MA perchè chi consiglia ha per sua mira l'utile; e i consigli si fanno non per consultar del fine, ma delle cose che appartengono al fine: e quali son quelle che sono utili, secondo l'azioni che si fanno; ed essendo che l'utile sia bene; abbiamo a pigliar quelle proposizioni del bene e dell'utile, che sono come elementi, e principj d'essi assolutamente. Pognamo dunque che bene sia quella cosa; che è per sè medesima eliggibile, e per cagion della quale n'eleggiamo un'altra. E quello che appetiscono tutte le cose. O tutte quelle che hanno senso. O quelle che hanno intelligenza. O che appetirebbero quelle che non l'hanno, se l'avessero. E quel che la ragion darebbe a ciascuno. E quel che la medesima in ciascuna cosa dà a ciascuno, a ciascuno è medesimamente bene. E quel che possedendosi, fa che si stia bene, e che s'abbia ogni cosa a compimento. E quel ch'è per sè stesso compito. E quel ch'è fattivo, e conservativo di queste cose. E quello dal quale ne seguitano queste tali. E quelle cose sono ancora beni, che proibiscono, e annullano le contrarie a queste. Il seguitar che abbiamo detto si fa in due modi, o di pari, o di poi. Come dire, all'imparar segue il saper di poi: e allo star sano segue il viver di pari. E le cose che abbiamo nominate fattive, sono di tre sorti: certe, come l'esser sano della sanità: certe come i cibi delle sanità: e certe come l'esercizio, che le più volte fa sanità. Poste queste cose è necessario, che non solamente l'appigliarsi al bene sia bene, ma lasciare ancora il male; perchè all'appigliarsi al bene segue il non aver mal di pari; e al lasciar il male segue l'aver il ben dipoi. Bene ancora sarà pigliare il maggior bene in loco del minore, e il minor male in loco del maggiore; perciocchè quanto il minor è superato dal maggiore, tanto nell'uno s'acquista di bene, e nell'altro si schiva di male. E le virtù è necessario che siano beni, perchè ben dispongono quelli che l'hanno. E sono fattive, ed attive di buone operazioni. Ma di ciascuna virtù, che cosa sia, e quale, si dirà poi separatamente. Il piacere ancora convien che sia bene; perciocchè tutti gli animali per natura lo desiderano. Onde è forza, che le cose dilettevoli e le belle siano ancor beni: perciocchè son fattive del piacere. E delle belle certe sono dilettevoli, e certe per esse stesse eliggibili. E per cominciar a dire a un per uno, è necessario che i beni sieno questi. La felicità: perciocchè è per sè stessa eliggibile, per sè stessa compita, e per suo conto eleggiamo molte altre cose. La giustizia, la fortezza, la temperanza, la magnanimità, la magnificenza, e gli altri simili abiti; perciocchè sono virtù dell'animo. E la sanità e la bellezza e simili; perchè sono virtù del corpo, e fattive di molti beni; come la sanità del piacere e del vivere. E per questo è tenuta per ottima: perchè da lei procedono due cose, che da molti si reputano per preziosissime, cioè la vita e 'l piacere. Le ricchezze sono ancor bene; perciocchè sono virtù del possedere, e sono fattive di molte cose. L'amico e l'amicizia; perchè l'amico è delle cose eliggibili per sè stesso, e fattivo di molte cose. L'onore e la riputazione, perchè sono dilettevoli, e fattive di molte cose. E per le più volte segue, che quelli che sono onorati e riputati, sieno tenuti d'aver con effetto quelle parti, per le quali meritino quell'onore. Il poter e dire e fare: perchè tutte queste simili cose sono fattive di bene. Così l'ingegno, la memoria, le docilità, l'accortezza, e tutte cose simili; perchè tutte sono facoltà fattive di bene. Similmente tutte le scienze e tutte l'arti. E 'l vivere stesso; perciocchè se non ne seguisse altro bene, è per sè stesso eliggibile. Ed ultimamente il giusto per esser un certo utile comunemente a tutti. E questi sono quei beni, che da tutti quasi sono tenuti per bene. Ci restano quelli che son dubbj. E i sillogismi di questi si cavano dalle proposizioni che seguono appresso.
