CAPITOLO X.

ORA quanto all'accusare e difendere, si avrebbe continuatamente a dire di quante cose, e di quali si formano gli argomenti del genere giudiziale. E per questo fare, bisogna che l'oratore sappia tre cose. La prima da che cose, e da quante sono mossi gli uomini a fare ingiuria. La seconda, come sono disposti coloro che ingiuriano. La terza quali, e come son fatti quelli che sono ingiuriati. Diffinito che avremo adunque l'ingiuria, continueremo il resto. Or sia l'ingiuriare un nuocere altrui volendo contra la legge. La legge è di due sorti, o propria, o comune. Chiamo legge propria quella per mezzo della quale scritta si governano le città. E comune quella che par che s'accetti universalmente da tutti, ancora che non sia scritta. Volendo s'intende far colui, che sa quel che si fa, e non è forzato. Non è però che le cose che si fanno volontariamente si facciano sempre con proposito di farle; ma sì bene quelle che si fanno con proponimento, si fanno sempre di saputa di chi le fa; perchè non è mai veruno che sia ignorante di quel che si propone di fare esso medesimo. Le cose per le quali ci proponiamo di nuocere, e di commetter male contro la disposizion della legge, sono due: la malizia e l'incontinenza; perchè ognuno che si trova vizioso, o di uno, o di più vizj che sia macchiato, in quel che s'abbattono a peccar essi, sogliono ingiuriar altri; come l'avaro fa torto altrui per conto della roba; l'intemperato per i piaceri del corpo; un molle per infingardia, ed un timido per fuggire i pericoli; perchè per paura abbandona i compagni che sono al medesimo rischio con lui. Così l'ambizioso per l'onore; l'iracondo per istizza; un superchievole per vincere; un ostinato per vendicarsi; un pazzo perchè non ha conoscenza nè del giusto, nè dell'ingiusto; ed uno sfacciato, perchè tien poco conto della riputazione; e così ciascun altro vizioso circa ciascuno degli obbietti loro. Ma di queste cose, parte s'è dichiarata dove abbiamo parlato delle virtù, e parte si dichiarerà dove parleremo degli affetti. Resta ora a divisare, perchè s'ingiuria; come son fatti gl'ingiuriosi; e chi son quelli che sono ingiuriati.

Prima di tutto adunque racconteremo quelle cose, per desiderio, o per odio delle quali ci moviamo a fare ingiuria: perchè chiara cosa è, che all'accusatore fa mestiero di considerar quali e quante ne sono nell'avversario di quelle, per desiderio delle quali gli uomini sono indotti a far ingiuria altrui. E dall'altro canto che il reo deve sapere quali, e quante son quelle che non sono in lui, per potersi scusare. Ognuno fa ogni cosa , o da sè stesso, o non mosso da sè. Delle cose che l'uomo non fa da sè, alcune si fanno a caso, alcun altre per necessità. E di quelle che si fanno per necessità, alcune per forza, alcune per natura; per modo che tutte quelle che non facciamo da noi, ci vengono fatte, o per fortuna, o per natura, o per forza. Dell'altre, che facciamo da noi, e che noi medesimi ce ne siamo cagione; certe si fanno per consuetudine, certe per appetito, e parte per appetito ragionevole, e parte per non ragionevole. Appetito di bene con ragione è la volontà; perchè nessuno vuole altro che quel ch'ei crede che sia bene di volere. Appetiti senza ragione sono due, l'ira e la cupidigia. Onde che tutto quello che si fa, è forza che si faccia per sette cagioni: per fortuna, per forza, per natura, per consuetudine, per ragione, per ira e per concupiscenza. Divider poi queste cagioni delle azioni umane, secondo l'età, o secondo gli abiti, o in altri capi simili, è di soverchio; perchè sebbene i giovani sono quelli ne' quali si trova questo accidente d'esser iracondi e vogliolosi; non è però, che quel che fanno proceda dalla gioventù, ma dall'ira e dalle voglie, che in quella età sogliono avvenire. E cosi i ricchi e i poveri, che che si facciano, non ne sono cagioni, nè le ricchezze nè la povertà: ma i poveri per esser bisognosi hanno per accidente di bramar la roba; e i ricchi per esser licenziosi, son vaghi di piaceri, che non sono necessarj. Onde tutto quello che fanno ancor questi, non lo fanno mossi dall'esser ricchi, o dall'esser poveri, ma solamente spinti dalla cupidigia. Il medesimo avviene a' giusti ed agli ingiusti, e così agli altri, che abbiamo detto, che operano secondo gli abiti; perchè tutti sono indotti dalle cagioni medesime: cioè dalla ragione, o dalla passione; ma irragionevoli per mezzo dei lor costumi, e delle loro affezioni buone; e gli appassionati, per lo contrario. Suole ben avvenire, che secondo che sono buoni o cattivi gli abiti, così ne seguono buone o male disposizioni: perciocchè uno che sia temperato, per la sua temperanza avrà per avventura in un subito buone opinioni e buoni desiderj, circa i piaceri. E circa i medesimi avverrà il contrario d'uno che non sia temperato. Onde che dobbiamo lasciar andare questo modo di dividere; e nondimeno abbiamo a considerare, quali di questi capi; da quali disposizioni siano soliti d'esser accompagnati; che non tutti hanno compagnia; perchè l'esser bianco, o nero, o grande, o picciolo, non si tira dietro niuna conseguenza d'altre inclinazioni. Ma dall'esser giovine, o vecchio, o giusto, o ingiusto, già si vede che c'è differenza. Ed in somma s'hanno a considerar tutti quegli accidenti, che sogliono far diversità di costumi negli uomini; come diversi posson parere in qualche parte, secondo che all'uomo pare d'esser ricco, o povero, o fortunato, o sfortunato. Ma di ciò parleremo di poi. Diciamo ora primamente dell'altre cose che restano. Sono le cose che procedono dalla fortuna quelle che non hanno la lor cagion determinata; e che non si fanno segnatemente per un fine, nè sempre, nè come il più delle volte, nè con ordine alcuno. Il che si vede chiaramente dalla diffinizion della fortuna. Le naturali sono quelle che si portano la lor cagione congiunta con esse, e che ordinariamente procedono, perchè, o sempre, o come il più delle volte, avvengono in un medesimo modo: che quelle che sono oltre al naturale, non fa mestiero di cercar diligentemente, se vengon fatte, o secondo un certo naturale, o pur secondo qualche altra cagione. E potrebbe parer talvolta, che ne fosse causa ancora la fortuna.

