XLIV

Al Duca di Ferrara

Ill. ed Ecc. Signor mio. Per ubbidire alla Ecc. V. ho fatto chiamare gli uomini de la Vicarìa di Trasilico, e fatto loro intendere da parte di quella che eleggano un altro potestade, chè V. Ecc. non vuole che Ser Tomaso Micotto più faccia l'ufficio. Essi uomini mi domandaron termine a far questa elezione sei giorni, e poi tornâro in capo di due, e mi dissero che mi pregavano ch'almeno io dessi dilazione a questo Ser Tomaso che potesse venire al cospetto di V. Ecc. prima ch'io lo privassi de l'officio, e che essi n'eleggessino un altro, con speranza che quella serìa contenta che per due mesi ancora seguitasse finchè fusse in capo de l'officio che gli fu dato per un anno; e che essi mi facevano questi preghi perchè erano pregati da detto Ser Tomaso, che non gli facessino questa ingiuria; e che essi erano sforzati avergli rispetto, fussino li [77] suoi portamenti come si vogliano, per essere di buon parentado in questi paesi. Io nè in tutto ho voluto negare la loro domanda, nè anco compiacerli con disubbidienza di V. Ecc., e feci che elessino un potestade che rendesse lor ragione finchè Ser Tomaso o rifermato o in tutto escluso ritornasse da Ferrara; e così elessino Mess. Achille Granduccio, che solo in tutta Garfagnana si trova essere dottore, e veramente, oltra la dottrina, uomo molto da bene, che anco V. Ecc. ne può avere avuta qualche prova, chè non son molti giorni che era Giudice de' Malefici a Ferrara. Quando poi V. Ecc. vorrà che o al presente o al principio de l'anno, o a marzo, che fu il tempo che questo Ser Tomaso entrò in officio, che questi uomini facciano la consueta elezione, s'eleggeranno questo medesimo che hanno ora instituito, cioè Mess. Achille. La elezione non potria essere migliore: se anco eleggeranno altri, io ne farò giusta relazione a V. Ecc.

Appresso, per essere alquanto di discordia fra il Capitano di Camporeggiano e uno Leonardo da San Romano, al quale a' dì passati V. Ecc. ha fatto grazia libera d'una condennagione che gli avea data detto Capitano (e la discordia è che 'l Capitano vorrìa esigere il caposoldo, cioè due bolognini per lira di detta condennagione, allegando che la mente di V. Ecc. non è di donare quello che proviene agli officiali), io son stato alquanto sospeso di determinare questa differenza, chè da una parte mi pare che l'esattore non debbe aver guadagno dove non ha fatica di riscodere; e io che sono esattore a Castelnovo [78] e similmente ho d'avere li due bolognini per lira, mai non gli ho domandati di condennagione ch'io abbia riscossa: da l'altra parte la ragione del Capitano non mi pare di poco momento, che dice questo essere suo emolumento, e che levandogli li emolumenti non ci potrà vivere; e che se non ne avrà frutto non farà per l'avvenire de le condennagioni: sicchè prego V. Ecc. che si degni di chiarirmi quello c'ho da far, o più presto da tollerare circa questo, perchè il Capitano ha voluto ogni modo detto caposoldo. Ben la supplico che non faccia, come si dice, de l'un figliolo e de l'altro figliastro, chè dovendo avere lui li due bolognini per lira anch'io li abbia; tanto più ch'io ho la fatica de l'esigere, che esso li ha senza fatica di esigere: perchè a Camporeggiano è poi anco un esattore separato che oltra quelli del Capitano tolle anche egli due bolognini per lira; e come vadano quelle esazioni di quella Vicarìa, il fattore lo debbe sapere, se mai ne vede conto.

