo di Cat-bà radiotelegrafa all’ufficio meteorologico di Haifong le previsioni dei pescatori.

Il graduato francese che riunisce le funzioni di governatore, di guardiano del faro, di doganiere e di radiotelegrafista, ci assicura che le barche di Cat-bà prendono il mare con tempi impossibili anche quando è sospeso il servizio del vaporetto e che, salvo casi rarissimi, ritornano sempre in porto. Le grosse giunche si spingono, costeggiando, fino a Saigon ed a Canton, ma talvolta arrivano fino a Manilla o scendono verso Borneo e le isole della Sonda.

— Sono povera gente?

— Che ne sappiamo? Vivono di riso e di pesce salato come si viveva in Cina dieci secoli fa, non spendono un quattrino, non hanno mai una festa nè un giorno di riposo. C’è sempre pesce e sempre lavoro nel villaggio! Dove lo mettono il denaro che guadagnano? Pare che lo nascondano nelle grotte dell’isola, in luoghi misteriosi, nei quali si ammucchiano le ricchezze delle generazioni. Gli abitanti della terra ferma assicurano che tutti gli uomini di Cat-bà sono milionari. Certo la loro esistenza è un enigma. Vi sono delle barche che partono e tornano dopo due mesi, delle giunche che tornano dopo due anni. Le giunche che prendono il largo cariche di pesce secco fino a mezza alberatura rappresentano indubbiamente una fortuna, tanto più che i pescatori non vendono il prodotto a grossi accaparratori, ma vanno a barattarlo in isole lontane contro spezie e prodotti naturali che rivendono sui mercati di Canton e di Scianghai. A volte risalgono i fiumi della Cina meridionale portando il pesce secco nell’interno della grande Repubblica e vendendolo direttamente ai consumatori senza intermediari. Allora però le giunche partono armate. Ogni casupola possiede un arsenale completo di lancie, di spadoni, di coltellacci e di «pentole cinesi» che sono una specie di bombe a gas asfissianti inventate dai corsari d’Along ben cinque secoli fa!

— Come sono queste pentole?

— Pentolaccie comuni di coccio riempite di fumo di cloro. Ve ne sono altre chiamate dagli indigeni «il ventaglio» che sono piene di razzi esplodenti che acciecano. La chimica tedesca ha creduto di scoprire i gas lacrimogeni. I pirati di Cat-bà posseggono da diversi secoli il segreto d’una polverina che deve aver fatto piangere molta gente.

— Devono essere poco comodi i vostri amministrati!

— Buonissima gente, basta non immischiarsi nei loro affari. Le giunche che partono per grandi distanze hanno diritto ad un cannoncino. Io sono il custode dell’artiglieria. Quando la giunca salpa consegno al comandante il pezzo e le munizioni, quando ritorna mi restituiscono l’arma e mi danno conto delle munizioni.

— A che serve il cannone?

Hué – Mandarini annamiti.
Hué – La processione del Dragone.

— A difendersi dai pirati della costa e dei fiumi cinesi.

— Ce ne sono ancora?

— Altro che! Nell’attuale caos politico della Cina, la guerra corsara è un eccellente affare. I filibustieri trovano sempre un partito politico disposto a dar loro una bandiera. Quando i pirati cinesi capitano con una giunca a Cat-bà trovano però i loro maestri.

— Chi è il capo del paese?

— Burocraticamente sarei io, viceversa conto come i cavoli a merenda. Il villaggio forma una Congregazione, la quale è regolata da ordinamenti antichissimi. Il capo della Congregazione è elettivo. Per anni interi non sappiamo chi sia. Un tizio paga la dogana per tutti, un altro versa collettivamente le tasse. La giustizia è amministrata misteriosamente nell’interno della Congregazione. Noi non sappiamo mai niente. Nessuno reclama, nessuno protesta.

Quanti europei sono a Cat-bà?

Due soli, però abbiamo una stazione radiotelegrafica e siamo quindi permanentemente in contatto con la terra ferma.