Fatte per forza s'intendono quelle che si fanno da noi medesimi, contra al desiderio, e contra a quel che la ragione ci detta di dover fare.

Per consuetudine si dicon quelle che noi facciamo, perchè le abbiamo più volte fatte.

Per ragione chiamiamo che sieno fatte quelle, le quali ci pajono utili a farle, essendo dei beni, che si son detti di sopra, o come fini che siano, o come mezzi ordinati al fine: quando però si facciano con animo che siano giovevoli; perchè per intemperanza si fanno ancora alle volte cose, che sono poi di giovamento. Ma perchè si fanno, non perchè giovino, ma perchè dilettano; per questo non si possono dir fatte con ragione.

Fatte per ira e per risentimento son quelle che si fanno a fin di vendetta. Ed è differenza dalla vendetta al gastigo; perchè il gastigo si fa per colui che patisce. E la vendetta per colui che fa per saziar l'animo suo contra al nimico. Circa a quali cose poi si travagli l'ira, si dirà dove tratteremo degli affetti. Per concupiscenza diciamo che son fatte quelle che ci pajono dilettevoli. E tra le dilettevoli s'intendono le consuete e le frequentate: perciocchè molte non sono dilettevoli di lor natura, che noi le facciamo con diletto, perchè ci siamo avvezzi.

Onde raccogliendo questa materia brevemente: tutte le cose che noi facciamo, o sono buone, o ci pajono buone: o sono dilettevoli, o ci pajono dilettevoli. E conciossiachè quel che noi facciamo s'intenda fatto di nostra volontà; e che quel che non si fa di nostra volontà, non s'intenda fatto da noi; ne segue, che le cose che noi facciamo da nostro volere, siano tutte, o buone, o dilettevoli, o che dilettevoli, e buone ci paiano; perciocchè pongo in loco di bene ancora la fuga del male, o di cosa, che paja male, e la trasmutazione da un maggior male a un minore. Essendo che queste cose si vogliono in un certo modo per elezione; e medesimamente pongo fra le cose dilettevoli la fuga delle moleste, e di quelle che moleste ci sembrano. E così la trasmutazione delle maggiori molestie nelle minori.

Bisogna adunque saper le cose che giovano, e quelle che dilettano, quante e quali sono. Ma delle giovevoli abbiamo detto di sopra nel ragionar del genere deliberativo. Diciamo ora delle dilettevoli. E bastante modo di diffinirle ci sarà quando a ciascuna diamo la sua diffinizione, la quale non sia nè troppo sottile, nè troppo oscura.

E presupponiamo che il piacere sia un certo commovimento dell'anima, e un compito ristoro che si fa tutto in un tratto, e sensibilmente, a ricuperazione dell'esser naturale: e il contrario di questo è il dispiacere.

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