L'ARRIVO DELL'IMPERATORE DELLE AMERICHE

Il sole tropicale che aveva sfavillato durante l'intera mattinata s'è spento sulle tre del pomeriggio in un corteo di nuvole grigie venienti dal Nord. E l'Avana ha assunto l'uniforme di acciaio delle sue giornate piovose. Però di tratto in tratto il sole fa capolino tra due nubi ed allora cielo e mare s'empiono di un sorriso che comunicano alle pietre, alle case, alle faccie degli uomini.

Trecentomila persone fasciano la marina con la loro massa irrequieta, riempiono le piazze e le strade, straripano dai parapetti dei frangi-onde sugli scogli e le sabbie, popolano i balconi, i tetti e le terrazze. L'entusiasmo latino e meridionale per gli spettacoli teatrali fornisce agli imbastitori di politica l'elemento fondamentale del successo: la moltitudine. Migliaia e migliaia di persone sono adunate in istrada come in un teatro, per vedere e farsi vedere, ma i corrispondenti dei giornali nord-americani possono credere in buona fede che la popolazione intera dell'Avana sia andata incontro a Coolidge! Non saranno certo i governi di Cuba e di Washington a smentirli. Un visibilio di bandiere multicolori freme sulla mole della città: bandiere d'Argentina e di Bolivia, del Brasile e del Cile, di San Domingo e del Nicaragua, di Haiti e del Panamá, dell'Uruguay e del Messico. Quelle degli Stati Uniti sono più numerose. Si vedono sventolare, grandi e superbe, in cima agli edifizi ed alle Banche a giustificare il miliardo e mezzo di dollari investito dalla finanza nord-americana nello zucchero e nelle ferrovie di Cuba.

La femminilità tropicale mostra per l'occasione i fiori più pregiati delle sue serre: bellezze creole che paiono fatte di miele e zabaione; bellezze mulatte che irradiano torbidi brividi di voluttà; bellezze nere che ostentano sotto i veli ed i rasi una statuaria di bronzo; bellezze meticcie che evocano lontanissimi idoli di templi e di pagode. Gli innumerevoli cappelli di paglia tracciano sulla folla un complicato groviglio di piste bianchiccie, in mezzo alle quali gli abiti delle donne formano aiuole policrome in continua metamorfosi. Musiche civili e militari sminuzzano per le strade briciole di sinfonie, frantumi di marcie, spruzzi di ballabili.

L'Avana ha tenuto a mostrarsi bella ai rappresentanti del gigante del Nord e delle repubbliche sorelle. Ha pitturato le sue case e verniciato le sue porte, ha curato il vaiuolo dei suoi asfalti e la calvizie dei suoi giardini, ha gallonato i suoi uscieri e vestito a nuovo i suoi soldati.

Sulla spianata del porto centocinquanta personaggi in cilindro che rappresentano le venti repubbliche dell'America latina, duecento giornalisti internazionali, stormi di fotografi e di operatori cinematografici, il Senato, la Camera, l'esercito, la marina, la magistratura, l'Università ed il presidente della Repubblica attendono il... monarca. Aeroplani cubani e nord-americani caprioleggiano nel cielo per far parere meno lunga l'attesa alla moltitudine. Sono gli acrobati ed i Clowns della rappresentazione. Il vecchio Morro di Carlo V contempla dalle sue pietre secolari la festa della città e gli scherzi della storia.

Alle quattro e venti l'imperatore delle Americhe, Calvin Coolidge, presidente degli Stati Uniti, entra in scena sulla tolda del «Texas», superdread-nought di 32.000 tonnellate. Ottanta colpi di cannone empiono lo scenario di tuoni, di lampi e di fumo. Colti da una specie di frenesia gli aeroplani e gli idroplani salgono, scendono, roteano, slittano sulle ali, si capovolgono, s'imbizzarriscono, saettano, tessono intorno al colosso navale una meravigliosa ragnatela di cerchi e di guizzi che fa pensare alla festa dei cani quando vanno incontro al padrone, alla gioia dei bimbi quando vedono un bel giuocattolo, alla terribilità del giuoco se fosse fatto sul serio. Dieci cannoni da 365 allungano le loro gole intorno alla torre binata che ha sul vertice la bandiera dalle quarantadue stelle ed al guidone l'insegna del Presidente degli Stati Uniti. Un minuscolo idroplano è agganciato tra i due alberi come il campione di una fabbrica.

