LE ISOLE DEL RAGGIO VERDE

— È la sera dello smeraldo! È la sera dello smeraldo!

La donna che ho trovato a bordo e con la quale vivo per ventiquattr'ore il mio sogno delle Antille osserva ogni tanto il cielo e poi ripete come un ritornello:

— È la sera dello smeraldo!

La lascio dire. Non credo vi siano due smeraldi più belli dei suoi occhi verdi di meticcia d'Haiti che splendono sotto le sopracciglia scure. Le lunghe ciglia fanno come uno scrigno d'ombra intorno alle due gemme. Il viso è pallido, di quel pallore strano che hanno le meticcie quando sono già alla quarta generazione e le ultime goccie di sangue indio stanno trascolorando nelle vene.

Veste alla parigina, coi capelli corti e le labbra tinte. Abito e pettinatura non sono fatti per la sua bellezza di femmina tropicale che ha il marchio della sensualità nel cerchio degli occhi, nelle alette del naso, nella procacità delle forme, in tutte le movenze feline del corpo. Appena s'intravede in lei un barlume d'anima. La carne fiorente trasuda dai pori giovani la sua gloria. Navighiamo sul ventesimo parallelo, tra Giamaica ed Haiti sopra un vecchio vapore cubano che a forza di trasportare zucchero crudo e braccianti neri si è impregnato dei due odori. È un rispettabile steamer tedesco che dopo aver fatto il suo dovere per vari anni nel Mar del Nord fu venduto ad una Compagnia d'Estremo Oriente per far la spola tra Manilla ed Hongkong. La guerra lo sorprese nelle Filippine e fu catturato dai nord-americani ai quali fu assegnato a Versailles. Ora ha cambiato il mar di Cina per il mare dei Caraibi ed incomincia a gemere sotto il peso degli anni e delle tempeste.

Oltre la meticcia vi sono a bordo tre nord-americani e due britannici. Uomini d'affari i primi che vanno a comperar terre ad Haiti, approfittando della miseria del paese e delle buone disposizioni del presidente Borno; banchieri di Filadelfia, con faccie di pastore evangelico e con una sete perenne da cammelli: sete d'alcool s'intenda. I due inglesi sono invece appaltatori di mano d'opera nera per la campagna zuccheriera di Cuba, autentici negrieri moderni in regola con la legge scritta, ma al bando di quella morale. Nati nelle isole Bermude – antica terra di corsari e di negrieri – hanno per questo genere di affari un fiuto straordinario che è il retaggio di diverse generazioni,

I cinque cugini anglo-sassoni spengono il loro spleen nella stessa bottiglia di whisky e sono regolarmente ubbriachi marci dalle quattro in poi del pomeriggio, con la differenza che gli yankees rotolano verso le dieci sul tappeto bisunto del salone mentre i british si ritirano un quarto d'ora prima della catastrofe nelle loro cabine. E quel quarto d'ora di differenza caratterizza la diversità delle due razze.

Il comandante è un catalano nazionalizzato cubano, il secondo un ligure nazionalizzato cileno, il terzo un tedesco che deve essere russo. I marinai sono meticci o negri, i camerieri cinesi, il cuoco e gli sguatteri indios del Messico. Nel secolo degli Olimpic e degli Augustus il nostro vapore è, come nave e come equipaggio, una rarità da museo. I mari delle Antille hanno ancora qualcuno di questi superstiti della metà del secolo decimonono.

I due smeraldi della meticcia sono le uniche cose belle di bordo, ma nessuno ci fa caso all'infuori del ligure-cileno. E di me. Il ligure-cileno – calvo, rasposo, mezzo zoppo e con tutti i denti d'oro – è un avversario senza peso. Abbiamo in terza un carico di neri di San Domingo che appartiene ad uno degli inglesi ed un carico di neri di Giamaica che appartiene al suo compagno. Ogni tanto Giamaica e San Domingo si danno legnate da orbi sui ponti di poppa. Allora la meticcia si raccomanda a San Cristóbal de Palos od alla Purisima de la Macarena. Si vede comparire sulla porta della cucina il cuoco messicano che ride e si gratta. I tre banchieri di Filadelfia puntano un pugno di dollari sopra uno o l'altro dei gruppi contendenti; i camerieri cinesi fanno altrettanto con una manciata di centavos; i due inglesi distribuiscono multe che entrano nelle loro tasche. Terminata la battaglia, il comandante manda un mozzo con un secchio e la ramazza a lavare le macchie di sangue. Il mare è un indaco cupo, stracarico di blu di Prussia. Il cielo è un indaco chiaro, marezzato di bambagine bianca. L'aria è umidissima e calda. Ogni due ore la meticcia alleggerisce la sua toilette. Il ligure-cileno mi assicura che la se ñ orita non adopera biancheria. Lo vedo infatti che spesso manovra strategicamente per sorprendere la donna contro il sole, quando l'oro luminosissimo del Tropico vince la trasparenza della seta ed offre agli sguardi avidi il nudo statuario della femmina, appena velato da un diafano schermo. Un carico di tabacco sotto vento diffonde sui ponti un sottile profumo di fumeria clandestina. Il respiro asmatico della nave accompagna ogni passo dell'elica.

