LE DONNE CHE SI DONDOLANO

Il viaggiatore che arriva a Cuba evoca istintivamente le romanzesche storie dei pirati delle Antille lette nella sua giovinezza; poi grandi montagne di zucchero in polvere ed a quadretti, magari cristallizzati; poi alte pile di scatole di sigari, di quei bei sigaroni alla Clay ed alla Benito Suárez che paiono fabbricati apposta per stare tra l'indice ed il medio di una mano grassoccia di banchiere adorna di un brillante sul mignolo peloso; poi visi di creole color ambra, illuminati da grandi occhioni di velluto, con l'ombra di lunghe ciglia ed il cerchiolino malva o lilla della voluttà...

Questa cinematografia interna (pirati, zucchero, sigari e belle donne) più o meno luminosa a seconda della sensibilità e della fantasia d'ognuno finisce col procurare una certa delusione quando, arrivati all'Avana, si sbarca in una grande città moderna irta di grattacieli, nella quale vien fatto di riconoscere un po' di Napoli ed un po' di Barcellona, un po' di Boston ed un po' di Buenos Aires, insomma tutto quello che volete, meno quella maga delle Antille che ci si aspettava e che s'era immaginata come una gitana con la chitarra da un lato e la bottiglia di rhum dall'altra, una sigaretta nelle labbra dipinte ed il pugnale infilato nella giarrettiera!

Il viaggiatore che si ferma un giorno e prosegue col piroscafo pel Messico o per il canale di Panamá, è obbligato a modificare il suo modo di vedere ed a collocare l'Avana nel casellario delle città americane, togliendola dal quadro di quelle Antille del suo sogno che non ha trovato. Il viaggiatore invece che si ferma e che dopo la prima settimana di orientamento – imparati gli itinerari dei trams e le tariffe delle automobili – parte coraggiosamente alla... ricerca delle Antille, finisce per trovarle anche in Avana.

Proprio le Antille? Proprio! Con le creole dai grandi occhi di velluto? Con le creole! Con l'atmosfera di zucchero diffuso e di tabacco respirato? Precisamente! Con le canzoni indo-andaluse, con gli hidalgos discendenti da Pizarro, con le señoritas, le chitarre, le serenate, i mortaretti, ecc. ecc.? Con tutte queste cose.

Ed allora perchè mai il viaggiatore non se n'accorge fin dal primo momento? Perchè c'è un segreto e bisogna saperlo scoprire.

L'Avana, dopo essere stata per diversi secoli la perla delle Antille, s'è creata adesso nuove ambizioni le quali per una parte dei cittadini consistono nel fare della loro città la Parigi dell'America Centrale e per l'altra parte nel farne la New-York dell'America Centrale. I primi s'affannano ad aprire cabarets, a fabbricare garçonnes, a mettere su negozi di mode e riviste teatrali di nudo; i secondi ad innalzare grattacieli e moltiplicare le Corporations; gli uni e gli altri hanno dichiarato guerra ad oltranza a tutto ciò che è colore e tradizione locale, risoluti ad essere boulevardiers fino al nodo della cravatta e businessmen della Fifty Avenue fino alla maniera di stringere la mano. In sostanza restano però degli eccellenti criollos, anzi creolissimi, mi si perdoni il superlativo. Scoperto il segreto, trovate subito le Antille.

Basta infatti che vi allontaniate dalle piazze del centro, dai caffè e dai cinematografi del centro, dai lustrascarpe e dai milionari del centro e che ve n'andiate a zonzo pei quartieri periferici, nelle ore in cui la gente ha smesso di lavorare all'americana e di civettare alla parigina e fa quello che in italiano si chiama il proprio comodaccio, perchè immediatamente New-York e Parigi diventino due lontanissime metropoli che appartengono ad un altro emisfero. Vi resta allora dinanzi agli occhi quella cotal gitana che cercavate, con gli occhioni assassini e la bocca di sciroppo, che canta una Habanera, pizzica la chitarra, sgranocchia noccioline americane, dice la buona fortuna e passa la giornata a dondolarsi con la sigaretta fra le labbra!

Scegliamo un'ora simpatica: le otto di sera per esempio. Il grande sole dei Tropici, dopo aver regalato alla città un tramonto di quelli che contentano anche il turista più difficile, se n'è andato ad arrostire altri disgraziati, ma ha lasciato un codazzo di cementi arroventati, di asfalti scottanti, di terrazzi che bruciano, di tetti che sembrano radiatori, tutta una atmosfera da stireria che sa di strinato e che le brave palme cercano di eliminare sventagliando sulle case e sulle genti il venticello del mare.