Un incrociatore e sei cacciatorpediniere di alto mare scortano il Texas: in tutto 86 cannoni, 32 tubi lanciasiluri, 145 ufficiali, 2397 marinai. Accompagnano Coolidge, il Segretario di Stato Kellogg, l'ex Segretario di Stato Hughes, il Ministro della Marina ed il Comandante in capo delle flotte degli Stati Uniti. Poche miglia più lontano, in acque cubane, c'è la Divisione dell'Atlantico, con quattordici incrociatori. Un'altra squadra manovra tra Cuba ed Haiti.

L'imperatore è sceso a terra, non in divisa di ammiraglio o di generale, ma sotto le spoglie d'un ometto lisciato e sorridente che sembra il direttore d'un grande negozio della Rinascente. Non ha il manto d'ermellino dell'imperatore d'Inghilterra, ma un modesto abito grigio piombo con una cravatta da tre dollari. Non ha i baffi alla Kaiser ma un semplice paio di occhiali a stanghetta coi cerchi di tartaruga. È stato mandato qui dal popolo e dal Congresso degli Stati Uniti per distribuire strette di mano e sorrisi ai latini d'America e fin dal primo momento eseguisce ammirevolmente il suo mandato rifiutando che siano allontanati i fotografi.

«Lasciate, lasciate – dice – che questi bravi ragazzi facciano il loro lavoro! Aspetterò finchè l'ultimo fotografo abbia finito!».

Scroscianti applausi.

Durante tutto il percorso dal porto al Palazzo Presidenziale, Calvin Coolidge non interrompe un istante il suo sorriso. Lo spezzetta a destra ed a sinistra. Saluta con la mano la gente dei balconi, su, su, fino ai terrazzi, perchè tutta la folla abbia un pizzico del suo sorriso evangelico dopo aver assistito alla sfilata dei cannoni navali ed al rombante lampeggiamento delle artiglierie.

Egli viene all'Avana a mostrare ai rappresentanti ed alla stampa di venti Repubbliche latine di America la forza e la bontà degli Stati Uniti, fuse in un cocktail diplomatico di finissima fattura che è stato preparato apposta per la VI Conferenza inter-americana e che è destinato ad essere la bibita d'ordinanza di tutte le sedute.

Il lato comico di questa cosa seria è la nazionalità europea del chimico che ha trovato la formula del cocktail: l'ambasciatore cubano Oreste Ferrara, nato a Napoli e battezzato a Chiaia

Non si deve confondere questa VI Conferenza Internazionale di America con le altre cinque che l'hanno preceduta e che furono piuttosto inconcludenti. Può darsi che anche questa rassomigli in fatto di conclusioni alle altre, tuttavia essa è diversa – storicamente diversa – dalle precedenti perchè è basata sopra una situazione nuova. Situazione spirituale che non è ancora politica, ma che già determina mosse e risoluzioni politiche.

I due fattori fondamentali che definiscono il carattere el'importanza di questa riunione americana meritano di essere attentamente studiati da tutti i grandi paesi di Europa, in modo speciale dall'Inghilterra per ragioni d'ordine economico, spirituale e perciò anche politico. Essi sono:

1) La crescente diffidenza delle venti Repubbliche latine di America nei riguardi dell'imperialismo politico ed economico degli Stati Uniti; diffidenza inasprita dalle ultime vicende del Nicaragua, di Haiti, di San Domingo e del Messico; diffidenza aggravata dal fatto che ha le sue radici nell'istinto di conservazione delle moltitudini e che già costituisce per molti governi un problema di politica interna.

2) La sensazione d'isolamento che hanno avuto in questi ultimi tempi gli Stati Uniti di fronte alle vicende dell'Europa, dell'Asia e dell'America latina, al fallimento della Conferenza Navale tripartita, alla tendenza dei traffici mondiali di riprendere le correnti di ante guerra, alle difficoltà degli investimenti finanziari. Questa sensazione d'isolamento, gravida di possibilità politiche e di conseguenze economiche, ha indotto gli Stati Uniti a modificare la loro politica in generale verso l'America latina, in maniera da armonizzare i loro interessi strategici e commerciali con la necessità di mantenere amichevoli rapporti coi paesi e coi mercati dell'America Latina, cioè col resto del continente americano, che è il vero e forse l'unico campo di azione aperto alle ambizioni ed alle necessità degli Stati Uniti. L'obiettivo finale è la creazione di una solidarietà inter-americana a sfondo politico ed economico contro il pan-latinismo, l'ispano-americanismo e l'attività dell'Inghilterra. Si tratta quindi di una modificazione della politica americana di Washington che ha l'aria di voler essere sostanziale. I fatti dimostreranno se essa è possibile.

In ogni modo è bene che i popoli latini prendano nota che Calvin Coolidge, in nome degli Stati Uniti, ha preso la bandiera del pan-americanismo che era finora il vessillo di una idea e l'ha consegnata ufficialmente al governo di Washington perchè d'ora innanzi stia esposta negli uffici di tutti i dirigenti della politica, della finanza, della diplomazia, della religione e dell'espansione della Repubblica.

