I QUATTRO SALOTTI DELL'ATLANTICO

L'yacht del Presidente della Repubblica di Cuba arriva sullo sbiancar dell'alba dinanzi alla bocca della baia di Sagua de Tánamo. La giornata è serena ma il mare un poco grosso. Il Guantánamo ballonzola fanciullescamente come un ragazzone in vacanza che si prepara ad una scampagnata. Le settanta persone della comitiva presidenziale sono andate a letto presto la sera prima per essere in piedi col primo sole e non perdere lo spettacolo della baia la quale ha fama nei versi dei poeti di essere la più bella gemma dei Caraibi. Disgraziatamente è una baia fuori mano, negletta dalle ferrovie e dai villaggi, toccata solo qualche volta da un vaporetto di cabotaggio che ha fretta d'andar via, quasi abbia timore di lasciarsi stregare dalla maliarda e di venir meno al suo dovere di tramwai marino. Pochissimi cubani e quasi nessun straniero la conoscono.

Vista dal ponte del Guantánamo l'isola di Cuba è in questo punto un grande comizio di cocuzzoletti verdi ed azzurri. La nebbia mattutina nasconde la pianura. Si scorgono solamente le cupolette delle cento colline che incorniciano le quattro baie di Sagua, di Holguín, di Nipe e di Banes. Nell'irreale luminosità dell'alba lo spettatore ha l'impressione di essere di fronte ad un arcipelago; ad uno di quei magici arcipelaghi che la mente dei fanciulli immagina quando le prime sirene dell'oltremare bussano dolcemente alla loro anima. Siccome l'imboccatura della baia è tutta seminata di scogli traditori, il Guantánamo aspetta che la nebbia diradi prima d'infilare la porta d'ingresso e la sua prudenza di vecchio tricheco delle Antille ci permette di assistere alla mirabile trasformazione del nostro fantastico arcipelago nell'isola di Cuba.

Il primo sole straccia violentemente la nebbia. Mani invisibili rastrellano rapidamente la bambagia mattutina, riunendola qua e là in mucchi di spume e di fiocchi che poi sprofondano misteriosamente. Via via che il velo di perla si dissolve, l'arcipelago aumenta le dimensioni delle sue isole e ne diminuisce il numero, finchè quello che pareva un mare di isolotti si riduce a cinque sole grandi isole, poi a tre, poi a due, separate da un fjord. Poi anche il fjord diventa una valle e l'arcipelago cede definitivamente il posto al profilo collinoso della costa nord-orientale dell'isola di Cuba.

Le ultime trine che addobbano l'imboccatura si sfilacciano anch'esse, scoprendo la porta di Sagua de Tánamo. Le onde del lago vi si riversano veloci ma appena giunte sulla soglia subito si acquetano. Anche il Guantánamo smette immediatamente il suo valzer saltato e dimentica di essere una nave con tanto di stantuffo e di caldaie per diventare un cosa leggiera che scivola silenziosamente sopra una superficie di vetro sdrucciolevole.

È bene arrivare dinanzi a Sagua de Tánamo con un mare un po' mosso, per avere la sensazione fisica di lasciare il regno delle tempeste e di entrare in un salotto riservato dell'Atlantico, nel quale il vecchio Nettuno è solamente un galante cantore di madrigali. Proprio tra l'isola di Cuba e l'arcipelago delle Bahamas, cioè in quel punto del mare dei Caraibi nel quale l'Atlantico fa sentire sovente agli uomini il peso formidabile della sua potenza e della sua collera, di fronte a quell'arcipelago delle Bahamas che è tristemente celebre negli annali dei naufragi per le mille insidie invisibili che guatano le navi, per gli improvvisi fortunali, per il vorticoso guazzabuglio delle correnti, per la facilità con cui le burrasche si trasformano in cicloni e razzi di mare, proprio in questo punto l'Atlantico incaricò – chissà quando – i suoi misteriosi artisti di costruire una serie di deliziosi salotti e di raccogliervi quanto i mari sanno fare di più bello e di più fine, di più aggraziato e di più prezioso. Lì il vecchio Atlantico riceve tra una tempesta e l'altra i suoi ospiti. Lì l'oceano soffoca il suo respiro di gigante per ridurlo un lievissimo alito. Lì le bufere non entrano; nè le grandi nè le piccole. Il luogo è riservato alle ondine cerulee che perpetuamente sorridono. Solo ogni tanto un ciclone è incaricato di spazzar via le case ed i villaggi degli uomini che osano profanare coi loro tetti e coi loro zuccherifici il boudoir dell'Oceano. E quando il ciclone ha scopato ciò che deve scopare, i salotti sono riaperti ai sogni ed agli amori. Sono millenni che l'Oceano lavora ad abbellire il suo caravanseraglio incantato ed i lavori non sono ancora finiti. Tuttora le onde limano pazientemente capi e promontori, affinano punte, ageminano scogli, cesellano roccie, lavorano di bulino e di sbalzo sulle pietre e sulle spiaggie. Coralli e spugne arredano perennemente con magnificenza imperiale i basamenti sottomarini perchè diano ai riflessi dell'acque ed alle rifrangenze del sole colorazioni di tramonto e luci di aurora. Docili agli ordini del gran re dei cicloni e delle bufere, i venti seminano nel meraviglioso salotto tutte le piante e tutti i fiori del Tropico facendone una serra incantata di palme e di azalee, di cedri e di ibischi, di mogani e di aranci. Quattro vie d'acqua uniscono internamente le baie, così che quando è festa grande l'immenso salone di Nipe – che è una fra le più grandi baie del mondo – ed i tre saloni minori di Sagua, di Holguín e di Banes, formano un'unica magnificenza. Però il salotto di Sagua è il più bello, tutto grazia e finezza, magistralmente finito in ogni sua parte, pieno di angoletti raccolti nei quali i misteriosi artisti sono riusciti veramente a creare un riflesso dei paradisi che sovrastano i cieli e dei profondissimi abissi nei quali l'Oceano ha le sue reggie.