Attraversiamo uno specchio di mare che è famoso nella storia per le terribili battaglie che v'hanno combattuto le flotte di Spagna, di Francia, d'Inghilterra e di Olanda. Innumerevoli avventurieri con stoffa di grandi capitani e di grandi briganti giacciono in fondo a questi abissi, sui quali il nostro Manzanillo porta a passeggio la sua tarlata carcassa di cimelio navale. Eroi foderati di corsari e viceversa avevano negli arcipelaghi e nei canali delle Antille un superbo campo di azione nel quale il lucro e la gloria, la rapina ed il valore, la grandezza e la bassezza d'animo, bruciavano pazzamente in perenni fiammate sullo sfondo mezzo storico e mezzo equivoco delle competizioni nazionali e delle gelosie dinastiche.

Proprio dove ora stiamo passando un avventuroso uomo di Genova, nominato dallo Stato di San Domingo grande Ammiraglio, si rese celebre con un gesto d'audacia che tuttora si tramandano di padre in figlio i marinai delle Antille ed i pescatori dei Caraibi. Haiti e San Domingo erano in guerra. La flotta di San Domingo era schierata nella Playa de Caracoles. L'ammiraglio Cambiaso – bel cognome ligure – doveva comunicare al Governo di San Domingo notizie d'estrema urgenza e s'imbarcò audacemente sopra una barchetta da pesca per raggiungere la capitale senza che il nemico s'accorgesse della sua assenza. Al largo la barchetta incontrò una squadra inglese di ventidue vascelli. Il genovese alzò sulla propria vela la sua insegna di ammiraglio. La squadra britannica proseguì la sua rotta senza far caso al trabaccolo. Allora il Cambiaso tagliò la rotta al vascello ammiraglio e ripetè la manovra diverse volte, finchè l'ammiraglio inglese fece scendere in mare una scialuppa e mandò un ufficiale a vedere chi fosse quel pazzo.

Quando l'ufficiale inglese fu accanto alla barca, il Cambiaso lo investì severamente: – Da quando in qua una flotta inglese non saluta un ammiraglio di Genova? Non vedete sul pennone la mia insegna? Dite al vostro ammiraglio che se entro cinque minuti non mi rende il saluto dovuto al mio rango, avrò l'onore di colarmi a fondo dinanzi alla squadra di S. M. Britannica!

Cinque minuti dopo il vascello ammiraglio britannico innalzava il gran pavese e l'ufficiale ritornava presso la barchetta:

— Il commodoro m'incarica di salutarvi e di dirvi che siete l'unico ammiraglio del mondo che è stato capace di fermare una squadra di S. M. obbligandola a salutarlo!

Altri tempi. Meno progrediti, ma non meno civili. Gli uomini avevano un sentimento altissimo dell'onore di fronte al quale la vita non aveva prezzo ed avevano una visione estetica dell'esistenza che faceva germogliare spontaneamente il bel gesto. San Domingo ha dedicato una delle sue piazze all'uomo di Genova che con una barca da pesca si fece salutare da sette vascelli! Qualunque scugnizzo color cioccolatto della Repubblica vi sa raccontare la storiella che ha scolpito il nome dell'uomo nella memoria degli isolani.

