CAPITOLO XI.

ORA se il piacere è tale; è chiaro, che le cose dilettevoli sono quelle che introducono la disposizion che abbiamo detta E dall'altro canto, che quelle che corrompono, e introducono disposizion contraria a questa, sono le moleste e dispiacevoli. È dunque necessario che dilettevole sia l'andare al suo naturale il più delle volte; e maggiormente quando le cose che naturalmente si fanno, avranno conseguito la lor perfezione; e che la consuetudine ancora sia dilettevole; perciocchè il consueto di farsi, è già come il naturale. Conciossiachè l'uso sia simile alla natura. E questo, perchè quello che si fa spesse volte è vicino a quello che si fa sempre. E la natura è quella che si fa sempre; e l'uso quello che si fa spesse volte. Dilettevoli ancora sono quelle cose che non sono violente; perchè la violenza è contra natura; e per questo le necessità sono dispiacevoli. Onde fu ben detto:

Sempre ogni forza è noia:

Le cure poi, gli studj e le attenzioni sono dispiacevoli; perciocchè sono accompagnate dalla necessità e dalla forza, quando non siano messe in consuetudine, perchè così l'uso le rivolge in piacere. Dall'altro canto le dilettevoli sono le contrarie a queste; e di qui viene che l'ozio, l'infingardia, la trascuraggine, il giuoco, il riposo e il sonno sono fra le cose dolci; perciocchè non si fanno per forza. Dilettevoli ancora sono tutte quelle, alle quali siamo tirati dal desiderio; perchè il desiderio non è altro che un appetito di cose che piacciono. Sono i desiderj di due sorti: certi ragionevoli, e certi senza ragione. Chiamo senza ragione quelli che sono senza alcun discorso dell'intelletto; quali son quelli che si dicono naturali, che nascono dai bisogni del corpo, come la fame e la sete, e la voglia, che ciascuno ha particolarmente d'un cibo, e gli appetiti circa le cose del gusto, e quelli della lussuria, e del tatto generalmente, e dell'odorato nei buoni odori, e dell'udire e del vedere. Ragionevoli sono quelli che ci vengono da qualche impressione che ci abbiamo già fatta; perciocchè molte cose desideriamo di vedere e di possedere, solamente per averne udito parlare, o per credere che siano tali. E perchè il godimento del piacere consiste nel sentirsi commovere da un certo affetto; ed essendo l'immaginazione un certo debil sentimento; ne seguiría, che colui che si ricorda, o che spera, s'immaginasse in un certo modo la cosa, della quale ha memoria o speranza. E se questo è, manifestamente ne segue, che coloro che grandemente si ricordano e sperano, sentono piacere; poichè ambedue queste cose sono sentimenti. Onde che è necessario, che tutte le cose dilettevoli consistano, o nel sentir di presente, o nel ricordarsi del passato, o nello sperar per l'avvenire; perchè le cose presenti si sentono, le passate si ricordano, e le future si sperano.

Delle cose ricordevoli dunque sono dolci, non solamente quelle ch'erano dolci, mentre si gustavano, ma certe ancora che ci sono state dispiacevoli a passarle; quando di poi ne sia seguíto qualche dignità, o qualche comodo. E di qui viene quel detto:

Dolce memoria del passato affanno;

e quell'altro:

Poichè dolcemente

De' suoi corsi perigli uom si rimembra;

