COL GENERALE MACHADO

Grazie ai buoni offici del nostro ministro in Avana, Guglielmo Vivaldi, diplomatico distinto ed avveduto, sono stato ricevuto in udienza particolare dal Presidente della Repubblica generale Gerardo Machado.

Il generale Machado si distacca dal tipo consueto del governante centro-americano e come tale è uno degli uomini politici più interessanti dell'America latina. Chiamato a reggere i destini di un paese che per la sua posizione politico-geografica e per la sua straordinaria efficienza economica ha una funzione tutt'altro che indifferente nel quadro del continente americano, il generale Machado non ha portato al governo la mentalità tradizionale del Caudillo nè il concetto puramente amministrativo del funzionario-presidente, ma ha impugnato il timone dello Stato con la nobile ambizione di scrivere una pagina storica nel libro di Cuba. In un paese nel quale la politica è in fondo un vero e proprio mestiere, che aveva finito per creare una serie di professionisti incapaci di fare altro, una caterva di conventicole e consorterie e tutto un esercito di parassiti, l'attuale Presidente ha concretato una vigorosa azione personale di carattere riformatore e restauratore che costituisce un esperimento di grande interesse.

Si può dire che Machado stia instaurando nel Centro America un tipo nuovo di azione governativa che sovrappone agli interessi degli individui e dei partiti la realtà politica dello Stato e la realtà giuridica della Legge, così che lo Stato e la Legge, collocati su due alti piedistalli, abbiano in avvenire a restare al di sopra ed al di fuori delle lotte partigiane. Basta avere una nozione anche superficiale dei mali endemici che travagliano i paesi del Centro America per apprezzare l'importanza dell'opera politica di Machado la quale, concretandosi in forma definitiva, non solamente assicurerebbe a Cuba un avvenire più solido, ma offrirebbe a tutti gli altri paesi dell'America Centrale un esempio capace di influenzare in senso favorevole l'evoluzione storica di questa parte del continente americano.

È ancora troppo presto per formulare un giudizio definitivo, ma il Generale Machado ha già al suo attivo una amministrazione integra che contrasta con la baraonda delle amministrazioni presidenziali precedenti; la soppressione quasi totale del parassitismo che viveva in margine dello Stato; la moralizzazione della vita sociale e politica; un notevole sviluppo dell'attrezzatura tecnica nazionale; un vasto programma di lavori pubblici che non resta sulla carta ma si realizza nei cantieri; una politica economica che mentre difende la grande ricchezza del paese – lo zucchero – cerca di sviluppare altre fonti agricole ed industriali di benessere destinate a rendere l'economia cubana più agile e più indipendente.

L'uomo ha quindi un profilo personale di notevole rilievo che lo distacca dallo sfondo centro-americano, sia per quello che fa, sia per quello che la sua opera rappresenta e può rappresentare nella evoluzione di tutti i paesi latini che sono affacciati sul golfo del Messico – Mediterraneo d'America – e sul canale di Panamá.

Il Presidente mi ha ricevuto in Palazzo nella sala del Consiglio dei ministri. Nel salone d'aspetto s'agita tutta una folla pittoresca di personaggi bianco vestiti che aspettano d'essere introdotti dinanzi al capo dello Stato: gente di Camagüey, di Santa Clara, di Santiago, di Isola dei Pini: grandi zuccherieri, grandi piantatori di tabacco, uomini politici delle Provincie che hanno nel colore della carne l'impronta formidabile del sole tropicale: capelli ricciuti e talvolta crespi, occhi nerissimi, profili arabo-andalusi, gesti larghi ed espressivi, eloquenze vulcaniche, grande espansione di strette di mano, di abbracci, di interiezioni fraterne. Un usciere color cioccolatto, stilizzato in una uniforme candida a bottoni d'oro, m'introduce nella sala del Consiglio. Machado è un bell'uomo robusto, aitante, brizzolato, che mi viene incontro e mi stringe la mano con calore quasi affettuoso. Il ghiaccio è subito rotto ed ho la sensazione del fascino simpatizzatore del Presidente.

Chiacchieriamo per qualche minuto del più e del meno, delle bellezze naturali di Cuba, delle qualità dinamiche del suo popolo, del raccolto dello zucchero, degli immigranti di nazionalità italiana per i quali Machado ha parole di vivo elogio, poi il dialogo diventa più serrato ed assume la forma concreta dell'intervista vera e propria. Quando una frase mi colpisce la stenografo rapidamente.

— Qual'è, signor Presidente, la funzione della Repubblica di Cuba nel quadro politico del continente americano?