Dalla torretta del piccolo faro assistiamo alla partenza per la pesca. Il sole che volge al tramonto spennella di giallo ardente il golfo e l’arcipelago. Gli uomini hanno tratto da sotto le palafitte la barca, v’hanno ammucchiato le reti e le ceste, hanno messo a posto i remi ed issato l’albero della vela. Ora aspettano che si levi la brezza per prendere il largo. Intanto cenano sulla spiaggia con le famiglie intorno a grandi vassoi di riso.

Li osserviamo mangiare. Ognuno ha una ciotola che riempie di riso portandola alle labbra e versandone il contenuto in bocca con l’aiuto di una bacchetta. Poi regolarmente intingono le cinque dita in un vasetto pieno di broda rossa e le succhiano golosamente. Ogni tanto pizzicano in un piattello un tocchetto di pesce secco. Finito il pasto frugale le donne sciacquano le stoviglie nel mare, gli uomini accendono la pipa ed i ragazzi si sparpagliano per la scogliera.

Il sole scompare rapidamente ed il crepuscolo affonda celere nella notte. Ogni imbarcazione accende il suo lampione cinese che penzola a prua in cima ad un’asta sporgente. Sono fanali strani, di carta e di seta, a forma di pesce, di drago, di pagoda, di mezzaluna, di stella, di fiore, di Buddha. Ve ne sono di verdi, di gialli, di violetti, di turchini. L’acqua riflette nel suo cristallo scuro le luci molticolori e le forme bizzarre. Dalla pagoda prorompe un colpo di «gong», ampio e sonoro, che scorrazza lungamente per le lontananze. Al primo colpo ne succedono altri, monotoni ed equidistanti. In breve tutto l’arcipelago è un brivido di rombi. È il segnale della pesca. Gli uomini saltano nella barca, spiegano le vele, si staccano dalla riva. Le imbarcazioni scompaiono una ad una dietro gli scogli per ricomparire dopo un po’ più lontane coi lampioni fantastici sparpagliati pel mare.

Nel cielo s’accendono le innumerevoli stelle del Sud.

E partono le giunche, cinque grandi giunche cariche di pesce secco che vanno lontano assai. Una fila di lampioncini è stesa fra la prua, i due alberi e la poppa. Altri lampioni illuminano il drago del mastro ed i draghi di babordo. Le vele gialle ed azzurre, rozzamente dipinte con immagini e sentenze, starnazzano nel vento. Il ponte è zeppo di barilotti legati con corde che formano fra i due alberi una specie di castelletto e lungo i paranchi una strana merlatura. Si vedono i mozzi arrampicati fra i lampioni in mezzo alla velatura e gli uomini di bordo intenti alla manovra. Quanti anni hanno queste giunche? Chissà!

Il primo drago passa attraverso la stretta imboccatura del porto. Il piccolo faro lo investe un istante nel barbaglio del suo occhio verde. Il capitano coi baffi di capecchio all’ingiù ed il grande cappello tonkinese di bambù largo come un ombrello risponde con un colpo di «gong» al saluto della pagoda.

E passa il secondo drago che schizza fiamme gialle dagli occhi mostruosi.

Il terzo è tutto violetto con una ridda di serpenti in cima alla prua. Verde il quarto con un muso affilato di mostro. L’ultimo chissà che colore avrà il giorno, ma in questo momento è opaco, livido, bizzarro animale di giada illuminato da una luce sottomarina.

I draghi avanzano in fila indiana nel mare senza luna in mezzo a fanali multicolori delle barche peschereccie. Il vento è fiacco e la loro marcia lenta. Per lungo tempo restano in vista nella foschìa, mostri di altri secoli, chimere paurose di una notte d’Estremo Oriente nel mare dei pirati di Cat-bà.

Verso est pare che un altro drago più grande e luminoso venga loro incontro, un drago color zafferano che pian piano scaturisce dalle profondità degli abissi e proietta sul mare un lungo riverbero di zolfo.

Poi ci s’accorge che non è un mostro, ma l’alone giallo d’una luna di fosforo che si innalza spettrale sul golfo di Tonkino.

Il «gong» s’è quietato. La pagoda è naufragata nella notte. Il villaggio dorme fra le roccie e il mare. Non un lume indica che il luogo è abitato. Pare che i pescatori partendo abbiano portato con loro tutte le lampade e le luci del paese.

