XCI

Al medesimo

Ill. ed Ecc. Signor mio. Pier Morello m'ha portato una di V. Ecc. ne la quale essa mi riprende ch'io abbia mandato a consigliare la causa ch'egli [165] ha col pisano a Lucca, e che più presto io non l'abbia mandata a Ferrara. Ma acciò che la ragione mia anco s'intenda, V. Ecc. intenderà come questa causa fu commessa al Commissario e alli quattro soprastanti alla gabella, ed essendo venuto per questo in mia mano questa causa, io ne presi consiglio a' dì passati con Mess. Raffaele da Carrara allora Capitano di Camporeggiano, e questo perchè il Capitano qui di Castelnovo è sospetto grandemente al pisano. Esso Mess. Raffaele, veduto il processo, mi fece la sentenza in scritto; ne la quale assolveva il pisano a solutione datij per quelli legnami de quibus in causa, e Pier di Morello ab expensis. E non mi fidando io che questa sentenza fosse de jure per certi andamenti che avevo veduto, ne mandai la copia a V. Ecc., e la pregai che la facesse vedere al Consiglio, e dissi di volere appresso mandare il processo. Ma V. Ecc. mi fece rispondere, che non voleva che altrimenti il Consiglio si intromettesse in questa causa, che pur io la terminassi secondo il parer mio e de li quattro soprastanti. Dopo, fra pochi dì, venendo io a Ferrara e parlando di questo col Mag. Mess. Matteo Casella, Sua Mag. mi disse ch'io non andassi cercando altri consigli, ma che secondo il parer de li quattro io la espedissi: e così, tornato ch'io fui qui, tolsi il processo e chiamai li quattro li quali [166] si trovano essere al presente, e poi ch'ebbi udito il parer loro, chiamai li altri quattro, e gli altri quattro ancora ch'erano stati prima, e finalmente quanti uomini di questa terra per diversi tempi erano stati a quello officio de la gabella; li quali nemine discrepante ho ritrovati tutti conformi, che di tal petizione il pisano debbia essere assoluto, fondando questo lor parere, parto sopra li capitoli de la gabella, parte su la consuetudine che mai non si pagò, ma più che dicono che la volontà di chi tali capitoli constituì, non fu mai che di tal cose s'avesse a pagar dazio, e ne sono alcuni vivi che si trovâro a farli: e aggiungono ancora, che quando questi capitoli non fussino ben chiari, tutta questa terra sarebbe per far generale consiglio, e chiarire nominatamente che di tal cose non s'avesse a pagar dazio; e questo perchè quando tali imprese di legnami si facevano, si dava guadagno a poveromini che mettevano opere e fatiche in tal condotte di mille ducati l'anno; il che poi che questa lite è cominciata è cessato con grandissimo danno del paese. Veduto io che 'l parer di tutti gli uomini di questa terra era risoluto che 'l pisano erat absolvendus, proposi loro che anco giudicassino, se Piero dovea essere condennato in le spese, e in certa pena in che per li capitoli incorre il gabelliere che domandi quello che non ha d'avere, e se lor pareva an Petrus habuerit iustam causam litigandi, an non. A questo non potei condurre alcun di essi che volesson giudicare, allegando che questa era materia da dottori e non da essi, che sono [167] volgari e idioti. Per questa causa, desiderando io di dar sentenza che fosse giustificata e che quando si avesse a vedere altrove non fosse riprovata, presi espediente di mandare il processo a Lucca per farmi chiarire questo punto, sì come luogo più vicino, sperando di mandare un dì il processo e l'altro averne la espedizione. Ma la cosa è successa altrimente, perchè il dottore a chi lo mandai si trovò ammalato e mai non l'ha potuto vedere; ma ora ch'io intendo la volontà di V. Ecc. lo manderò subito a tôrre e lo rimetterò a Ferrara.

Credo che Pier Morello si sia venuto a doler di me, come di persona che non spiera poter trattare a suo modo contra la giustizia, perchè mai non gli ho risposto, come forse sperava; imperò che nel principio ch'io venni qui egli mi fece offerire prima per Ser Tito allora mio Cancelliere, e poi a me in persona, di volermi dar la metade di ciò che si poteva cavare da questo pisano, ed anco miglior condizione, pur ch'io lo favorissi usque ad victoriam in questa causa. S'io ho fallito a mandar il processo a Lucca, m'incresce: ma non ho però fatto cosa che altri miei predecessori non abbiano fatto, e che mi paia che sia contra il dovere, essendo di qui a Lucca XX miglia e di qui a Ferrara cento: nè anco ho Lucca per città nimica di V. Ecc., nè dove una parte abbia più amicizia o parentado che l'altra; nè all'una parte nè all'altra io dissi dove o a chi io l'avessi mandato, nè so come Piero poi l'abbia inteso; ma dubito che esso abbia paura de la ragione in ogni loco, e che non abbia fatto questa [168] querela perchè dubiti più di Lucca che d'altro luogo, ma perchè ogni indugia e dilazione fa per lui.

Se 'l pisano si duole perchè sia menato in lungo, ha ragione perchè ha frustato tanto tempo qui, che se fosse stato in paradiso gli dovrebbe rincrescere: ma la colpa non è mia. Questi uomini vengono mal volontiera a dar questa sentenza, e studiosamente vanno tutti differendo finchè possano uscire d'officio, e lasciar questo carico alli successori: ma quando fosse commessa nominatamente a quelli quattro che erano in officio al tempo che la causa fu commessa, cioè Soardino, Maestro Gianpiero Atolino, Simon di Lorenzo e Valdrigo, o ad alcun altro che avesse essere giudice usque ad expeditionem cause, credo che attenderebbono alla espedizione, e non a mirar di dare il carico al successore. Tutti sono d'accordo a dire che Piero ha il torto, ma non gli vorrebbono far male. Se pare a V. Ecc. che io mandi il processo, e che io aspetti da Ferrara la sentenza o che pur ch'io la dia secondo il consiglio di questi uomini secondo la commissione di V. Ecc. senza altra consultazione, quella mi faccia dar avviso, che subito io gli darò espedizione. In buona grazia de la quale mi raccomando.

Castelnovi, XVI iulii 1523.

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