e cagion di questo piacere è, che soave cosa è ancora il non aver male. I diletti che s'hanno nella speranza nascono da quelle cose, che conseguendole, par che ci possono dare o piacere o utile assai, o giovamento senza molestia. E in somma tutte quelle, la cui presenza ci può recar dilettazione, ci son dilettevoli, così sperandole, come ricordandocene il più delle volte. E per questo è cosa dolce ancora il tener collera; siccome disse Omero dell'ira, ch'era più dolce che il mele; perchè mai non ci sogliamo adirare con chi ci pare di non poterne vendicare. Nè mai ci adiriamo, o ci adiriamo più leggermente con quelli, che di gran lunga son più potenti di noi. Molti desiderj sono ancora accompagnati da un certo piacere; perciocchè o nella ricordanza, come avendo già conseguito; o nella speranza, come dovendo conseguire, ci sentiamo in un certo modo allegrare; come avviene agli ammalati di febbre, che oppressi dalla sete, sentono refrigerio, o ricordandosi d'aver bevuto, o sperando d'aver a bere; o come sogliono gl'innamorati, che parlando, o scrivendo, o immaginando sempre quel che si sia della cosa amata, si rallegrano; perciocchè in tutte queste cose la ricordanza desta in essi un certo sentimento dell'amor loro. Ed allora si può dir che uno cominci ad amare, quando non solamente gioisce della presenza della persona amata, ma quando ricordandosene in assenza la desidera. E così ancora quando s'attristi per la lontananza da quella. E nel pianto e ne' rammarichi si trova ancora una certa dolcezza; perciocchè la tristezza procede dall'esser lontano, o privato di quel che si piange; e la gioia vien dal ricordarsene, dal vederlo in un certo modo, e dal rappresentarselo qual era, e quel che faceva. E però fu detto:

Si fer tutti al suo dir di pianger vaghi,

È dolce il pianto più ch'altri non crede.

Il vendicarsi ancora è cosa dilettevole; perchè quello che ci dà molestia a non conseguirlo, conseguendolo, ci dà piacere. E gli adirati s'affliggono grandemente quando non si possono vendicare; e quando sperano la vendetta si rallegrano. Ed anco il vincere è cosa dolce ad ognuno, non che a quelli che aspirano alle vittorie; perchè vincendo l'uomo, s'immagina d'esser da più degli altri: la qual cosa o poco o assai che si desideri, è nondimeno desiderata da tutti. E poichè il vincer diletta, è necessario che siano ancora dilettevoli i giuochi o di combattere, o di suonare, o d'altre contese che siano; perchè spesse volte ci intervien la vittoria. E i giuochi degli astragali, della palla, de' dadi, degli scacchi; e similmente i giuochi gravi, e da vero, de' quali alcuni sono dilettevoli per la pratica, ed alcuni altri son grati in un subito, come la caccia, ed ogni sorte di cacciagione; perciocchè dovunque interviene il contrasto concorre ancor la vittoria. E per questo si sente piacere ancora nell'avvocare e nel disputare da quelli che hanno la pratica e la facoltà del dire. L'onore e la riputazione sono ancora tra le cose giocondissime; perciocchè fanno nascer negli uomini una opinione di lor medesimi, d'aver qualità e virtù da meritar d'essere onorati e riputati, e massimamente quando quelli che gli onorano e li celebrano, son tenuti da essi che dicano, e sentano il vero. E per veritieri si possono intendere quelli che ci stanno appresso, più tosto che i lontani. E i famigliari, e i conoscenti, e i cittadini più tosto che gli strani; e quelli che sono ora, più che quelli che hanno ad essere; e i savi più che i pazzi; e i molti, più che i pochi; perciocchè conveniente cosa è, che costoro sappiano, e dicano il vero, più che quelli che sono lor contrari. Onde che di quelli che ci sono in poca stima, come sono i fanciulli e le bestie, noi non ci curiamo che ci onorino, nè che ci pregino: dico in quanto alla riputazione; che, se pur ce ne curiamo, può esser per qualche altra cagione. Dolce cosa ancora è l'amico; perchè anco nell'amare è dolcezza; conciossiachè nessuno ami il vino, che non n'abbia allegrezza. E nell'esser amato è piacere; perchè ancora questo ne fa venire in quella immaginazione di noi stessi, che siamo dotati di qualche buona parte, la qual muova tutti quelli che la conoscono a desiderarla. E l'esser amato non è altro ch'esser ben voluto per conto di sè medesimo. Dolce cosa è l'esser ammirato per l'onore stesso che se ne cava. E l'esser adulato, e l'adulatore ci diletta; perchè l'adulatore ci rappresenta uno che ci ammiri, e ci voglia bene. Sentesi ancora piacere nel far le medesime cose più volte; perciocchè s'è già detto, che la consuetudine è cosa dolce. Dall'altro canto ci diletta il variare; perchè la mutazione è un tornare al bisogno della sua natura: avvengachè quel fermarsi sempre in un medesimo stato, sia un trapassare di là dal compito abito. E però fu detto:

Che per tal variar natura è bella.