La gente spalanca a grandi battenti tutte le porte e le finestre delle abitazioni, quelle dei salotti e quelle delle cucine, quelle delle camere da letto e quelle dei bagni ed accende tutte le lampade dei domicili per quel bisogno di luce che è istintivo nelle popolazioni tropicali, in modo che la città diventa ad un tratto trasparentissima e snocciola sotto il naso del passante tutto il suo ben di Dio. Ricchi e poveri ci tengono a far entrare in casa il frescolino della sera, che a volte è proprio una bavetta di vento, sottile sottile come il respiro di un lattante. E siccome non vogliono fare cattiva figura coi vicini e con gli abbiatici, hanno mobiliato gli ambienti con la preoccupazione di chi sta in istrada a guardar dentro. I letti, per esempio, sono disposti in maniera che se ne vedano dal di fuori le spalliere, le coperte di pizzo, i pomoli di ottone ed il quadro della Madonna. I sei pezzi dei salotti standard sono stati disposti tutti ad arco verso la finestra. I padroni di casa hanno costruito gli appartamenti con le stanze in fila, una dopo l'altra, in modo che, dall'ingresso alla cucina, tutto sia visibile. La maggior parte delle case sono a pian terreno ed hanno un anti-vestibolo che è la parte più importante dell'abitazione. Lì le famiglie trascorrono la serata coram populo, sdraiate nelle sedie a dondolo, lasciandosi cullare da una altalena. Vi sono case di poveri diavoli che non hanno comodini e magari neppure un armadio, ma non v'è casa cubana che non abbia tante sedie a dondolo quanti sono i membri della famiglia.

Il dondolarsi è una istituzione nazionale. Dalle sette di sera alle undici l'Avana ha mezzo milione di sedie che dondolano. Il movimento necessario per imprimere alla sedia il ritmo della ninna-nanna è così spontaneo ed istintivo, che i cubani si dondolano senza rendersene conto. Pare che in origine questa del dondolarsi fosse una trovata dei primi colonizzatori bianchi, per disturbare il lavorio delle zanzare, ma ormai la consuetudine si perde nella notte dei tempi. Un insigne ostetrico cubano mi assicura che i neonati dell'isola, appena messi in culla, iniziano un impercettibile movimento di dondolio.

Vi sono nel mondo altri paesi che sono grandi produttori di zucchero e di sigari, per cui fra le possibilità umane vi è anche quella che Cuba possa essere un giorno detronizzata come fornitrice di questi due prodotti, ma il dondolarsi rimarrà sempre la caratteristica tipica dell'isola. Il fatto che la gente vive di sera sugli usci o addirittura fuori degli usci, dà a questo dondolio universale e permanente un carattere così decisivo che non si può evocare Cuba senza immediatamente vedere il ritmico va e vieni di centomila sedie che si sposa col ritmico andar su e giù di centomila palme.

Gli uomini occupati durante la giornata nei loro uffici, riservano l'operazione del dondolio alla breve parentesi della sera, ma la donna cubana che è meno affaccendata trascorre tre quarti della giornata a dondolarsi. Ciò spiega l'enorme numero di domestiche di questo paese nel quale le contadinotte della Galizia e delle Canarie hanno la loro California, e la facilità con cui la cubana si arrotonda ed annega in una esuberanza tenerella la snellezza del suo corpo di antilope tropicale.

Si dondolano le creole, si dondolano le meticcie, si dondolano le nere: le madri e le figlie, le suocere e le nuore, le padrone e le serve. Nessun innamorato cubano può evocare l'immagine della sua bella senza accompagnarla immediatamente alla sagoma di una sedia che va su e giù. Se la sedia non c'è, la fidanzata è una girl degli Stati Uniti. Questo perenne dondolio influisce considerevolmente sul temperamento della razza la quale, abituata ad andare di pari passo col pendolo, finisce coll'entrare in confidenza coi minuti e con le ore e non dà al tempo che un valore relativo. La gente vi dà un appuntamento per domani, che vuol dire dopodomani, come una settimana dopo! Le giornate non sono forse tutte eguali? Non sono tutte un eterno dondolio fra il dolce e l'amaro, l'angustia e la gioia? Non si può comprendere il carattere cubano in tutto ciò che esso ha di buono e di cattivo, di positivo e di negativo, se non si tiene conto della perpetua altalena con la quale la razza culla la sua esistenza e che finisce col creare una atmosfera sui generis, fatta d'indolenza, d'incertezza, di ottimismo, di sogni, di vezzo musicale, di abbandono romantico.

