RAGIONIAMO ora d'ogni sorte di torto e di dovere; e cominceremo da questo: Che le cose giuste e l'ingiuste vengono determinate per due leggi, e s'intendono in due modi, secondo a chi si riferiscono. Di queste due leggi, l'una chiamo propria, l'altra comune. La propria è quella, la quale è fatta determinatamente per un loco. E questa ancora si divide in due. L'una è scritta, l'altra non è scritta. La comune è quella che corre naturalmente; perciocchè gli uomini, quasi indovini, hanno tutti per naturale istinto una certa notizia di quel ch'è giusto e non giusto comunemente, e di comun consentimento l'accettano; ancora che tra loro non sia nè comunanza, nè convenzione d'alcuna sorte; come par che voglia inferir l'Antigone di Sofocle, dicendo ch'era giusto che si desse sepoltura al morto Polinice, ancora che fosse proibito dal re, come cosa che giusta fosse per legge naturale; perciocchè dice:
Questa legge non è ch'al mondo vegna
Od oggi, o jeri, o che si sappia il quando,
Fu sempre, e sempre vive, e sempre regna.
E come disse Empedocle, vietando che non s'ammazzi alcuna sorte d'animali:
Legge non dritta al Greco, o torta al Perso,
Ma santa, e sola in tutti, eterna, antica
Posta dalla natura all'universo.
Il che disse medesimamente Alcidamante nella sua Messiniaca. Quanto d'intendersi in due modi, secondo che si riferiscono, doppiamente si possono riferire. Conciossiachè le cose che s'hanno a fare, o non fare, o riguardano al comune, o riguardano a un solo della comunanza. Onde che il torto e il dovere in due modi s'intende, o tortamente, o drittamente fatto, o contra al pubblico, o contra al privato; perciocchè uno che dia delle ferite, o che commetta adulterio, fa soperchieria solamente a un particolare; ma uno che truffi la paga, o che fugga di combattere, offende universalmente la repubblica. Fatta la divisione di tutte l'ingiurie, e detto che una parte tocca al pubblico, l'altra a uno, o più privati; ripigliando che cosa sia l'essere ingiuriato, passeremo al restante. L'esser ingiuriato adunque non è altro che ricevere un torto che studiosamente ci sia fatto; perchè già s'è determinato che l'ingiuriare è far torto volontariamente. Ed essendo necessario che l'ingiuriato riceva danno, e lo riceva contra sua voglia; i danni vengono dichiarati tra l'altre cose che si son dette di sopra; perciocchè partitamente s'è parlato delle cose buone e delle ree. Delle cose volontarie ancora s'è ragionato, poichè s'è detto, che sono quelle che si fanno di nostra saputa. Onde è necessario che tutte l'offese si facciano o contra al pubblico, o contra al particolare, o da uno che non sappia e non abbia intenzion d'offendere, o da uno che offenda studiosamente, e che vegga quel che fa. E ancora da questi siamo offesi in due modi o per elezione, o per passione. Dell'impeto si parlerà poi dove tratteremo degli affetti. Dell'elezioni e delle qualità di quelli che s'eleggono s'è detto di sopra. E perchè spesse volte avviene che l'accusato confessa il fatto, ma non accetta il nome che se gli dà, o la cosa che con quel nome si significa; come se rispondesse d'una cosa tolta: Io l'ho ben presa, ma non l'ho rubata; io ho prima battuto, ma non oltraggiato: ho praticato con questa donna, ma non adulterato. Ho predato, ma non per questo commesso sacrilegio; perchè non ho tocco alcuna cosa di sacro. Ho lavorato questo campo, ma non è del pubblico. Son venuto a parlamento coi nemici, ma non di tradimento. In questi simili casi bisogna sapere la diffinizion delle cose che si dicono, ed intendere quello che sia furto, quel che sia oltraggio, e quel che sia adulterio; perchè volendo dimostrare dall'un canto che sia, e dall'altro che non sia, o questo o quell'altro, possiamo fare che il giusto apparisca; perciocchè in tutte queste cose il punto che si disputa è, se l'accusato si deve dichiarar per ingiusto, e mal uomo, o per non ingiusto; conciossiachè la malizia e l'ingiuria consistano nella deliberazion dell'animo. E questi nomi furto, oltraggio, e simili, presuppongono insieme la deliberazione. Onde sebbene uno ha battuto un altro, non si può dire assolutamente che l'abbia ingiuriato, ma sì bene quando l'abbia fatto per qualche rispetto, come sarebbe per disonorarlo, o per suo piacere. E così non sempre chi toglie di nascosto è ladro, ma chi toglie con animo di far danno, e di tener per sè. E questa medesima considerazione si deve avere in tutti gli altri simili.