Quello è bene, il cui contrario è male. E quello il cui contrario giova ai nemici: come dire, se agli amici nostri è grandemente utile la nostra viltà, è chiaro che a noi sarà grandemente utile la fortezza. Ed universalmente il contrario di quel che i nemici vogliono, e di quel di che essi si rallegrano par che sia bene ed utile a noi. Onde fu ben detto:
Quanta gioia n'arian Priamo, e i figli?
E questo non è però sempre; ma le più volte; perciocchè non ripugna, che una cosa medesima sia utile a due parti contrarie. E per questo quando una medesima è nociva all'una e all'altra, si suol dire: Che i mali uniscono gli uomini.
E quel che non è mai di soverchio è bene: e quel ch'è più che non bisogna, è male. E quello è bene per lo quale si dura fatica, e si spende assai. Che già per bene apparente l'abbiamo. E già tal qual egli è, si piglia per fine, e per fine di molte cose. Che 'l fine poi sia bene, s'è mostro di sopra. E per questo è stato detto:
Ai che si lasci a Priamo un sì gran vanto,
ed altrove:
E dopo tanto tempo, e tanto affanno
Tornar con biasmo.
E di qui viene anco il proverbio, che si dice: L'ORCIO IN SU LA PORTA. Bene ancora è quello che si desidera da molti; e per lo quale par che si debba venire in contesa; perchè quel ch'è desiderato da tutti, s'è già detto ch'è bene. E i molti par che siano come tutti. E quel ch'è laudabile, perchè nissuno loda quel che non è bene. E quel che lodano i nemici e i tristi, perchè quasi tutti lo confessano, se quelli il consentono che n'hanno ricevuto male, perchè come cosa che sia chiarissima non la posson negare. Siccome son tristi quelli che son biasimati dagli amici, e buoni quelli che non sono biasimati da' nemici. Onde che i Corintj si recavano a vergogna che Simonide avesse scritto di loro:
Di Corinto Ilion non si rammarca?
E quel che si preferisce da qualche savio, o da qualche buono, o uomo o donna che sia, come Ulisse da Minerva, Elena da Teseo, Alessandro dalle tre Dee ed Achille da Omero. Ed universalmente le cose che avanti all'altre sono da esser anteposte ed elette da noi.
Avanti all'altre eleggiamo di far quelle che si son dette, e quelle che nuociono ai nemici, e giovano agli amici. E le cose possibili, che sono di due sorti. Di quelle che pur si fanno, e di quelle che si fanno facilmente. E facili s'intendon quelle che si conducono, o senza molestia, o in poco tempo: perciocchè la diffinizion del difficile viene o dalla molestia, o dalla lunghezza del tempo. E quando la cosa si fa come l'uom vuole, e vuolsi o nulla di male, o un male che sia minor di quel bene. E questo sarà come se la pena non si vedesse o fosse poca. E le cose proprie, e quelle che non ha nessun altro. E quelle, che oltre alle necessarie ci sono deliziose; perchè sono più onorate. E quelle che ne si convengono. E convenevoli s'intendono le dicevoli, secondo il genere, e secondo il valore. E quelle che par che ci manchino ancora, che sieno minime; perchè non per questo si vogliono meno. E quelle che agevolmente si fanno, perchè son possibili e facili. Ed agevoli a fare son quelle, che da tutti, o da più, o da pari, o da inferiori sono state condotte. E quelle con che si fa piacere agli amici, e dispiacere ai nemici. E quelle che sopra tutte l'altre si propongono di fare da coloro che abbiamo in ammirazione. E quelle intorno alle quali ci par d'avere ingegno e sperienza, perchè pensiamo di poterle più facilmente condurre. E quelle che non si possono conseguir dagli uomini vili. Perciocchè sono maggiormente laudabili. E quelle delle quali siamo desiderosi; perciocchè quel desiderio ce le fa parer non solamente più gioconde, ma migliori. E quelle sopra tutto, verso le quali ci troviamo esser tali, come dir contenziosi, se sarà la vittoria; ambiziosi, se saranno gli onori; avari, se saranno i denari, e altri similmente. E di questi capi s'hanno a cavare le persuasioni del bene e dell'utile.