L'isola delle donne che si dondolano è anche l'isola delle donne che sanno amare, perchè hanno tempo di pensare all'amore; sognare, perchè hanno modo d'immergersi con facilità nel gran mondo dei sogni e delle fantasie; essere fedeli, perchè la serena comodità dell'altalena casalinga non invita ad uscire in istrada a tentare l'ignoto.

La donna cubana è in genere bella, più bella forse come media delle donne degli altri paesi, senza per questo giungere ai tipi della bellezza sublime o a quelli della bellezza fatale, ma quasi sempre piacevole, soprattutto come viso. Buona sposa e buona madre, lascia sulla soglia del matrimonio i suoi capricci ed aneliti di fanciulla, sceglie la sua brava sedia e vi si dondola per tutta la vita. Le ragazze smaniano per essere tutte il dernier cri di Parigi; gli uomini con slancio tropicale vorrebbero fare e disfare il mondo, magari in seno alla Società delle Nazioni: la donna – sposa e madre – resta cubana, e col suo eterno dondolio ristabilisce un equilibrio che è più in armonia con la natura del clima, con l'indole della razza, forse anche col destino del paese.

Dopo una giornata umida e rovente la sera sboccia con la dolcezza di un bacio d'amore. Il mare adagia la sua calma in una sonnolenza piena di torpore. Il chiaro di luna staglia nell'acqua l'ombra delle palme. Gli uomini tornano fradici dalle fatiche e dalle chiacchiere del giorno. I dollari sono duri a guadagnare e sono tondi. Cioè si spendono con facilità. Un sordo malcontento cova nei maschi che hanno bisogno di emozioni e di battaglie e che si sentono tutti in petto un cuore da presidente di Repubblica. La donna li riceve nelle case con un sorriso pieno di mollezza che pare uno sciroppo di more, li fa mettere in maniche di camicia, li fa sedere in una bella sedia, comoda comoda, dà loro da bere una bibita fresca e dolcigna che può essere anche acqua di cocco e dice loro: – Dondolati! Goditi pian piano i minuti che passano e che non tornano più. Senti il venticello che viene dal mare? Senti come frusciano le palme? Ti ho preparato un bel piatto di banane fritte con uno spiaccicato di aguacat che va giù da solo senza bisogno di masticare. Dondolati, cocco, e non pensare ai guai. La canna cresce da sola nei campi di Cuba. A tagliarla ci pensano i giamaichini e vi sono al mondo milioni di uomini che lavorano per poter fumare i nostri bei sigari!

Quando il viaggiatore ha scoperto il segreto delle donne che si dondolano, se ne va ogni sera a fare un bagno di Antille nelle strade dell'Avana. Più le strade son strette meglio si capisce Cuba, perchè si può abbracciare con una sola occhiata l'intimità di parecchie case, dal lusso del salottino al disordine poetico delle camere da letto; si sente l'odore delle fritture e degli intingoli; si vede la serva gagliega che rimescola le stoviglie cantando «Marquita! Marquita!» e la padrona criolla che si fa vento col ventaglione andaluso mentre a cavalcioni dei muriccioli i giovincelli pizzicano la serenata sulle chitarre. Tutte le donne sono in vestaglia, tutti gli uomini in pigiama od in maniche di camicia. Si ha l'impressione d'essere uno della famiglia, di essere l'amico intimo di tutte le case, l'ospite di tutte le tavole, il terzo personaggio di tutti i ménages, il padrino di battesimo di tutti i figlioli chegiuocano nei vani delle porte, il compare d'anello di tutti i fidanzati che tubano sui muretti o nelle cornici delle finestre.

La vita vi pare una cosa dolce, dolce ed un po' stucchevole, come sugo di melassa. La vedete avvolta in una nebbiolina color ambra, come attraverso il fumo aromatico di un buon sigaro Avana. Gli uomini scamiciati, bruni, espressivi, pieni di gesti, vi ricordano i pirati del Salgari ed i corsari di Surcouf. Pirati a riposo. Corsari in posizione ausiliaria. E se avete la fortuna d'incontrare di quando in quando un bel viso di creola che v'abbandona per un istante i suoi occhioni di velluto, se pigliate per voi uno di quei sorrisi di frutto candito che errano sotto le palme in mezzo alle azalee in fiore, se avete insomma quel tanto di fantasia che è necessario per infiorare e colorare la vita... ritrovate quelle Antille del sogno che non hanno mai cessato di esistere perchè sono figlie del Tropico, ma che bisogna saper cercare; con quell'occhio di artista e con quell'anima di poeta senza i quali tutto il mondo è paese!

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