LA LOCANDA DELLA MORTE

In quel punto del porto di Avana dove il quartiere della Borsa, delle grandi Compagnie di Navigazione e delle banchine adibite al servizio passeggeri, cede il posto ad un altro quartiere meno elegante che fronteggia le calate dei velieri ed i moli dei vapori commerciali, le strade cittadine hanno conservato l'aspetto sordido dell'epoca coloniale. Grandi casoni di pietra, quasi tutti provvisti di corte interna, serrano nella loro ombra le viuzze strette dai marciapiedi microscopici sui quali innumerevoli botteguccie di rivenduglioli e di rigattieri snocciolano le loro povere vetrine rifornite dalla Miseria.

Ogni tanto sei o sette aperture sono occupate da un unico magazzeno spagnuolo che è rimasto fedele ai sistemi commerciali del tempo antico. In mezzo a centinaia di barili oleosi, di casse bisunte, di balle incatramate, di cestoni impagliati e di damigiane che odorano fortemente di vino grosso, si vede la scrivania preistorica del padrone del fondaco – un gallego od un catalano – che sbriga la sua contabilità rudimentale su scartafacci lerci ed annosi. Enormi ragnatele penzolano dai soffitti. Grossi topi di chiavica fanno capolino negli interstizi delle casse o saettano rapidi verso il portone opposto. Giovanotti delle Canarie e delle Asturie, immigrati di fresco, con i torsi nudi e sudati, sfacchinano dalla mattina alla sera in quei fondaci di un altro secolo, aspettando il tramonto per far l'amore sotto le acacie della Plaza del Ayutamiento con la serva compaesana ed evocare, fra un pizzico ed una carezza, l'agreste poesia del pueblo natale. Solidi carri tirati da muli potenti empiono tutto il giorno di fragore le viuzze, caricando e scaricando dinanzi ai magazzeni. Di quando in quando una vecchia chiesa od un antico convento rompono con un'arcata di pietra o con una teoria di grate il pullulare delle botteghe. Chi passa non sa se quella parentesi d'ombra e di silenzio lo conforti o lo addiacci!

Poi il quartiere fa un gomito seguendo l'andatura del porto e le vie diventano ancora più strette, le botteghe più piccole, più numerose e più lercie. Le finestre basse dei mezzanini lasciano vedere suppellettili miserabili, lettucci di ferro, brocche arrugginite, vecchi scamiciati, donnette discinte, pallide ragazze dagli immensi occhi di mulatta. Lì gli ebrei russi e polacchi hanno i loro bizzarri negozi di robivecchi nei quali s'ammassano gli stracci degli emigranti e dei marinai; lì i cinesi trovano modo di avere uno dei loro incredibili buchetti di fruttivendolo o d'ortolano che non di rado mascherano il più lucroso commercio dell'oppio, la propaganda politica del Kuo-Ming-Tang ed il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina gialla; lì spesseggiano le bettole, le taverne, le distillerie illegali, certi negozi di barbiere che sono il ricettacolo di tutta la teppa del porto e delle navi e hanno la loro sede indefinibili alberghi per emigranti, i quali sono nel medesimo tempo locanda, trattoria, ufficio di collocamento, fornitori di postriboli, antro di ricettatori, nascondiglio di pregiudicati.

È precisamente in una di queste fondas che chiameremo la Fonda de la Muerte che ho preso l'abitudine di andare ogni giorno con la scusa di un rinfresco tropicale, per osservare da vicino questo bizzarro mondo di osti, di maneggioni, di banditi, di emigranti, nel quale il caso mescola caoticamente onesti campagnoli d'ogni paese d'Europa con tipi pittoreschi d'infingardi professionali, con sinistri sfruttatori delle miserie altrui, con lestofanti d'ogni risma e colore, con autentici criminali capaci per poco denaro dei più mostruosi delitti. Io ho una certa predilezione per queste locande di suburra cosmopolita, nelle quali quasi fanciullo portai in giro l'ingenuità sedicenne nutrita di poesia nei primissimi anni del mio vagabondaggio per il mondo, quando avevo la fortuna di sfiorare da vicino il vizio senza accorgermi della sua presenza e di rischiare una coltellata senza rendermi conto che fosse vicina. A volte scorgo in questi antri un ragazzo nel quale mi pare di riconoscermi e se posso gli dò una mano perchè esca in tempo dalla trappola.

La Locanda della Morte ha un ingresso quasi decente che comunica da una parte con una trattoria ispano-cinese frequentata specialmente dai marinai dei velieri antillani di cabotaggio e dall'altra immette in un vasto cortile pieno di carri, di botti vuote, di casse vecchie e di mille cianfrusaglie fra le quali l'occhio distingue uno scheletro di automobile, un'ancora arrugginita ed una bombola senza tappo di acido cloridrico. Nel mezzo del cortile una magnifica palma di Cristo erge il suo fusto smilzo e levigato e poi apre all'altezza del primo piano il suo radioso ventaglio verde, opulento, teatrale; è questa l'unica ricchezza della bolgia.

