LA SESTA CONFERENZA PAN-AMERICANA

Il 15 gennaio 1928 all'Avana si è riunita la VI Conferenza inter-americana, la quale è comunemente chiamata VI Conferenza pan-americana, in omaggio al pan-americanismo che è il principio informatore e propulsore della grande riunione. Per la prima volta tutti gli Stati dell'America hanno partecipato alla Conferenza: ventuno Stati: cioè Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costarica, Cuba, Equador, Dominicana, Guatemala, Honduras, Haiti, Messico, Nicaragua, Panamá, Paraguay, Perù, Salvador, Stati Uniti, Uruguay, Venezuela. Nelle passate Conferenze inter-americane (Washington 1888; Messico 1900; Rio Janeiro 1906; Buenos Aires 1910; Santiago del Cile 1923) diversi Stati furono assenti o per indifferenza o per ragioni politiche o per suscettibilità diplomatiche. Questa volta, no. La famiglia americana era completa. I vari paesi erano rappresentati da ottanta delegati politici e da settanta delegati tecnici, oltre alcune centinaia di segretari. La sola Delegazione messicana constava di sessanta persone. Circa duecento giornalisti rappresentavano la stampa e fra essi figuravano grossi nomi come Lord Rothermere, direttore-proprietario del Times e del gruppo di giornali Northcliff; Silva-Valdosola, direttore del centenario Mercurio del del Cile; Mitre, direttore della Nación di Buenos Aires; il direttore dell'Universal del Messico, ecc. ecc. La stampa francese era rappresentata da un inviato speciale del Matin, l'italiana dal Popolo d'Italia, la spagnuola dal Sol e dall'ABC, i soli giornali europei (all'infuori dei numerosi inglesi) che hanno sentito la necessità di non basarsi esclusivamente in questa questione sui telegrammi dell'United Press.

La Repubblica di Cuba ha offerto alla Conferenza il quadro delizioso della sua capitale, il mite tepore del suo inverno tropicale, l'opportuna elasticità di un paese legato da vincoli etnici e linguistici alla famiglia latina ed economici e politici alla potente Repubblica degli Stati Uniti.

Detto questo per mettere in debita luce lo scenario della VI Conferenza, entriamo senza tanti preamboli nel nocciolo della questione. È innegabile che questa sesta riunione inter-americana è stata più importante delle cinque Conferenze precedenti. Assai più importante. Per la prima volta infatti la situazione diplomatica, economica e spirituale delle tre Americhe ha indotto tutte e venti le Repubbliche latine a partecipare alla riunione ed a farsi rappresentare da numerosi Delegati, scelti fra gli uomini maggiori d'ogni singolo paese. E per la prima volta il governo di Washington ha sentito la necessità di non scegliere a casaccio i suoi rappresentanti, ma di formare accuratamente una Delegazione di primissimo ordine, della quale facevano parte personalità come l'ex Segretario di Stato Hughes, l'ambasciatore a Roma Fletcher, Oscar Underwood, Morgan Brien, Morrow, Brow-Scott, Lyman Wilbur ed il grande manipolatore pan-americano Leo Row. Non solamente questi nomi corrispondono ad autentici grossi calibri della diplomazia, della finanza, dell'amministrazione e del pensiero degli Stati Uniti, ma ognuno di essi ha un passato filo-latino che lo rende persona grata ai latini di America. Nè basta. Lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Calvin Coolidge, debitamente autorizzato dal Congresso, è andato all'Avana per inaugurare personalmente la Conferenza, scortato da una brillante flotta e dalle ali gloriose di Lindbergh! C'è ancora di più. Per quattro mesi una grande ondata di filo-latinismo ha invaso improvvisamente gli Stati Uniti. Il governo nord-americano ha fatto precedere questa Conferenza da un gigantesco lavoro diplomatico di grande stile che ha abbracciato tutte le capitali dell'America latina ed ha perfino cambiato alla quasi immediata vigilia della Conferenza i suoi ambasciatori del Messico ed a Cuba, sostituendoli con due ricchissimi e simpatici signori che hanno il gesto grandioso, la parola affabile, il sorriso affascinante. Quanto alla Delegazione nord-americana essa è stata la più forte e rappresentativa che gli Stati Uniti abbiano mai mandato all'estero, dopo quella famosa di Wilson alla Conferenza della Pace.

Perchè questo?

Il fatto di essere vissuto in Avana durante alcuni mesi prima della Conferenza in buona armonia e costante dimestichezza con gli uomini politici cubani che sono oggi i cuochi della Conferenza, la favorevole circostanza di conoscere personalmente diversi delegati dell'America Centrale e di avere amichevoli relazioni mondane con alcuni fra gli uomini maggiori della Conferenza (i cosidetti pontefici massimi, latini ed anglo-sassoni), il largo aiuto che il ministro d'Italia in Avana mi ha dato per conoscere uomini ed ambienti, la pratica della lingua e del modo di fare latino-americano, tutto questo favorevole insieme di cose mi ha permesso di studiare la VI Conferenza in profondità e mi permette di trascurare la colossale zavorra oratoria, burocratica, diplomatica e scenografica della Conferenza per estrarne solamente i due elementi fondamentali che determinano la reale importanza della riunione, ne precisano l'essenza, ne rilevano la netta e decisa differenza dalle precedenti riunioni inter-americane.

