XLV

Al medesimo

Ill. ed Ecc. Signor mio. È accaduto che per far scrivere le robe mobili di Pierino che si trovava avere a Castelnovo e di fuore, e che non parendo a me che fusse in tutto sicuro che 'l mio Cancelliero vi andasse solo, ho mandato seco li balestrieri col suo capo ogni volta in la terra, e tre è accaduto che li detti balestrieri son cavalcati fuore ad un luogo distante di qui quattro miglia detto Villa: la prima volta vi andâro a scrivere detti beni e li consegnâro in mano del prete de la villa, e non parendo a me che fussino ben depositati, volsi che vi tornasseno e che li mettessino in mano de l'officiale de la Villa; la terza volta vi sono iti per farli condurre in qua, e così hanno fatto condurre circa un moggio e mezzo di grano che v'era, e lasciato comandamento a quelli uomini che conducano un poco di vino che v'è. Ora non sapendo io come io avessi a satisfare il Cancelliero, li balestrieri e il suo capo, scrissi a questi dì agli Magnifici del Consiglio che mi avvisassino come io li avevo a pagare. Sue Magnificenze mi risposeno ch'io facessi il consueto e quel manco ch'io potessi, e che satisfatto a queste spese io mandassi il resto a l'esattore de la Camera. S'io sapessi certo qual fosse questo consueto, io non avrei avuto a domandare il parere di Sue Magnif.: ma qui non è Statuto nè lettera alcuna che sia pervenuta in man mia, che [84] parli di quanto appunto sia la mercede di tali esecutori. Li balestrieri ogni volta che cavalcano domandano un quarto di ducato per volta, e il Capitano un ducato; e se fanno esecuzione in Castelnovo, domandano la metade di questo, e dicono questo essere il consueto: e il Capitano per queste esecuzioni avrebbe voluto tre ducati e mezzo; e ogni balestriero tre quarti e mezzo: del Cancelliero non parlo perchè sta meco e si contenterà di quello che vorrò io. Io dissi di dare al Capitano due ducati, e mezzo ducato per balestriero, e tutti si dolgono come io voglia torre quel che lor proviene. Io supplico V. Ecc. acciò ch'un'altra volta io non abbia a contendere e dar causa che questi che mi hanno ad ubbidire mi voglian male, che faccia intendere com'è l'usanza ne li altri luoghi di V. Ecc. di satisfare li balestrieri per l'esecuzioni che fanno, e far che così de le cose che appartengono alli Criminali come di quelle che appartengono alla Camera, io sia puntualmente instrutto, perchè tal lettera io farò qui registrare ne li Statuti, acciò che per l'avvenire nè io nè li miei successori stiano più sospesi in tali cause. - Per la Dio grazia qui si vive molto quietamente e in pace, e ogni cosa anderìa bene se non fosse per la vicinanza ch'avemo d'alcune terre che sono infette di peste: ma io col Capitano de la Ragione e con alcuni uomini da bene di questa terra non cessamo di far tutte le debite provvisioni; ma gli è il pericolo ch'avemo a far con villani, che mal si ponno tenere che non vogliano ir trafficando: pur Dio n'ha aiutato fin qui, [85] spero che anco ne aiuterà: pur quando accadesse che alcuno si infettasse, supplico V. E. che sia contenta ch'io, senza scrivere altrimente, possa levarmi e venirmene a casa, perchè in ogni altro luogo mi darìa il core di poter schivar la peste fuor che qui, dove ho sempre villani all'orecchie, e non c'è alcuno che stesse a maggior pericolo di me. - Qui si dice che Pierino è a Ferrara: se 'l serà vero spero che da V. E. n'averò avviso. Quest'altri confinati, cioè il Coiaio e il Casaia, han scritto lettere a questa Comunità pregandoli che vogliano scrivere a V. E. che li rimandi a casa, e promettono di volere far miracoli di bontade: la lettera fu domenica letta in consiglio, e non fu uomo, di circa quaranta che c'erano, che rispondesse mai nè ben nè male. Io n'ho voluto dare avviso a V. Ecc., in bona grazia de la quale mi raccomando.

Castelnovi, 26 novembris 1522.

Umil. servitore,

Ludovico Ariosto.

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