Quando il Guantánamo entra nella baia e mette la prua su Cayo Mambí, gli uomini tacciono vinti dalla bellezza che hanno negli occhi, vinti dall'emozione che hanno nell'anima.

Sagua de Tánamo! Forse solo i meravigliosi laghi d'Italia che sono i salotti delle Alpi e dei ghiacciai, possono eguagliare la tua bellezza, quando il cielo italiano si carica di tutto il suo azzurro e primavera veste le montagne del suo verde più fresco. Ma gli abeti ed i faggi, i pini e gli olmi danno ai nostri laghi la signorilità discreta e raffinata dei grandi palazzi d'Italia, mentre qui gli eserciti sterminati delle palme tropicali, nelle loro varietà innumerevoli, creano un teatrale e sgargiante scenario di Oriente, dal quale cento Bagdad e mille Alhambra specchiano nello smeraldo dell'acqua la loro opulenza che l'acqua riproduce nella sua immensa lastra.

Sagua de Tánamo! Io non so dire se le tue acque siano di opale o di madreperla, perchè mi pare che opali e madreperle siano povere cose di cui gli uomini debbono servirsi per descrivere in qualche modo il tuo splendore! Io non so se sia d'oro o di diamante la luce del tuo sole che tutta ti imporpora e tutta ti fa ardere magnificamente, perchè mai ho visto l'oro splendere così luminosamente e mai diamante m'ha accecato come m'acceca il tuo fulgore! So solamente che ad un certo punto l'uomo cessa di contemplare i tuoi cieli e le tue acque perchè la sua povera anima si smarrisce dinanzi al balenar dei tuoi sfondi, aperti sopra un infinito di bellezza che non è fatto per gli occhi degli uomini. Allora lo sguardo si abbassa sulla terra ferma e si riposa sulle bellezze meno vertiginose delle sponde.

La cornice della baia gira intorno al Guantánamo spiegando i suoi vezzi. Par di assistere ad una esposizione di ventagli che si aprano e si chiudano continuamente, ora mostrando un angolo di sogno, ora una miniatura di fate, l'amplesso di due palme, lo sciamar d'un coccheto, lo sfarfallio di una grande spalliera fiorita che si sfiocca nel vento...

La vegetazione staglia nettamente nell'acqua le sue forme e dietro lo schermo transitano le nuvole. Il cielo e la terra sono una cosa sola. Lo spirito umano abituato a certi limiti si sente sopraffatto da questa fantastica fusione di tutte le immensità. Pare di essere fermi, in un mondo di fluidi e di cristalli e che le cose ci vengano incontro. Le isolette s'avanzano silenziose; s'avvicinano; girano; hanno l'aria di far la riverenza a passo di minuetto, sorridono, s'allontanano, spariscono. Non c'è musica, nè a bordo nè a terra, ma una gran sinfonia è in noi. La sentiamo. Suona e canta. Nell'infinito silenzio.

È terribile e delizioso insieme! Si vorrebbe che l'incanto finisse e che continuasse. Si è felici di viverlo ed un po' tristi, perchè poi la vita parrà più grigia. L'acque e la terra debbono amarsi qui carnalmente. Il loro amplesso perenne è carico di tepore, carico di lascivia. Brividi d'anima e fremiti di sensi empiono della loro presenza magnetica questo luogo di ebbrezza che evoca confusamente nello spirito visioni di templi pagani e di altari cristiani in sacrilego caos. Afrodite e Santa Teresa. Eliogabalo e San Francesco. Lo scenario può incorniciare tutte le aberrazioni della carne e tutte le sublimità dello spirito. Solo le consuete banalità della vita sono fuori posto...

Il Guantánamo attacca a terra a Cayo Mambí. C'è uno zuccherificio americano nei dintorni della costa e fortunatamente non si vede. C'è un trenino elettrico che conduce allo zuccherificio ma è nascosto dietro un filare di palme-cocco e fortunatamente non si vede. C'è una folla di elettori iscritti al partito liberale che aspetta il Presidente della Repubblica per gridare «Viva il Partito», ma è concentrata alla stazione di arrivo del trenino. Non la si vede e non la si sente. A Cayo Mambí il comitato organizzatore del ricevimento presidenziale si è limitato ad ammassare mille uomini a cavallo che sono allineati lungo la sponda a distanza di un metro l'uno dall'altro. Da buoni americani hanno preso questa decisione per evitare affollamenti sul piccolo pontile e sul trenino. Senza volerlo hanno rispettato la grazia e la maestà della Natura!

Lungo l'arco della sponda stanno i mille cavalieri, specie di butteri tropicali d'aspetto rude e di portamento altero, saldi in sella su muli e cavalli. Hanno selle di cuoio all'andalusa con ornamenti di rame e fibbioni di nikel che lampeggiano al sole. Vestono alla paesana, con la camicia aperta sui petti muscolosi. Un gran cappellaccio da ranchero ombreggia i loro volti ossuti e dà loro l'aspetto di briganti messicani. Ve ne sono di bianchi, meticci, mulatti, neri. Ognuno ha l'ombrello di una palma-cocco od il baldacchino di una palma reale. Qua e là una palma di Cristo apre i suoi meravigliosi flabelli. Immobili nel sole i mille cavalieri-briganti paiono aspettare un Fernando Cortés che sbarchi dal Guantánamo e li conduca, attraverso orgie e battaglie, a rovesciare il trono dei Montezuma.

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