UNA TAVERNA A PORTORICO

Palme e cemento. Tropico e Stati Uniti d'America. Noci di cocco ed automobili Ford. Danze del Congo e proibizionismo. Grandi alberghi tipo New-York e baracche di legno tipo centro Africa. Smoking e bimbetti nudi. Milionari di dollari e poveretti che vivono con un paio di banane. Ecco l'impressione che s'ha di San Juan, capitale dell'isola di Portorico!

Il sole, il mare, le palme ed i fiori tropicali compongono gli scenari i quali incantano il poeta e giustificano agli occhi dei turisti i conti salati degli alberghi.

Siamo in terra yankee. Ci vuole cioè un permesso speciale per sbarcare e bisogna riempire un modulo gigantesco nel quale vi domandano se siete anarchico, se avete suocera, se fiutate tabacco, quante volte vi cambiate di camicia, che numero di colletto portate e se usate mutande lunghe o corte al ginocchio. Non solamente dovete scrivere tutte queste belle cose, ma trovate un funzionario che le legge con attenzione e che segna in margine alle vostre risposte la propria impressione personale.

— Italiano? mi chiede il delegato nord-americano.

— Italiano!

— Di che razza?

— Di razza... italiana!

La risposta deve essere irrispettosa perchè il funzionario yankee mi squadra con occhio accigliato e leggo un lampo di meraviglia nello sguardo del suo aiutante mulatto.

— Sapete che vi sono due razze in Italia?

— È la prima volta che lo sento dire.

— La razza del Nord e la razza del Sud. Siete della prima o della seconda?

Confesso che dopo diciotto anni di vagabondaggio pel mondo mi sono sentito per la prima volta imbarazzato dinanzi ad una autorità costituita, incerto se scoppiare in una risata alla Petrolini, di quelle che danno aria ai polmoni allo stomaco ed al piloro, o farmi montar alla testa quel cotal sangue di Turiddu che fermenta nelle vene d'ogni buon italiano, anche se è nato nella valle d'Aosta. Poi ho pensato che era conveniente non uscire dall'allegretto non troppo della conversazione.

— Senta, commissario, non sapevo che ci fossero due razze in Italia ma ora che lei mi spiega capisco perfettamente. Io sono della terza razza.

— Terza razza? Non esiste la terza razza. Il regolamento non parla che di due razze. Nord e Sud.

— Le assicuro che sono della terza, signor commissario.

— Che si chiama?

— Razza del Centro, oppure etrusca.

Il biondone trascrive diligentemente la dichiarazione della terza razza etrusca, ma mi autorizza a restare a Portorico solamente trenta giorni benchè io abbia il visto di un Consolato generale degli Stati Uniti valido per un anno di soggiorno nel territorio della Unione. Evidentemente il funzionario ha visto torbido in un italiano che non appartiene a nessuna delle due razze indicate nel regolamento.

All'albergo nord-americano dove mezz'ora dopo prendevo alloggio non mi hanno invece domandato a quale razza italiana appartenessi. Si vede che quando si tratta di pagare fior di dollari tutte le razze si equivalgono.

San Juan di Portorico, mezzo spagnuola, mezzo nord-americana e mezzo nera, è una vezzosa cittadina tropicale. Grazia mulatta.

Potrei ora parlarvi del partito separatista portorichegno che non vuole saperne della ferrea dominazione degli Stati Uniti o del partito moderato che vuole fare dell'isola una delle tante stelle dell'Unione o del partito yankista che è entusiasta dei cementi armati e delle leggi degli Stati Uniti, ma francamente sono questioni molto lontane dall'Italia e che ci interessano fino ad un certo punto. Non è vero? Potrei anche raccontarvi le confidenze che mi hanno fatto gli isolani sulla loro dorata miseria che li fa vivere in un'atmosfera di falso lusso, ridotti in fondo a lavorare tutto il santo mese solamente per pagare le innumerevoli rate mensili dell'automobile, della pianola, della victriola, della radio, del telefono automatico, delle diverse macchine elettriche per far gelati, stirare e preparare il toast che la civiltà e l'industria degli Stati Uniti hanno appioppato ai pacifici abitanti di Portorico – bianchi, neri e mulatti – i quali ieri lavoravano di meno e mangiavano di più, godendosi in santa pace il rhum di canna, i fiori del Tropico e le donne delle Antille!

Ma preferisco condurvi in una... taverna. In una taverna secca dell'America asciutta, nella quale gli Stati Uniti mi hanno mostrato alcuni lati caratteristici della loro super-civiltà.

In un paese nel quale bere un bicchiere è un delitto contro le leggi dello Stato, le taverne si chiamano in genere ristoranti vegetariani, farmacie, case private, laboratori chimico-terapici, magari uffici elettorali. Qualsiasi cosa insomma, meno che taverna. Nel nostro caso la taverna è un ristorante.