Una scaletta di legno, aggraziata dagli sbrindelli incolori di un ex tappeto rosso, conduce al primo piano dove sono situate le stanze dell'albergo, una trentina di topaie con le finestre sul cortile. Un altro blocco di stanzette si trova sul terrazzo, riservate queste agli ospiti più pezzenti o più bisognosi di star nascosti. In caso di necessità i tetti vicini offrono numerose vie di scampo.

Lì ho fatto conoscenza con due italiani, i quali, dopo aver pagato a Genova diecimila lire per imbarcarsi clandestinamente verso l'America, via Marsiglia, si trovano da ben cinque mesi all'Avana in attesa di ripartire per gli Stati Uniti sopra una delle barche a vela che fanno il contrabbando d'emigranti tra Cuba e la Florida. Questi due connazionali sono contadini del Friuli, un po' rozzi e sempliciotti, ma basta guardarli in faccia per accorgersi che si tratta di brava gente, onesta, laboriosa, economa, la quale si è lasciata abbindolare da quelle autentiche arpie che sono i favoreggiatori dell'emigrazione clandestina, veri vampiri umani che succhiano il sangue dei disgraziati campagnuoli e montanari, sfruttando la loro credulità e frodandoli delle loro sudate economie per lanciarli allo sbaraglio verso la miseria, l'ospedale e non di rado la morte.

Questi due poveri friulani hanno ora incaricato i loro padroni di vendere il pezzetto di terra che avevano lasciato alla loro vecchia madre in quel di Cividale, per avere il denaro necessario al ritorno. Per cinque mesi hanno vissuto nella Fonda de la Muerte consumando dollaro a dollaro il loro modesto peculio nell'aspettativa del loro turno d'imbarco, turno che non arrivava mai perchè i traghettatori clandestini ed i padroni delle locande formano un'unica associazione di delinquenti la quale non si preoccupa d'altro che di assorbire in una maniera o nella altra il denaro degli emigranti. Una volta che l'emigrante a forza di aspettare dall'oggi al domani ha intaccato il costo del passaggio clandestino è inesorabilmente condannato a lasciare nella locanda fino all'ultimo centesimo e quando non può più pagare, è buttato in strada oppure è assoldato dai negrieri per ingannare altri disgraziati.

Migliaia di poveri diavoli sono così turlupinati tragicamente in Avana da quando questo porto è diventato, in seguito alla chiusura degli Stati Uniti, uno dei centri strategici dell'emigrazione clandestina. La maggioranza delle vittime sono spagnuoli e polacchi, ma anche non pochi italiani finiscono negli artigli dei negrieri moderni.

Gli sfruttatori battono le campagne nelle annate di cattivo raccolto preferendo i luoghi più incolti e più lontani dal centro, dove l'umanità è meno smaliziata e scegliendo quei paesotti un abitante dei quali sia riuscito a penetrare negli Stati Uniti per la via di Cuba. Forti di questo precedente, essi ingannano l'emigrante assicurandogli che l'ingresso a Cuba è libero il che è vero e che da Cuba si può partire liberamente per gli Stati Uniti il che è anche vero, ma solamente per i cubani che hanno il passaporto cubano in perfetta regola. Non per gli stranieri. Gli sfruttatori aggiungono che in caso di difficoltà imprevedibili la stessa Cuba offre mille possibilità di collocamento, il che è falso, perchè la mano d'opera agricola è limitata al taglio della canna da zucchero ed è monopolizzata dai neri di Giamaica e di Haiti i quali lavorano come bestie per pochi centavos al giorno in condizioni assolutamente insopportabili per un bianco.

E quando l'emigrante tentenna, il mercante di carne umana tira subito fuori la sua brava carta geografica e mostra al disgraziato il brevissimo spazio di mare che separa la costa di Cuba dalla Florida.

— Una notte di mare! Vi sono mille barche a vela che possono portarvici! Ogni notte dieci, venti velieri fanno il tragitto per sbarcare gli emigranti in un angolo deserto degli Stati Uniti donde potete andare dove volete!

