II

A Giovanfrancesco Strozzi

in Padova.

Magnifico messer Giovanfrancesco mio onorando. Io ebbi a questo dì una di V. S., la quale mi è stata cara per intender di quella: ma non che per sollecitarmi o ricordarmi della vostra cosa mi fosse di bisogno; perchè io non l'ho meno a côre, che se fosse particolarmente a mio grande utile, e mai non mi accade occasione di parlarne, ch'io non lo [324] faccia con quella fede che mi par che mi sia debita. Ma circa questo non possiamo più stringere messer Guido di quello che voglia essere stretto; il quale per modo alcuno non vuol che si parli di maritar quest'ultima figliuola, finchè non si sia disbrigato di quelle che già ha maritate, e che la Isabella non sia messa nel monasterio: la quale vi doveva esser posta fin all'Ognissanti passato, e la dote e le masserizie che le bisognano tutte sono in ordine: ma ella da quel tempo in qua è sempre stata inferma, e molte volte in pericolo di morte, e tuttavia sta male: sicch'ella è gran causa che non si può venire a risoluzione alcuna. Ben questo vi affermo, che negli Strozzi da Fiorenza non ha disegno alcuno; e, per certe occorrenze, è tanto mal satisfatto da loro, che non li può sentir nominare. Questo è quanto vi posso dire. Io ho buona speranza, e questa medesima posso offerire a voi. Io son sana, Dio grazia. Messer Guido e il conte Lorenzo piateggiano gagliardamente circa la casa che il scrittor di questa dice che vi parlò a Venezia: il quale sta bene, ed a V. S. si raccomanda, e non mancherà di fare il debito suo sempre che verrà l'occasione. Altro non occorre. A V. S. mi [325] raccomando, e la ringrazio di quanto mi ha scritto di Tito mio.

Da Ferrara, 22 ianuarii 1531.

Di V. S.,

Alessandra Strozza.

Fuori - Al magn. Mess. Giovanfrancesco de' Strozzi, a Padova.

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