E per questo son grate le cose, e gli uomini che s'appresentano a certi tempi; perchè ci fanno variar lo stato presente; ed anco perchè, correndoci interposizion di tempo, si tengono per cosa rara. E l'imparare, e il meravigliarsi, son cose dilettevoli il più delle volte. Il merarigliarsi, perchè comprende il desiderio d'imparare. Onde le cose meravigliose sono ancora desiderabili. E l'imparare, perchè v'è dentro un andare alla finezza della nostra natura. Piace ancora il far beneficio, e il riceverne. Riceverne, per esser un conseguir quel che si desidera. Farne, perchè porta seco l'avere, e l'aver più degli altri: cose ambedue desiderate. E piacendo il far bene; sarà di piacere ancora il correggere il prossimo, e supplire a quel che manca; e poichè anco l'imparare e meravigliarsi ci recano dilettazione, è necessario, che siano dilettevoli ancora le cose che si diranno, cioè quelle che si fanno con l'imitare; come la pittura, la scultura, la poesia, e tutto quel che si rappresenta per via d'imitazione, ancora che la cosa che s'imita non sia dilettevole per sé stessa; perciocchè la dilettazione non consiste nella cosa che si contraffà, ma nel comprendere che questa cosa sia quell'altra. Onde avviene che ci s'impara un certo che. E le subite mutazioni di fortuna, e l'essere scampato di poco di qualche pericolo, son di piacere; perciocchè in tutte intervien la meraviglia. E poichè tutte le cose che sono secondo la nostra natura son dilettevoli; ed essendo che tutte quelle che sono d'un genere, siano naturali in fra loro; è necessario, che tutte che sono d'un genere, e d'una similitudine, siano care l'una all'altra il più delle volte; come l'uomo all'uomo, il cavallo al cavallo, ed un giovinetto ad un altro giovinetto. Donde vengono quei proverbj, pari con pari. Dio fa gli uomini ed essi s'appaiano. Le bestie si conoscono. Le cornacchie si confanno, e detti simili. E poichè le cose simili, e d'un genere, si son tutte care in fra loro, non si trovando cosa più simile a sè, che esso stesso; è necessario che ognuno sia caro a sè medesimo, chi più e chi meno; perciocchè tutte queste convenienze trova ciascuno in sè stesso più che negli altri. Ed essendo che tutti sono amatori di lor medesimi, ne segue necessariamente, che ognuno si compiaccia delle sue cose proprie, come di quel che fa e di quel che dice. E per questo quasi tutti vogliamo bene agli adulatori, amiamo quelli che amano noi, prezziamo gli onori, abbiamo cari i figli; perciocchè i figliuoli sono opere nostre. Diletta ancora il finir le cose che sono imperfette; perchè già diventano opere di quelli che le finiscono. Ed essendo dolcissimo il dominare, sarà anco dolce il parer savio; perchè il sapere, è come un comandare, ed esser signor degli altri. Ed è la sapienza una scienza di molte cose e mirabili. E conciossiachè la maggior parte degli uomini siano ambiziosi; è necessario che si senta piacere di tassare il compagno, e che dolce cosa sia di continuar tuttavia in quello, dove pare a ciascuno d'avanzare ancor sè medesimo, sì come dice Euripide:

Ponendo ogni suo studio, e 'l più de l'ore

A farsi di sè stesso anco migliore.

Similmente, perchè tra le cose gioconde si pone il giuoco, ed ogni sorte di passatempo, e anco il riso; è necessario, che siano gioconde ancora le cose che fanno ridere gli uomini, o parole, od opere che siano. Ma delle cose ridicole abbiamo trattato appartatamente nella Poetica. E fino a qui basta aver ragionato delle cose dilettevoli. Parlar delle moleste e delle spiacevoli saria di soverchio; perchè già s'intende che siano i lor contrarj. E queste sono le cagioni che muovono gli uomini a fare ingiuria altrui.

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