La verità è ben diversa. Non solamente bisogna fare i conti con la polizia cubana che sorveglia le partenze e con la polizia nord-americana che controlla minuziosamente la costa rimandando inesorabilmente indietro gli emigranti dopo un soggiorno più o meno lungo in carcere; non solamente bisogna contare con gli innumerevoli pericoli di una navigazione sopra una fragile barca in un mare insidiosissimo qual'è il canale di Florida, costantemente battuto dai venti e dai cicloni e giustamente considerato pericoloso anche per la navigazione a vapore; ma bisogna soprattutto fare i conti con i banditi che disimpegnano questo servizio clandestino i quali esigono somme fantastiche – da cinquecento a mille dollari – per la traversata del canale e sovente, dopo avere intascato la somma, fingono di essere stati scoperti e di dover tornare indietro, oppure abbandonano l'emigrante sopra un isolotto deserto dei Caraibi, di quelli che scompaiono con l'alta marea e quando sanno o suppongono che il passeggero abbia altro denaro addosso lo sopprimono senz'altro in alto mare e ne buttano il cadavere ai pescicani che infestano il litorale di Cuba.

Quanti partono così e di loro non si sa più nulla; quanti scompaiono così senza lasciare nessuna traccia del loro imbarco per la stessa natura clandestina dell'impresa!

La polizia cubana combatte vigorosamente l'idra dei favoreggiatori clandestini, ma l'idra ha troppe teste per essere distrutta totalmente. I moderni mercanti di carne umana sono peggiori degli antichi negrieri che trafficavano nelle Antille l'ebano vivente. La loro audacia è eguagliata solo dalla loro ferocia. Stroncano una vita giovane per cento dollari ed anche meno! Gli abissi del golfo del Messico, i banchi del canale di Florida e le scogliere spugnose dell'isola conservano il segreto di raccapricianti tragedie delle quali furono testimoni solo le paurose solitudini di mare. Una pugnalata a tradimento, un grido che si perde nella notte ed è finito...

Proprio ieri, mentre mi trovavo alla Locanda della Morte, la polizia cubana ha arrestato un tal Sarnedo, padrone di barca a vela e filibustiere professionale, accusato d'aver imbarcato clandestinamente quattro persone le quali da cinque mesi non danno più notizia della loro esistenza; costoro non sono più tornati a Cuba, non sono mai arrivati negli Stati Uniti dove erano attesi dai loro familiari. Sono scomparsi nell'ombra di un piccolo veliero, nel gran silenzio di una notte delle Antille.

Fu una scena drammatica. Sullo sfondo romanzesco della Fonda de la Muerte, in mezzo al fuggi fuggi dei numerosi inquilini che non vogliono avere a che fare con la polizia, in mezzo allo sgomento dei poveri emigranti fra i quali ve n'erano cui toccava il turno d'imbarco quella stessa notte, i parenti delle vittime – uomini stravolti, donne scapigliate e piangenti – hanno investito il negriero che nel volto feroce e negli occhi sinistri rivelava la bassezza della sua anima criminale. In un disperato tentativo di fuga il brigante s'aggrappò alla palma squassandola violentemente e la frenetica agitazione delle foglie interpretò teatralmente l'orrore della scena. Veramente mi parve in quel momento di rivivere un episodio di altri tempi, quando la carne umana era una merce volgare a disposizione del trafficante più astuto e più crudele.

La notte del 2 Agosto altri otto italiani s'erano imbarcati così a bordo di una lancia a benzina appartenente a tal Frank Middleton per raggiungere la costa della Florida. A mezzo percorso il motore esplose. Quattro italiani sparirono in pezzi nei gorghi del canale. Gli altri quattro, riusciti miracolosamente ad aggrapparsi ad una delle boe luminose del canale, furono raccolti il giorno dopo dal piroscafo Cuba. I superstiti non hanno potuto nemmeno dare i nomi dei loro disgraziati compagni perchè in questo piccolo mondo degli emigranti clandestini si vive in stato di perenne diffidenza come in una muta di lupi.

Le carte di uno degli scomparsi dicono che egli era di buona famiglia, bravo soldato in guerra, bravo cittadino in pace, diplomato in licenza liceale. Il miraggio dell'America lo ha fatto cadere nelle panie dell'emigrazione clandestina. Lascia la moglie e due bimbi. Quanto agli altri tre hanno portato il loro pietoso segreto nel profondo degli abissi. Le loro disgraziate famiglie li aspetteranno chissà per quanto tempo!