— Paese latino, vicinissimo agli Stati Uniti ed unito agli Stati Uniti da intense relazioni politiche ed economiche, il nostro paese è un crogiuolo etnico nel quale l'America anglo-sassone e l'America latina hanno ogni giorno occasione di dimostrare praticamente quella reciproca comprensione alla quale è legato l'avvenire dell'America. La posizione geografica dell'isola, l'importanza della sua economia, il grande slancio del suo popolo, il veloce incremento della popolazione, assicurano a Cuba una funzione importante che andrà via via aumentando con lo sviluppo del paese. Avete potuto constatare che siamo in ogni campo all'ordine del giorno e che i cittadini sono animati da una grande volontà di perfezionamento. La scelta della nostra città a sede della Conferenza pan-americana e della Conferenza mondiale dell'emigrazione caratterizza egregiamente la funzione di Cuba. Nel campo delle relazioni internazionali, Cuba aspira ad essere l'affettuosa sorella di tutte le nazioni americane ed a questo fine è disposta – come lo dimostrò a Ginevra – non solamente a fare tutto il possibile ma anche a sacrificarsi nell'interesse superiore del continente americano perchè la figura dell'America sia circondata dalla stima e dall'affetto di tutti i popoli liberi dell'universo.

— Come sono, Eccellenza, le relazioni di Cuba con l'Italia?

— Cordialissime ed estremamente amichevoli. Ragioni di ordine sentimentale danno il tono ai nostri rapporti con la nobile e grande nazione italiana.

— M'hanno detto, Eccellenza, che lei ha personalmente molta simpatia per l'Italia.

— Io sono un ammiratore appassionato dell'Italia, madre delle Arti, culla dello spirito latino, creatrice inesausta di correnti universali. Noi cubani non dimentichiamo che, nel periodo più aspro della nostra lotta per l'indipendenza, il popolo italiano ci ha fatto sentire la sua solidarietà. Molti italiani si trovavano nelle file della nostra rivoluzione ed hanno dato generosamente il loro sangue per Cuba. Nelle foreste dell'isola, dove lottavamo per la libertà della nostra patria, sentivamo la grande voce incoraggiatrice del popolo italiano il quale, uscito da poco dalla sua lotta epica per l'indipendenza, comprendeva le aspirazioni degli altri popoli che ancora combattevano per la loro. Diversi italiani hanno partecipato prima alle nostre battaglie, poi al lavoro di costruzione della Repubblica. Fra gli altri ricordo con particolare affetto il Petriccione e soprattutto il nostro attuale ambasciatore a Washington, Oreste Ferrara, uomo di grandissimo ingegno, che Cuba intera considera una delle sue glorie nazionali. Voi sapete che egli non ha mai dimenticato la sua terra natale e che divide il suo cuore fra Cuba e l'Italia.

— Qual'è la vostra opinione, Eccellenza, sul presente d'Italia e sul suo avvenire?

— La situazione presente dell'Italia è sintetizzata da una parola sola: magnifica! Quanto al suo avvenire io sono profondamente convinto che l'attende un avvenire grandioso. Come latino ne sono fiero. L'opera di Benito Mussolini è di importanza eccezionale. Egli guida l'Italia per le strade del progresso in tutti i campi della vita di una nazione e la conduce verso una grandezza radiosa che è anche una fortunata realtà. Io sono un vivo ammiratore del vostro Presidente. È un cuore! È un'anima! Personalità completa e multiforme, ha il sigillo del Genio.

— Sapete, signor Presidente, che durante l'ultimo vostro viaggio trionfale attraverso l'isola ho sentito in molte stazioni la folla gridare entusiasticamente sul vostro passaggio: Viva il grande Presidente! Viva Mussolini!

Il generale ride affabilmente, poi, diventato subito serio, mi dice:

— Io cerco semplicemente di non attraversare questo Palazzo presidenziale come un'ombra, ma di lasciare traccia del mio passaggio in opere legislative, sociali ed economiche, utili per la mia patria che amo più di me stesso.

Nello scendere lo scalone del Palazzo presidenziale la mia anima italianaevocava istintivamente quella scrivania di Palazzo Chigi accanto alla quale lavora, fino a notte tarda, l'Uomo formidabile che empie della sua personalità mondiale tutti i paesi dell'orbe civile. E pareva a me italiano di sentirmi più forte e quasi di andare nella luce della sua grande gloria che si confonde con la splendente luce della nuova Italia, illuminando il cammino di tutti i suoi figli.

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