Ecco la cronaca spicciola della seduta inaugurale della VI Conferenza Internazionale d'America, non come appare dai resoconti ma come l'ha vista un testimonio europeo, italiano e latino, che in quel momento ha dimenticato di essere italiano ed europeo per essere solamente latino.

Il locale prescelto è il massimo teatro dell'Avana, nel quale fino ad ieri sera trionfavano i nudi delle Legfeld Folies di Nuova York e domani inizierà i suoi spettacoli una Compagnia d'opera italiana.

Il teatro è gremito di signore in abito di cerimonia e di signori in tait. Molte aigrettes profumate solleticano i cranii calvi del sesso forte. Lo sfondo del proscenio è adornato con le ventun bandiere dei paesi di America, disposte in ordine alfabetico, per cui la potente bandiera degli Stati Uniti si trova fra quelle dell'Equatore e del Guatemala. Molti occhi guardano i colori del Nicaragua. I centottanta delegati, i duecento giornalisti accreditati alla Conferenza ed il corpo diplomatico occupano la platea. Consoli e viceconsoli cubani fanno gli onori della sala. Fuori c'è la folla. Quattro apparecchi radiofonici ultrapotenti permettono al volgo di udire la parola di Calvin Coolidge e la trasmettono istantaneamente a Nuova York, Chicago, Filadelfia, Baltimora, Pittsburg.

Nessun applauso saluta l'entrata delle singole Delegazioni latine. Passano inosservati anche il Brasile e l'Argentina. Un grande applauso saluta il Presidente della Delegazione nord-americana Hughes, l'ambasciatore Ferrara – il chimico del cocktail – ed il ministro cubano dei Lavori Pubblici, candidato alla Presidenza della Repubblica, il che dimostra che per la folla i piccoli interessi locali non spariscono di fronte ai grandi interessi mondiali, così come le necessità fisiche del corpo sopravvivono alle più grandi preoccupazioni dello spirito.

Gli alti personaggi nord-americani sono allineati sul palcoscenico dietro i seggi dei presidenti degli Stati Uniti e di Cuba. La disposizione generale della sala dà l'impressione di una scolaresca latina riunita per ascoltare la lezione di un professore anglo-sassone.

I colletti dei diplomatici e dei delegati tradiscono l'ubicazione tropicale della Repubblica di Cuba.

Naturalmente l'entrata dei due Presidenti suscita una ovazione, alla quale partecipano in modo speciale le signore ed in modo specialissimo le signore giovani che sono contente della mattinata.

La cronaca registra due discorsi, uno breve pronunziato in lingua spagnuola dal Presidente della Repubblica di Cuba generale Machado, l'altro discretamente lungo detto in inglese dal Presidente degli Stati Uniti.

Il Presidente Machado, latino di origine spagnola, parla senza un gesto. Sembra un anglo-sassone. Il Presidente Coolidge, autentico anglo-sassone, agita con frequenza le mani e le braccia.

Uguaglianza, giustizia internazionale, libertà, sovranità dei piccoli Stati, fratellanza americana, trionfo del Diritto, ecc. ecc. sono parole e frasi che spesseggiano nei due testi, come spesseggiavano nei discorsi di Clemenceau, Lloyd George, Balfour, Wilson, ecc, durante la grande guerra. Entrambi i discorsi sono il prodotto laborioso dell'alchimia diplomatica, però un orecchio europeo avverte nel discorso del Presidente latino la preoccupazione – malgrado tutto – di non deludere in pieno le folle latine di America e nel discorso del Presidente anglo-sassone la preoccupazione di servire – malgrado tutto – il salmì in salsa agro-dolce. In due punti il dolce sorpassa l'agro e le venti Repubbliche latine prorompono in ovazioni interminabili che hanno il loro bravo significato. Al mio fianco una vecchia signora addormentata dalla voce monotona di Coolidge, si sveglia di soprassalto e balza in piedi esterrefatta gridando:

— Viva! Viva!

— Viva chi, signora?

Poi l'esposizione del Presidente Coolidge continua, burocratica, paterna, accademica, pastorale, evangelica. Nessun sorriso altera la serietà rigida dell'uomo che sa di rappresentare in questo momento il popolo strapotente e ricchissimo degli Stati Uniti nell'esercizio del suo magistero americano, che sa di essere arrivato a Cuba con la pompa di un Imperatore, che inavvertitamente assume nel parlare il tono solenne del Pontefice Massimo.

Nell'uscire sulla piazza piena di sole penso alla forza del Dollaro ed all'aureola dei banchieri.

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