La protezione della principessa imperiale le aveva permesso di ottenere tre metri quadrati di terra nel cimitero di Aoyàma-Bógi. Era in quel cimitero abbandonato che aveva conosciuto Roberto, in una dolce sera di aprile, mentre erano in fiore tutti i ciliegi. In quel cimitero Roberto e lei erano andati tante volte sul crepuscolo ad incastonare il loro amore nel silenzio e nell'ombra. Lui approfittava dell'oscurità del luogo per prenderle la mano o per cingerle la vita come usano gli uomini d'Occidente. Una sera le aveva detto: «Se morissi a Tokio vorrei essere sepolto a Aoyàma-Bógi e mi parrebbe di rinascere ogni primavera quando fioriscono i ciliegi!» La frase le era rimasta impressa ed era diventata la sua idea fissa da quella sera terribile nella quale le avevano portato a casa in un feretro chiuso il corpo spappolato di Roberto. Il numero della macchina aveva indicato ai poliziotti di Enoscima la provenienza di quella carne informe che le punte degli scogli trattenevano agganciata a fior d'acqua e che le onde lavavano con il loro continuo andare e venire. Yu-rí aveva drizzato accanto al letto mortuario della madre il letto mortuario del figlio. Avrebbe voluto sotterrare Roberto alla giapponese, cremarlo, raccoglierne le ceneri in un vasetto di agata, ma alcuni signori altezzosi venuti dall'Ambasciata di Francia le avevano detto di non occuparsi di ciò che non la riguardava, e una volta portati via i due cadaveri l'avevano invitata ad abbandonare la casa.
Ne era uscita, infatti, ma un mese dopo, aiutata dal vecchio Kiyòsci, aveva potuto parlare con l'ambasciatore di Francia. E gli aveva chiesto di poter trasferire ad Aoyàma-Bógi i resti di Roberto «come Roberto le aveva ordinato». Sua Eccellenza, che aveva il cuore debole verso le belle giapponesi, s'era consultato col primo consigliere, e alle difficoltà burocratiche mosse dal suo subalterno aveva contrapposto il «caso di coscienza» di aderire al desiderio di colei «alla cui cooperazione l'Ambasciata sapeva di dovere quel famoso documento che era stato l'ultimo brillante servizio del maggiore Roberto Namura».
E Yu-rí aveva avuto i resti di Roberto.
— Volete anche quelli della signora, sua madre? – le aveva chiesto Sua Eccellenza.
— È giusto che una madre riposi accanto a suo figlio! – aveva risposto Yu-rí.
Madre e figlio dormivano, infatti, l'una accanto all'altro in mezzo ai crisantemi nel quadratino di terra intestato a Yu-ri-sàn Kawakàma.
Chiuse le tombe, Yu-rí era tornata ai suoi pennelli e alle esposizioni di arte. Dipingeva esclusivamente crisantemi e li ritraeva dal vero sui crisantemi rari che ornavano la tomba di Roberto. Piccola creatura fine ed elegante, continuava a portare in giro per le esposizioni d'arte i suoi deliziosi kimono verdi e celesti, stampati a glicini e ad azalee, ingioiellati dal suo sorriso di bambola del Sol Levante, ma il conte Ayara, che aveva fatto chiedere alla signora Mi-zu-kò la mano della figlia del commodoro Kawakàma, aveva ricevuto la risposta che Yu-ri-sàn Kawakàma, grata dell'onore fattole, non poteva accettarlo avendo la parola già impegnata.
Erano passati cosí i mesi e gli anni.
Già quattro volte era tornata la primavera. Nel cimitero di Aoyàma-Bógi i ciliegi erano nuovamente in fiore. Durante tutto il giorno il cimitero era stato pieno di folla: uomini, donne, ragazzi, famiglie intere che erano venute a contemplare la «divina fioritura»: quella bianca dei ciliegi semplici e quella rosa dei ciliegi doppi. La dolcezza della serata aveva trattenuto molta gente fino a notte, ma a poco a poco anche i piú restii avevano finito per andarsene. E Yu-rí era rimasta sola.
Le quattro lampade funerarie accese accanto alla tomba illuminavano il suo bianco kimono di lutto e formavano intorno al cippo sepolcrale un alone di luce livida nella quale i grandi crisantemi assumevano una fantastica tinta magnesiaca che li faceva sembrare di vetro. Un frequentatore dei saloni d'arte avrebbe riconosciuto in quei fiori i «crisantemi spettrali» di Yu-ri-sàn Kawakàma che quell'anno costituivano il grande successo dell'Esposizione imperiale di Pittura.
Ricorreva quella notte il quarto anniversario della morte di Roberto, il quarto meiníchi.