Tre quarti dell'ambiente sono occupati come in tutti i ristoranti da tavolini (con tovaglie e salviette di carta) intorno ai quali uomini d'affari in maniche di camicia mangiano minestre di avena e legumi in scatola e bevono... acqua. L'altro quarto è occupato da un banco che sembra un qualsiasi banco di bar. Riconoscete infatti negli scaffali le bottiglie caratteristiche e le etichette tipiche dei vini, dei vermuth, dei liquori, delle birre e dei rosoli più in voga nella terra, ma se un agente del proibizionismo piombasse come un fulmine nel bar e facesse aprire una dopo l'altra tutte queste bottiglie constaterebbe che esse sono perfettamente in regola con la morale degli Stati Uniti, che cioè contengono vermuth, vini, birre, curaçao, gin, pipermint, ecc. ecc. senza una gocciola di alcool.

Rispettoso della legge voi ordinate una bottiglia di birra Pilsen de-alcoolizzata. Avete la bottiglia, avete l'etichetta, il tappo, l'orzo, il luppolo ed il conto da pagare, tutto in perfetta regola. Se nel taschino del vostro panciotto o magari nella penna stilografica avete quel tanto di alcool che manca, voi fate coram populo la vostra brava miscela, con la imperturbabilità del signore che prende le goccie iodo-saliche e bevete alla salute degli Stati Uniti una pessima birra, alcoolizzata a dovere.

Non conosco i segreti della polizia proibizionista e quindi non so quali difficoltà reali vi siano negli Stati Uniti per procurarsi quella cosa delittuosa che è un po' d'alcool. Ma a Portorico è certo più facile procurarsi l'alcool che l'acqua potabile! Immaginate un'isola delle Antille, produttrice di zucchero, che ha nella canna la materia prima dell'alcool a cento gradi e che per di più è circondata da altre isole, grandi e piccole, le quali in fondo non fanno altro che produrre alcool, agua ardiente, rhum, melasse, zucchero, saccarine, saccarosi, ecc. ecc.

A mio modesto parere di latino, discendente cioè di quei grandi maestri legislatori che furono ed ancora sono i romani, una legge che per forza di cose è inapplicabile dovrebbe cessare d'essere una legge, altrimenti si prende in giro la Legge e si abitua i cittadini a fare altrettanto.

Però la mia taverna m'ha riservato altre scoperte. Seduto tranquillo tranquillo al mio tavolo, accanto al bancone nichelato del bar, occupato a lottare con una bistecca nord-americana di toro congelato, vedevo gente entrare ed uscire ed ordinare a voce alta con la maggiore tranquillità del mondo un litro di vermuth, una libbra di Graves, mezza dozzina di bottiglie di curaçao, un quarto di gallone di whisky, una pinta di rhum. Ad ognuno il padrone consegnava un bell'involto, incartato a puntino. La prima volta immaginai che fosse una vendita clandestina e quasi mi felicitai con me stesso per avere scelto fra i cento ristoranti di Portorico proprio quello che fa il contrabbando. Peccato non essere detective! Che occhio! Che intuito! Ho forse sbagliato di professione? Poi la cosa mi sembrò fatta troppo in grande ed allo scoperto e volli averne la coscienza netta.

— Padrone, un litro di vermuth!

— Gusto italiano o francese?

— Italiano.

— Cinzano o Martini e Rossi?

— Campari, se è possibile!

Un minuto dopo l'uomo mi consegnava una bella latta con sopra scritto a caratteri cubitali: vermuth italiano, tipo Campari.

E l'amabile padrone mi spiegò la faccenda. Vale la pena di conoscerla.

— Non sapete fare il vermuth? – mi domandò con aria quasi esterrefatta Mr. Stemson. – È semplicissimo. Con questi barattoli voi potete fare in casa vostra qualsiasi vino, dolce od asciutto, rosso o bianco, da pasto o da dessert: gli alicanti, i Barbera, i Gragnano, i Rionero, i Riessling, i Capri, i Chianti, i Freisa, i Grignolino, i Nebiolo, i Lacrima-Crysti, i Sauternes, i Graves, i Barsac... Ognuna di queste latte contiene l'uva concentrata della qualità che risponde al tipo di vino da voi desiderato. Ed ogni latta vi spiega chiaramente sull'etichetta come dovete fare per avere il vino. Leggete. Basta aggiungere l'acqua, lo zucchero, far fermentare, poi spinare e bere. Bere allegramente, in barba a tutte le leggi.

Ed infatti leggo (traduzione letterale): «Per fare un buon vermuth mettete in un barile ben pulito e senza coperchio dieci galloni di questa uva concentrata, trenta galloni di acqua tiepida, cinquanta libbre di zucchero granulato. Lasciate fermentare il vino per dieci giorni, mescolandolo ogni tanto con un bastone. Travasate e teneteli in luogo fresco. Dopo venti giorni chiarificate e filtrate. Il vostro vermuth è pronto.» Seguono altre istruzioni per chiarificare, filtrare, mettere in barile, imbottigliare e così via.

L'amabile padrone, lieto di aver trovato un nuovo cliente, ordina al cameriere un brodo speciale e mi portano un vermuth in tazza.