Ventiquattro ore dopo la sorpresa della polizia, la Fonda de la Muerte ha ripreso il suo aspetto abituale di tranquillo ed onesto albergo per gente povera. Qualche emigrante ammaestrato dal caso Sarnedo è andato via rinunziando al passaggio del canale. Altri sono arrivati stamane coi corrieri di Vigo e di Bordeaux. Il padrone è in giro pei suoi loschi affari di emigrazione clandestina e di contrabbando e la padrona – una meticcia grassa e matronale – ha ripreso il suo posto consueto di can di guardia sul portone d'ingresso. Sprofondata in una enorme sedia a dondolo passa così l'intera giornata con gli occhi socchiusi ed il corpo abbandonato. Pare che dorma in permanenza ma il suo sguardo di gatta cova tra le ciglia gli andirivieni della porta, della trattoria e del cortile. Il volto cinquantenne conserva le traccie di una bellezza che non dovette essere disprezzabile, bellezza di meticcia solida e prosperosa, tostata dal sole del Tropico nei campi di canna. Ormai l'adipe sommerge nel volto le linee antiche ed il corpo tradisce sotto la veste il disastro di una frolla pinguedine.

Di tanto in tanto la figlia fa capolino sulla soglia di un uscio, sudicia, spettinata, discinta, ma con due occhi di zingara carichi di tutto il fascino atavico dell'Andalusia e dell'Africa. Si direbbe che il suo corpo felino serpenteggi dentro la stoffa, e le gambe scalze hanno il color bruno-dorato delle prugne di Provenza quando stanno per maturare. Manolita sbriga nella locanda una quantità di faccende: serve, spia, corrompe, cucina, tiene i conti, rammenda il bucato, legge l'avvenire nelle carte e nei fondi di caffè: ora sorridente come una ingenua, ora torva come una furia, ora monella, ora svenevole, ora indiavolata come una gitana, a seconda del momento e della parte che rappresenta. Spesso suo padre la picchia ed essa si vendica schiaffeggiando sua madre la quale, troppo grassa e troppo pigra per ribattere, invoca sul capo della ragazza tutte le maledizioni dei santi e le collere dell'inferno. Diversi filibustieri che frequentano la casa sono pazzi per Manolita e nelle notti ardenti delle Antille essa si dà ora all'uno ora all'altro negli angoli del cortile nero e silenzioso, sulle casse dure, sullo strame delle rimesse, contro una parete o lo spigolo di un muretto. A volte gli aspiranti si contendono a coltellate i suoi baci, ma il fatto di sangue non esce dalla locanda. Non di rado un giovane emigrante che s'annoia aspettando il suo turno, tra la nostalgia del paese natale ancora fresco nella memoria ed i castelli in aria della terra promessa che lo aspetta, sente due nocche che bussano all'uscio nel silenzio della notte. È Manolita che ha un capriccio per i colori accesi di un montanaro o per gli occhi a mandorla di un pescatorello siculo di passaggio. Altre volte il capriccio non c'è, ma c'è il portafoglio di un ospite danaroso e romantico che il padre desidera si vuoti nella locanda.

Un sardo, che per sette mesi ha vissuto nella Fonda de la Muerte, riuscì a piegare la meticcia al suo dominio. Oggi egli ha messo su bottega d'orologiaio nella provincia di Camagüey, ha preso moglie ed ha un amor di bimbetto che si chiama Italo. Ma non ha dimenticato la meticcia tropicale dagli occhi di zingara che, tradendo suo padre e la sua azienda, lo scongiurò una notte tra i baci e le lagrime di non partire all'indomani per la Florida sulla barca La Sevillana.

Il disgraziato che partì al suo posto non è mai arrivato agli Stati Uniti e non è più tornato a Cuba!

— E la polizia non può chiudere questa taverna? – ho chiesto una sera al sardo.

— Si tratta di una organizzazione di prim'ordine – m'ha risposto – che salva perfettamente le apparenze e non lascia traccie delle malefatte. Eppoi...! Ora il presidente Machado ed il ministro Zayas Bazán hanno messo ordine in cento cose, ma prima queste locande avevano i loro uomini in mezzo agli stessi poliziotti. Il padre di Manuelita era un grande elettore del quartiere e benefiziava di potenti appoggi all'ombra dei quali le inchieste più gravi finivano in un «non luogo a procedere»! Ogni volta che io mi fermo ad uno dei tavolini della trattoria ispano-cinese, in quelle ore canicolari del pomeriggio nelle quali i pochi clienti s'addormentano sulle seggiole e nel silenzio generale s'ode solo la stormire della grande palma che sventaglia le mosche nel cortile deserto, ogni volta ascolto con sgomento il fruscio di quelle foglie che conoscono i segreti delle stanze e delle scale, di Manuelita e dei suoi ganzi, il segreto di tanti e tanti poveri diavoli che sono passati di qui e che ora non si sa dove siano... Perpetuamente le foglie raccontano al vento della baia ciò che hanno visto ed udito... Drammi di ieri, tragedie d'oggi... Ma l'uomo non capisce il linguaggio delle foglie...

Ogni vapore porta nuovi emigranti. In mezzo ad essi Manuelita sceglie i suoi favoriti di un'ora ed il canale della Florida le sue vittime per l'eternità.

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