Credo che dal punto di vista italiano, latino ed europeo, siano questi due elementi fondamentali quelli che contano di più.

Il primo elemento riguarda i latini di America; il secondo gli Stati Uniti.

In questi ultimi anni i latini di America hanno sentito il peso dell'imperialismo politico ed economico degli Stati Uniti. In passato lo avevano solo avvertito saltuariamente e localmente. Ora qui ora lì. Senza ripercussioni d'ordine generale. Senza interferenze d'ordine politico interno. Da qualche anno il peso è diventato più grave e più universale. Sotto la pressione degli Stati Uniti, l'America Centrale ha scricchiolato a più riprese: a San Domingo, in Haiti, nel Panamá, nel Nicaragua, nel Messico. I popoli del Sud America non solamente hanno inteso questo scricchiolio, ma se ne sono allarmati. La stampa ha gridato. I Parlamenti hanno brontolato. I governi hanno acuito la loro attenzione. Le moltitudini hanno espresso la loro emozione in numerose circostanze che non consentono dubbi. Benchè uno scrittore ottimista e superficiale possa affermare che nessuna nube ha turbato in questi anni il sereno del cielo interamericano, la verità è che si è determinato nei popoli americani di razza e civiltà latina uno stato di apprensione collettiva e si è venuto delineando un movimento istintivo di solidarietà tra i suddetti popoli contro la minaccia dell'imperialismo nordamericano. Di fronte alla Real-Politik di Washington, di fronte alla convinzione nord-americana di rappresentare una razza superiore incaricata di controllare il resto del Nuovo Mondo, di fronte all'invadenza del capitale nord-americano nei centri motori dell'economia latino-americana, di fronte alla tendenza yankee di modificare artificialmente i mercati e i consumi di diverse Repubbliche del Centro e del Sud America, i popoli ed i governi hanno avuto la sensazione di un pericolo latente. Diverse mosse – non precise ma grandiose nella loro pur vaga consistenza – hanno rivelato l'esistenza di uno stato d'allarme che già cerca i mezzi di resistenza e di difesa. Uno ad uno quasi tutti i Parlamenti dei paesi più importanti dell'America latina si sono pronunciati contro la manomissione della libera sovranità degli Stati di America, pur limitandosi ad ordini del giorno teorici e generici che non precisano nessun fatto concreto dell'invadenza nord-americana. La dottrina di Monroe è crollata dal suo alto piedistallo monumentale, donde spaziava, come un mito, nei Campi Elisi dell'ideale. Occhi investigatori di latini l'hanno guardata più da vicino al lume della cronaca spicciola, dei fatti positivi, delle imprese finanziarie e delle statistiche commerciali.

Il lavorio diplomatico degli Stati Uniti, la potenza del Dollaro (strapotente nell'America Centrale) e la giustificata prudenza dei vari governi, hanno impedito che le Delegazioni dell'America latina assistessero alla Conferenza come interpreti e rappresentanti del sentimento pubblico dei singoli paesi, però questo sentimento pubblico di diffidenza contro gli Stati Uniti esiste ormai in modo innegabile e palese, dai Caraibi al Rio de la Plata, dalla vecchia chiesa colombiana di San Domingo al pomposo palazzo presidenziale di Rio Janeiro. Esiste nel patriottismo pensoso di innumerevoli intellettuali, nella preoccupazione di molteplici governanti, nel bagaglio spirituale di quasi tutte le agglomerazioni studentesche, nel cuore di vaste masse di folla. È una realtà dell'oggi americano!

Questo è uno dei due elementi fondamentali. Esso ha costituito la piattaforma spirituale della Conferenza per le venti Delegazioni latine di America e per i popoli che fanno loro di sfondo.

L'altro elemento fondamentale della Conferenza è invece rappresentato dallo stato d'animo ufficiale e popolare degli Stati Uniti. Chilometri di carta stampata illustrano e spiegano, ufficialmente ed ufficiosamente, il pensiero del governo americano di fronte alla Conferenza, ma si tratta di un enorme materiale di propaganda giornalistica che snatura i fatti, tace le situazioni ed ingarbuglia le tendenze, per disorientare le moltitudini ed ingannare lo studioso. La realtà è diversa. Gli Stati Uniti si sono sentiti soli! Soli di fronte all'Europa che si riconsolida e si rinsangua abbastanza rapidamente dalla prostrazione della guerra; soli di fronte all'Inghilterra ed all'impero britannico che non hanno nessuna intenzione di lasciarsi detronizzare sui mari e nei commerci; soli di fronte al formidabile pasticcio asiatico che non seduce eccessivamente nè il capitale nord-americano nè la maggioranza dei pacifici e soddisfatti cittadini degli Stati Uniti.