— Lo assaggi. Vedrà che è buonissimo. Questo però l'ho fatto invecchiare. Ha sei mesi di barile. E tenga questo opuscoletto con le istruzioni per fabbricare i moscati spumanti di Canelli, i rossi spumanti tipo Lambrusco, gli aleatici, i malaga, i tokay, i moscatelli passiti.

— Dica, ma i filtri, i barili, le damigiane, dove si possono trovare?

— Tutto qui. Guardi. Ecco i bariletti con tanto di spina! I filtri di amianto sono lì in vetrina. Con gli acidi per la pulitura dei recipienti. Coi tappi. Con le etichette. Tutto il necessario insomma.

— Ma non è proibito vendere il vino?

— Proibitissimo!

— E questo non è proibito?

— Macchè! Lei vede che la vendita è pubblica.

— Ma con questo si fabbrica il vino!

— Perfettamente.

— Ed allora?

— Allora niente. La legge proibisce la vendita del vino e dei liquori. E la vendita dell'alcool. Non la vendita delle uve concentrate, nè di oggetti così innocenti come i barili, le spine, i filtri, i tappi, le etichette. Ci vorrebbe un'altra legge del Congresso, ratificata da tutti gli Stati dell'Unione. Una cosa impossibile. Noi andiamo in galera se vendiamo vino pronto, ma siamo liberi di vendere il necessario per farlo, di insegnare come si fa, di fare propaganda nei giornali, sui muri, nei cinematografi a questa trovata geniale con la quale alcuni italiani della California sono diventati arcimilionari di dollari e benemeriti del popolo degli Stati Uniti. Faccia però attenzione quando ha fatto il vermuth di non offrirlo ai suoi amici. Lei metta la sua brava bottiglia sopra un tavolo coi bicchieri. Loro entrano, sanno il trucco, si versano da bere e trincano. Sono loro responsabili delle loro azioni. Se è invece lei che offre può cascare sopra un agente proibizionista ed andare in galera. Ha capito?

Sì, ho capito! nella taverna secca dell'America asciutta ho capito molte cose dell'America che fino allora m'erano sembrate incomprensibili. Questioni di vino pronto e di vino da prepararsi! Ho capito come mai Calvin Coolidge possa inaugurare la VI Conferenza Panamericana in nome degli Stati Uniti, proclamando l'uguaglianza dei ventun Stati d'America sulla piattaforma dell'indipendenza assoluta e della giustizia evangelica, e come mai Charles Evans Hughes possa chiudere la medesima Conferenza, proclamando brutalmente in nome degli Stati Uniti il diritto d'intervento in tutti paesi dell'America centrale, ogni qualvolta lo esigano gli interessi collettivi degli Stati Uniti o gli interessi individuali di un cittadino degli Stati Uniti. Ho capito perchè un Bill possa classificare fra i tipi umani di seconda categoria gl'immigranti di razza italiana che appartengono al popolo più illustre, più intelligente e più civile del mondo e che hanno creato col loro lavoro interi Stati della Confederazione nord-americana. Questione di vino già pronto! Ho capito perchè la statua della Libertà simbolizzi il paese nel quale sono proibite diverse fra le libertà fondamentali dell'uomo. Si tratta di intendersi! Quante cose non ho capito nella taverna di Portorico!

Taverna veramente indimenticabile, per le orribili colazioni nord-americane che v'ho fatto; per le solenni sbornie che v'ho visto prendere da elegantissime dame che avevano l'alcool nella borsetta e che dosavano con generosità le Pilsen de-alcoolizzate; per il corso superiore di ipocrisia stilizzata che m'ha dato; per le molte volte che m'ha fatto sentire l'orgoglio d'appartenere alla vecchia Europa intelligente la quale, con tutte le sue manchevolezze e con tutti i suoi difetti, resta la maestra del mondo.

Nella nostra bella Italia si berrà con tutta probabilità dell'eccellente vino fino alla consumazione dei secoli per due ragioni fondamentali: 1° perchè il buon Dio lo ha creato; 2° perchè l'italiano è un tipo umano già tanto civilizzato in profondità da poter bere senza finire ubriaco. Ma se domani, per una ipotesi impossibile, una legge italiana dovesse proibire il vino, quella legge avrebbe l'impronta delle grandi leggi romane. Sarebbe cioè logica ed intelligente. Abbraccerebbe lo spirito e la lettera. Proibirebbe automaticamente il vino e tutti gli imbrogli per prendere in giro la maestà della Legge e la dignità del governo che deve applicarla.

In questa differenza, che significa tante cose, sta il primato della vecchia civiltà europea alla quale si possono togliere l'oro e le macchine senza che essa perda gran che, giacchè non è solamente espressione di grandi mezzi materiali ma è soprattutto il risultato di un perfezionamento morale, spirituale ed estetico acquisito durante il lento volgere dei secoli.

Ma l'Europa ha perso la guerra e l'hanno vinta gli Stati Uniti! Anche questa è una questione di vino pronto e di vino da prepararsi.

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