Ora stando che le cose giuste e l'ingiuste siano di due sorti, altre cioè che sono scritte ed altre che non sono scritte; delle scritte s'è già detto che son quelle, delle quali parlano le leggi. Le non scritte sono di due altre spezie. L'una è circa quelle cose che mostrano negli uomini eccesso di virtù e di vizio; donde vengono i vituperj, le lodi, gli onori, i pregi e le rimunerazioni; come sarebbe l'esser riconoscitor de' benefattori, renditor de' benefizj ricevuti, favorerole agli amici, e simili cose. L'altra spezie è l'equità, o la discrezione che si possa chiamare, la quale è quella che supplisce ai mancamenti della legge scritta. E dove non è particolare e propria legge; perciocchè quel che l'equità detta, è sembiante di quel che detta la giustizia; e dettato dall'equità s'intende quel giusto, che non è compreso nella legge scritta. Questi mancamenti sogliono accader nelle leggi, parte contra la volontà degli ordinatori d'esse, parte di volontà loro. Contra lor volontà; quando non antiveggono ogni cosa. Di volontà loro, quando non possono determinare sopra tutti gli accidenti che sogliono occorrere, ma son forzati a parlare in generale, non servando questa generalità se non per il più delle volte. E così quando lasciano quelle cose che malagevolmente si possan determinare, per essere infinite, come circa al ferir col ferro. Se si volesse tassare non solamente la qualità delle ferite, ma la sorte dell'armi, e la quantità e la qualità del ferro; perchè non basteria la vita dell'uomo a voler specificare ogni minuzia. Essendo adunque la cosa di che la legge ha da parlare indeterminata; e pur bisognando che le leggi si facciano; è necessario che le lor pronunzie siano semplici, e largamente scritte. Onde quando occorresse particolarmente che qualcuno, avendo per avventura un dital di ferro, e alzando la mano percotesse un altro; secondo il rigor della legge scritta, verrebbe condannato e giudicato per ingiuriatore; ma riguardando alla verità, si deve giudicare che non abbia fatto ingiuria alcuna; e questo fa l'equità. Or se l'equità o la discrezione è quella che fa ciò che s'è detto, già si possono chiaramente conoscer le cose, che discretamente o indiscretamente si fanno; e come sono anco fatti gli uomini indiscreti; perciocchè discretamente ci portiamo in quelle cose, gli autori delle quali meritano rimessione e perdono. Ed officio di discreto uomo è di conoscer che gli errori non siano degni della medesima pena che l'ingiurie; nè le sciagure della medesima che gli errori. E sciagure si chiamano quegli accidenti che vengono fatti impensatamente e senza malizia; e gli errori si dicono quelli dove concorre il pensiero e non la malizia. Ma ingiurie son quelle che si fanno con pensamento e con malizia; perchè concorrendovi il desiderio, bisogna che vi si adoperi la malizia. Officio di discreto ancora è, di perdonare alla fragilità degli uomini, ed aver l'occhio non alla legge, ma al legislatore, non alle sue parole, ma alla sua intenzione, non a quel che l'uomo ha fatto, ma a quel che proponeva di fare. Considerando non una parte della cosa, ma il tutto; non qual sia ora la persona di chi si parla, ma qual sia stata sempre, o la più parte della sua vita. Deve anco un discreto ricordarsi più tosto del bene che del male che gli sia stato fatto. Deve soffrir pazientemente l'ingiurie; contender più tosto con le parole che co' fatti; rimettersi più volentieri all'arbitrio de' buoni, che alla sentenza de' giudici. Perciocchè l'arbitrio riguarda all'equità, e il giudice alla legge. E per questo gli arbitrj si sono ritrovati, acciocchè prevaglia l'equità. Della quale equità sia detto in questo modo abbastanza.