A questa sensazione di solitudine politica si deve aggiungere una certa apprensione degli uomini d'affari per la crescente difficoltà di trovare ancora buoni investimenti di capitali in Europa, per l'alea degli investimenti in Asia e per gli insuccessi dei tentativi fatti in Africa; donde la duplice necessità politica ed economica di evitare un accrescimento della diffidenza dell'America Centrale e Meridionale contro gli Stati Uniti, diffidenza che da una parte aggraverebbe l'isolamento politico e dall'altra influenzerebbe in senso sfavorevole anche quei mercati latino-americani che sono finora aperti al capitale nord-americano e dominati od almeno controllati dal commercio nord-americano. Di questi mercati gli Stati Uniti hanno già bisogno e maggior bisogno ne avranno domani per collocare i loro prodotti, i loro manufatti ed i loro capitali.

È del 7 gennaio 1928 la dichiarazione pubblica fatta da Wallace Thompson all'Associazione di Politica Estera di New-York: «Credo di dire una verità assicurando che oggi non abbiamo nessuna nazione amica nella intera America latina!».

Gli Stati Uniti sono andati alla VI Conferenza Pan-americana appunto col programma di rimediare a questo stato di cose; hanno riconosciuto la necessità di rapporti più amichevoli con la parte latina dell'America; hanno ammesso il principio di una maggiore collaborazione coi latino-americani; hanno riconosciuto l'opportunità di modificare i propri metodi politici e i propri sistemi economici in maniera da non urtare più la suscettibilità dei latini. Per chi conosce l'alto disprezzo che l'yankee professa nel suo «io» per i latini ed i meticci di America, per chi sa quale indifferenza abbia ostentato finora il governo di Washington nei riguardi dell'opinione pubblica sud e centro-americana, per chi sa quanto secco ed autoritario fosse finora il linguaggio degli Stati Uniti, questo nuovo modo di agire e di pensare dei nord-americani è addirittura una piccola rivoluzione.

La VI Conferenza inter-americana è stata caratterizzata precisamente da questi due nuovi elementi spirituali: 1) Diffidenza dei latini di America e tendenza a solidarizzare contro gli Stati Uniti; 2) Allarme degli Stati Uniti e tendenza a mutare la loro politica generale sul continente per non inimicarsi i latini di America.

Nè la dottrina di Monroe, nè cento altre trovate più o meno artificiali del pan-americanismo potranno evitare il fatale dualismo fra Stati Uniti e latinità in America. Dualismo che può non diventare antagonismo in omaggio alla solidarietà inter-americana, ma che è e sarà inevitabilmente il contrasto di due Civiltà non eguali, di due temperamenti umani dissimili, di due raggruppamenti etnici distinti, di due modi diversi di concepire molti aspetti dell'esistenza.

L'Italia, buona amica degli Stati Uniti, orientata anzi dinamicamente verso una concezione modernissima e quindi americana della vita economica e sociale, è però legata ai popoli latini di America da un vincolo strettissimo che non è solamente etnico e culturale, ma più intimo, più profondo e più immediato, dal vincolo cioè della Civiltà che tutti i popoli latini rappresentano nel mondo. Un passato, un presente ed un avvenire. Una eredità, un patrimonio, un ideale. Vincolo di famiglia che ha le sue radici antiche nel ceppo originario di Roma madre, che ha le sue radici d'oggi in quella cosa indistruttibile che è l'anima latina, che ha le sue radici di domani in tutte le possibilità ed in tutte le mete del grande mondo latino.

Come la latinità dei sud-americani e dei centro-americani non può essere distrutta da nessuna forza materiale o morale perchè nessuna forza è capace di distruggere l'indistruttibile, così i vincoli che uniscono gli italiani ai latini di America appartengono alla categoria dei legami irrompibili ed immarcescibili. Per questo l'Italia, diplomaticamente assente dalla Conferenza come paese europeo, è stata spiritualmente presente alla Conferenza come paese latino e come piedistallo di Roma. La partecipazione spirituale dell'Italia alle gioie ed ai dolori, alle battaglie ed alle vittorie, alle difficoltà ed alle speranze dei latini di America è un fenomeno che sfugge al controllo degli uomini. È fenomeno di natura arcana. Noi italiani lo sentiamo ancora più oggi che l'Italia ha il suo emblema nel Littorio di Roma, la sua ragion di vita nella conservazione della Civiltà latina, la base del suo grande divenire nella grandezza e nella prosperità dell'intero mondo latino.

Ovunque i latini lottano per difendere la propria personalità, là sempre Roma è presente col suo spirito millenario, là sempre l'Italia è presente con l'eredità della sua storia, con la forza dei suoi istinti, con tutta l'ardente passione della sua anima, con tutta la fervida tenerezza del suo cuore.

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