Perchè V. Ecc. sappia tutto quello che accade in questa provincia, io scrissi a' dì passati a quella che 'l Capitano predetto aveva avuto ne le mani un Balduccio il quale insieme con prete Matteo e due altri ribaldi avevano gettato giù d'una balza e ammazzato un poveruomo, il qual Balduccio s'è ora venuto a porre spontaneamente in mano del detto Capitano, e che intendendo io che lo tenea molto sciolto, e per questo avendo suspicione che 'l Giudice e il malfattore fussino d'accordo insieme, commisi al notaro di Camporeggiano, non ci essendo [79] il Capitano, che gli commettesse da mia parte che non lo lasciasse senza mia licenza; e che poi senza farmene intendere alcuna cosa lo assolse e liberò di prigione: a questo non mi è stato mai dato alcuna risposta. Appresso ho a significare a V. Ecc. un'altra cosa simile, non per dir male, ma perchè V. Ecc. intenda tutto quello che intendo io pertinente a questo officio. Fu a' dì passati fatta una rissa qua su a San Romano, dove padre e figliolo intervenne ad uno omicidio, e io di questa cosa esaminai due o tre testimonî che deponevano assai gagliardamente che 'l padre e il figliolo n'erano colpevoli, e tal testificato mandai al detto Capitano. Appresso intesi, non già che 'l Capitano mai me n'abbia avvisato nè detto parola, che 'l padre si era andato a porre in prigione, e poi ho sentito che è stato liberato e assoluto. Signor mio Ill., a me pare, se in queste cose non fosson fraudi, non si schivariano di comunicarle meco, e vengo in dubbio che detto Capitano non metta in effetto quello che, essendo già in contesa con gli uomini de la sua Vicarìa, che gli negavano di dare un certo premio per aver esso fatto giustiziare un ribaldo, disse presente molti uomini da bene: che poi che di questa esecuzione di giustizia negavano di premiarlo, impiccaria per l'avvenire le borse e non i ladri. Questo non ho scritto per referir male, ma per avvertire V. Ecc. che quando le fusse rapportato, che qui non si fa giustizia, ella non creda che sia mia colpa. Io avrei più ardire di riprenderli se non fusse che allegano c'hanno comprato [80] l'ufficio, e che bisogna che se ne rivagliano: pur o comprino o abbiano in dono, mi parrìa lor debito che di queste cose che importano mi dovesson far partecipe.

Appresso un Mess. Gian Giacomo, il quale sta alla badia di Frassinoro, e al quale ho qualche obbligazione per onore che sempre a me e alli miei ha fatto quando mi accade di andare e di mandare innanzi e indrieto; e per questo (ma più perchè mi credo che sia gran servitore di V. Ecc.) l'amo e desidero ogni suo bene; esso mi scrive la qui inclusa lettera per la quale si duole come V. Ecc. vederà. V. Ecc. giudichi se si duole a ragione o torto. Di questo fo fede a quella, che per quello ch'io lo conosco gli è molto fedele e affezionato, e anco Ser Tito qui notaro potrìa di questo fargli più certa testimonianza. Esso scrive, e anco più volte ha cercato di persuadermi, che Domenico d'Amorotto sia buon servitore di V. Ecc. Che esso sia o non sia, V. Ecc. lo debbe sapere meglio di me: io per me di questa bona opinione di Domenico non son ben chiaro, perchè gli effetti che per li tempi passati ho veduto mi paron contrarî: pur avendo esso più possanza in questi paesi che non hanno li [81] officiali di V. Ecc., non mi pare che sia fuor di proposito mostrare di credere che più presto ne sia amico che inimico, finchè un dì Mess. Domenedio provegga che possiamo più di lui. Io mi son sforzato fin adesso di tenermelo per amico, e anco di persuadere a lui che V. Ecc. l'abbia per buon servitore: e questo credo che sia stato bona causa, che fin adesso non ha, sotto specie di parzialitadi, molestata questa provincia. Se questo mio discorso par bono a V. Ecc., prego quella che anco con estrinseche dimostrazioni si sforzi di tenere Domenico, se non amico, almeno non nimico. Se anco le par meglio ch'io faccia altramente, me ne dia norma.

Io ho da significare a V. Ecc. come a questi dì due preti, l'uno da Reggio, e l'altro qui da Sillano, andaron a trovare il Sig. Alberto da Carpi a Lucca mandati da Domenico d'Amorotto, il quale Domenico domandava di essere fatto Commissario similmente del piano di Reggio come è de la montagna, [82] e s'accompagnâro qui con uno, al quale per via disseno quello che andavano a fare; e questo l'ha riferito a me, e dettomi come il Sig. Alberto ha fatto a Domenico quanto ha domandato.

Qui si dice che Pierino Magnano si è presentato al cospetto di V. Ecc.: quando sia vero, aspetto da lei intendere come m'ho da reggere, circa la confiscazione de li suoi beni. Io ho fatto condurre certa poca quantità di grano che era ad una sua possessione. Ancora che si sieno (come anco ho scritto) appresentati chi dicon averlo comprato dal figliolo, l'ho fatta condurre qui in rôcca, e ci farò anco condurre un poco di vino, e tutto quello che di lui si trova mobile: ma non ne farò altro contratto finchè non ho novo avviso da V. Ecc., salvo ch'io pagherò li balestrieri e le spese de la condotta. Altro non occorre al presente. In bona grazia di V. Ecc. mi raccomando.

Castelnovi, XXV novembris 1522.

Umil servitore,

Ludovico Ariosto

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