Documento XI

Al medesimo in Ferrara

Signor mio caro. - Non credo sia a l'omo vivo la maiore pena como è avere afano da morire con fatica del corpo. Paciencia sopra il scrivere al papa de sopraseder per fino me presenti ai soi pedi: non so se questo me posese essere de gran dano, per essere il tempo, como lo è, di fare il sale. Se porìa, parendo pur a la S. V. de calare in qualche cosa, se porìa dire (con quele parole saperìte metere insieme), che facendose sale, e per la iusticia fuse chiarito non se posese fare sale, tuto il sale avese da essere di Sua Santità: pur sempre me remeto a la S. V., chè me trovo inbalordito de sorta, che non ò bono judicio; cosa che però non ebi mai.

De quela cosa del M.... non lo credo, se bene lo doverìa [cxlvii] credere per esere lui mato. Sopra quanto scrive Obizo de abocarse la S. V. con il legato, piaceriame sumamente: quando la S. V. lo posese fare, quanto più presto tanto meio: pur me remeto.

A quelo dicono coloro del Papa, che Sua Santità sia intrata in loco de Veneciani per proibire il sale; se pote, acadendo, respondere: che lo facevano per forsa a non crederlo il Papa lo volìa, non lo volendo la iusticia.

Signor mio, son balordito da li canoni. Se questa mia starà male, e non responde a tute le parte, suplisca la S. V. como li pare. Li canoni tirano con il diavolo; e, se non avese questo afano, mai fui più contento. Son doventato canonero vero, e fo il mio debito: li nostri canoni tirano benissimo 35, 40 bote il dì. Eri me fu morto un canonero: la S. V. non lo conose. Sono pasati l'Adise 26 pezi de artilarìa: il resto bate de canto de Porto, como vedereti per uno sbegazone de mia mano.

Me racomando a la V. S., e la prego me aiuti in quelo manco. La S. V. me racomandi a mess. Antonio in canto a Porto.

1º zugno (ex castris apud Liniacum) 1510.

V. A. F. (Vostro Alfonso fratello).

Fuori - Al Rev.mo et Ill. Sig. mio fratello honor. il Sig. Cardinale de Este.

Ferrariae - Cito.

[cxlviii]

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