Verso le cinque il cielo ed il mare sono colti da una specie di brivido che fa impallidire il turchino dell'acqua e la turchese del cielo. La mia sensibilità d'innamorato della Natura mi avverte che il giorno è entrato in agonia e che incomincia il quotidiano dolcissimo miracolo del tramonto. Nei Tropici la fine del giorno è sempre una visione di incanto, ma nelle Antille ha una dolcezza speciale; un po' torbida e quasi lasciva, che turba stranamente oltre l'anima anche i sensi. In quell'ora le donne di questi paesi acquistano, senza rendersene conto, un languore strano il quale dà alla loro bellezza un po' troppo carnale un che di affaticato e di stanco che la rende più interessante.

Appoggiato alla battagliola della nave mi assorbo nella contemplazione del mare e del cielo per ascoltare la musica dell'Infinito.

— Anche voi volete vedere lo smeraldo? – mi chiede la meticcia avvicinandosi.

— Quale smeraldo, señorita?

— Lo smeraldo delle Antille. Stasera è cielo sereno e si vedrà!

Le Antille sono infatti il regno del famoso raggio verde cantato dai poeti. Io però non l'ho mai veduto. Avana e Santiago mi hanno offerto tramonti magnifici, degni di Napoli, di Cairo, di Giava, ma niente raggio verde. Ho finito anzi per credere che si trattasse di una fantasia.

La donna s'è buttato sulle spalle uno scialle di Manila a grandi fiori scarlatti che le incornicia il volto e le forme dentro un roseto. Nella luce del tramonto il suo pallore ha i riflessi della vecchia ambra. Più grandi sembrano i suoi occhi. Più grandi e più dolci. Un'ombra di fragilità attenua la floridezza della sua gioventù e la spiritualizza. Una profondità improvvisa è apparsa nei suoi meravigliosi smeraldi che sono attraversati anch'essi dal medesimo brivido che ha soavizzato il mare ed il cielo.

Le bambagine bianche che caprioleggiavano sull'orizzonte si sono ritirate in un angolo e formano una specie di grande cirro che ricorda quei fiocconi che le mamme appuntano al fianco o sul dorso delle loro bimbe. Là dove il sole sta abbassandosi il cielo è di una serenità così assoluta che la linea di demarcazione fra l'atmosfera ed il mare è precisata con straordinaria nettezza. Le tinte del tramonto, che non hanno presa in nessuna nebbia ed in nessun vapore, si stemperano squisitamente nell'aria, nel cielo e nell'acqua, dando ai tre elementi una colorazione indefinita a fondo rosa e miele, nella quale però sono sospesi tutti gli altri colori che si vedono e non si vedono. Si direbbe che più che altro si sentono! Il risultato di questo fenomeno è un'atmosfera soavissima di cammeo allo stato fluido. Bellezza e grazia sono diffuse nell'aria. Ed in mezzo a questa luminosità celestiale l'ostia di fuoco s'abbassa con maestosa lentezza.

Nessun vapore la ingrossa. Nessuna nebbia l'appanna. Fino all'ultimo momento il sole rimane il medesimo astro sfolgorante del giorno, il medesimo disco d'oro ardente, lo stesso formidabile sferoide incandescente.

Non è un tramonto teatrale e non è neppure un tramonto pastoso di lacche e di mezze tinte. È un tramonto completamente diverso da tutti gli altri che fa quasi pensare al paradossale capovolgimento di un'aurora.

Quando l'ostia lambisce la superficie dell'acqua e v'incunea il suo primo spicchio, un gran fiume d'oro si scioglie nel mare. Trasparenze di madreperla vetrificano immensi tratti dell'orizzonte e pare che al di là di essi vi siano straordinari quadri di magnificenza che non son fatti per gli occhi degli uomini.

Il disco diventa un arco che impicciolisce rapidamente. E quando nel cielo non v'è più che la solita ghiandetta di brace di tutti i tramonti, si compie il miracolo delle isole del raggio verde. La ghianda d'oro e di porpora – rubino dello spazio nel quale è concentrato il sangue degli astri – si trasforma fulmineamente in un enorme e verdissimo smeraldo che dura solo pochi istanti, ma che empie del suo baleno il mondo.

La volontà vorrebbe eternare quella meraviglia che per un attimo dà all'uomo la sensazione di che cosa sarebbe il globo se il sole fosse verde. Ma l'attimo fugge. Inesorabilmente.

Se la giornata sarà serena lo smeraldo delle Antille riapparirà per un altro istante domani; se no fra una settimana, fra un mese, fra due...

Guardo gli occhi della bella meticcia. Ma i suoi smeraldi mi sembrano due fredde pietre senza luce, ora che ho visto uno degli occhi di Dio.

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