Nel vasto silenzio s’ode il respiro potente del mare che entra ed esce dalle caverne. L’onda sghignazza contro la scogliera ed ogni tanto allunga uno schiaffo alle palafitte.

I fanali dei pescatori cambiano posto. Ora formano un grande cerchio di punti verdi e violetti, ora un rombo di globi rossi e turchini, ora una striscia gialla che si sperde nella lontananza. Si ha l’impressione di una flotta misteriosa che stia manovrando al largo, come ai tempi in cui le giunche appostate dietro agli scogli aspettavano le imbarcazioni inseguite dal naviglio corsaro e le stringevano nella morsa inesorabile degli arrembaggi.

Il piccolo faro volteggia nervosamente sull’arcipelago; illumina spiazzi deserti di mare, sciami di vele, barchette immobili, ammassi ciclopici di rupi, orifizi di grotte, aperture di caverne, profondi crepacci che intagliano la montagna.

Dov’è l’oro dei pirati di Cat-bà? In fondo agli antri paurosi dell’isola come dicono le genti della terra ferma o depositato al sei per cento nelle banche cinesi di Canton?

— Non pensate che i pescatori si dilettino anche di contrabbando? — chiedo al doganiere.

— Ufficialmente non abbiamo mai scoperto nulla, personalmente sono sicuro che tutto l’oppio che entra di contrabbando nel Tonkino e tutte le armi clandestine che finiscono nell’Yunam hanno nelle caverne di Cat-bà i loro magazzini generali.

— Ed allora?

— Che cosa volete che facciamo? Che apriamo ad uno ad uno tutti i barilotti di salamoia o che andiamo a frugare tutti i buchi dell’isola? Oltre Cat-bà vi sono cento isole e sono tutte piene di grotte. La baia d’Along è una colossale grattugia. Tutta la costa è una lamiera traforata. Cinquanta chilometri più a nord è già il litorale cinese sul quale non esercitiamo nessun controllo. L’isola di Nay-Nay è cinese. Non dimenticate che siamo due francesi in tutto l’arcipelago, dico due, ed a Parigi strepitano che siamo anche troppi! Una volta la cannoniera ha sorpreso una giunca sospetta ancorata tra due scogli. Quando è arrivata sul posto la giunca non c’era più. I pescatori l’avevano affondata. Sei uomini stavano tranquillamente pescando gamberi sulla scogliera.

Ho pensato a Ginevra, alle Commissioni internazionali per l’oppio e pel contrabbando delle armi nel Pacifico. Dove sono andate le cinque giunche col drago e la bandiera di Canton?

— Gong-Gong! — cantava il Buddha millenario della pagoda.

— Gong-Gong! — rispondevano i draghi carichi di salamoia.

Il semaforo francese radiotelegrafava: — Cinque giunche illuminate escono dal porto dirette a Nay-Nay!

Ma i fanali si spengono in mare e le giunche cambiano rotta...

Possono caricare e scaricare in un isolotto del Kebak quello che vogliono. Di là una barca qualsiasi, sgattaiolando nottetempo fra gli scogli del Mon-Kai, può raggiungere indisturbata Paklung. E Paklung è la Cina, la Cina rivoluzionaria del Kuang-Si e del Kuang-Tung, la Cina dei discepoli di Sun-Yat-Sen e degli emissari di Karakan.

Più mi fermo in questi paesi e più ho la sensazione della formidabile impotenza della potentissima Europa. Le Conferenze internazionali e le dimostrazioni navali sono un «bluff». Serviranno finché i pirati di Cat-bà vorranno pagare al doganiere francese un centesimo di rupia per barilotto di pesce secco, finché i quattrocentocinquanta milioni di cinesi e d’indocinesi si decideranno a fare la rivoluzione sul serio, con o senza il Giappone!

In India è diverso perchè l’Inghilterra ha in pugno il paese ed i suoi gangli strategici. Che cosa sono Scianghai, Honkong, Tientsin e la stessa Pekino, di fronte all’immensità della Cina?

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