Yu-rí sapeva che in occasione dei meiníchi gli «spiriti dei morti» hanno l'abitudine di abbandonare i «grandi campi oscuri» – il Meidò – e di venire in terra, intorno alle loro tombe a controllarvi se il loro ricordo sia ancora vivo nel cuore dei familiari e dei discendenti. Gli «spiriti» traggono da questa constatazione un godimento di essenza arcana e se ne tornano piú leggeri ai «grandi campi oscuri» donde pian piano trapasseranno con lo scorrere del tempo nell'«immenso silenzio» che è la fine ed è anche il principio della vita umana. Lí, vanno i Morti. Di lí, vengono i nuovi Vivi. Per la eternità delle eternità... Yu-rí sapeva anche che un morto non è morto del tutto finché la sua memoria sopravviva nell'animo di coloro che vivo egli amò e che lo amarono. Alla continuità di questo ricordo aderisce una parte dello spirito del defunto la quale sopravvive cosí in terra alla distruzione del suo essere. Da buona giapponese che aveva ereditato quelle credenze col latte della madre e col sangue dell'ava, Yu-rí era sicura che una piccola parte dello spirito di Roberto restava accanto a lei, intorno a lei, nell'atmosfera che respirava. E si conservava perciò una sposa amante e fedele. E coltivava sulla tomba di Roberto i grandi crisantemi gialli, rosa, lilla, violetti che egli amava in vita, specialmente i bianchi e quelli color del tè chiaro che egli prediligeva. E dinanzi alla tomba accendeva frequentemente quelle bacchette d'incenso di Formosa la cui fragranza piaceva tanto a Roberto che spesso quand'era vivo ne profumava la casa benché non fosse l'uso... E curava che nei piattelli delle offerte vi fossero sempre del riso fresco e pezzetti di frutta e toccherelli di pesce bianco e qualche goccia di sakè di Osaka: ogni alimento scelto fra quelli che Roberto preferiva in vita.
Sul cippo tombale aveva collocato la «tavoletta» di Roberto di onice fino, attraversato da belle venature ondeggianti, col nome e l'età e la data della morte e sotto due versi, composti da lei, secondo la consuetudine, nel triduo della morte: il tradizionale jiséi nò úta (da Jii: prendere congedo; e Sei, il mondo).
La tomba della madre era curata con la medesima diligenza, ma non aveva l'jiséi nò úta.
La notte era serena e dolce... Nel firmamento palpitavano milioni di stelle... Si udivano cantare i grilli sugli alberi e gracidare le rane negli stagni... I ciliegi in fiore stemperavano nell'aria il loro profumo... Un lieve soffio di vento faceva rabbrividire i petali sui rami e li sfioccava con leggerezza nell'aria. Il sussurro delle foglie vagava nell'atmosfera... Un piccolo rumore vicino – scricchiolio di un vecchio legno – dette una scossa al cuore di Yu-rí.
Il rumore si rinnovò.
— Roberto! Sei tu? – chiese.
Un soffio piú forte di vento sfioccò lí accanto un intero ramo di ciliegio che si sfarinò con un lievissimo frullo...
Dietro il Fugjiama si alzava la luna.
Nel suo chiarore i mille ciliegi in fiore formavano un fantastico scenario di porcellana diafana.
— Roberto! – dice Yu-rí. – So che sei qui, mio signore e mio sposo. Spero che tu sia contento di come trovi la tua tomba e quella di tua madre. Io stessa me ne occupo, come m'occupo che nella nostra casa tutto rimanga intatto come quando tu c'eri e che le cose siano sempre fatte come tu volevi. Anche nel dipingere i miei fiori seguo i tuoi consigli e il tuo modo di vedere e di sentire. Solamente, sono cambiati i colori dei crisantemi perché da quando tu non sei piú accanto a me le tinte sono mutate per me, Roberto. Mancano di sole! Anch'io manco di sole, Roberto... di calore e di luce... e penso come sarei stata piú felice se quella mattina invece di fuggire in automobile sulla strada di Enoscima fossi rimasto in casa, Roberto, e avessi lasciato che m'occupassi, com'era mio dovere e anche mio desiderio, di tutto il necessario per l'accompagnamento e la sepoltura di tua madre. Non hai avuto pazienza, Roberto, e sei scappato via verso il grande mare che ti aspettava! Torna ora, Roberto, se vuoi, nel «campo oscuro delle grandi ombre» e non avere preoccupazioni per me. Io resto fedele col corpo e con l'anima al tuo amore. Ora e sempre, Roberto, fino alla fine. Il mio amore è Ai (affezione) e Sciòku (sensi) e Scí (pensiero) come quando eri vivo. Eguale. Anàta wo omóu yò! (Ti penso con amore) – disse, ripetendo la frase con la quale aveva aperto la prima volta a Roberto il suo cuore nel parco di Maruyàma...
E Yu-rí batté tre volte le mani in onore del kami di Roberto come s'usa nei Templi in onore di tutti i kami grandi e piccoli del Giappone.
Dalle bacchette d'incenso saliva un sottilissimo filo di fumo azzurrognolo che s'alzava nell'aria come uno stelo e poi, come uno stelo, si apriva all'apice a formare una corolla... Lo zefiro d'aprile coglieva quei fiori d'incenso e li scioglieva nel mistero della notte...
Dai rami dei ciliegi stillavano i petali bianchi. Era come una pioggia di carezze...
Si sentivano cantare i grilli sugli alberi e gracidare le rane negli stagni.
La grande faccia della luna guardava il mondo.
Tokio, agosto 1935-XIII
Fronte cino-giapponese, maggio 1938-XVI