CAPITOLO IX.

A RINCONTRO dell'aver compassione sta principalmente quel che si chiama disdegnare; perciocchè il dispiacere che s'ha delle indegne avversità, si contrappone in un certo modo a quello delle indegne prosperità. E da uno stesso costume, e da buon costume procede l'una e l'altra di queste passioni, perchè con quelli che indegnamente hanno male ci convien condolere ed averne compassione; e con quelli che indegnamente hanno bene ci convien mostrar disdegno; avvengachè ingiusta cosa sia quella che si fa contra al merito, e per questo l'indegnazione s'attribuisce ancora agli Dii. Nel medesimo modo parrebbe che l'invidia si potesse ancora contrapporre alla compassione, come propinqua, o come una stessa cosa con l'avere a sdegno. Nondimeno è diversa. Perciocchè sebbene ancor ella è dispiacere che ne turbi, e dell'altrui prosperità; non è però contra un indegno, ma contra un simile e pari a noi. E questo dispiacere convien che sia similmente in tutti, così invidiosi come disdegnosi, non perchè dubitino che ne possa incontrar loro altro male, ma per conto d'esso prossimo. Che se per conto d'essi medesimi fosse in loro questo dispiacere e questa perturbazione, che della prosperità di quel tale n'avvenisse qualche male a loro; l'una non saria più invidia, nè l'altro disdegno, ma sarebbe paura. Ed è manifesto che a questi affetti seguono ancora altri affetti contrarj; perchè colui che s'attrista che abbia male chi non merita, s'allegrerà, o in un certo modo non avrà passione che l'abbia chi il merita; come quando i parricidi e i micidiali son puniti; perchè nessun uomo buono se ne deve attristare, anzi che del supplizio di questi tali ci dobbiamo allegrare; e così medesimamente del bene di coloro, che l'hanno degnamente; perchè l'una e l'altra di queste cose son giuste, ed inducono gli uomini dabbene a sentirne piacere. Conciossiachè essendo buoni dobbiamo necessariamente sperare che quelle cose che sono avvenute a' nostri simili possano avvenire ancora a noi; e tutte queste passioni derivano dal medesimo costume. E i lor contrarj dal medesimo contrario. Essendo che l'invidioso sia uno stesso con quello che s'allegra del male; perciocchè dolendosi uno che un altro abbia bene, o l'abbia avuto, quel medesimo necessariamente si allegrerà quando ne sia privo, o gli si corrompa. Onde che tutte queste cose proibiscono la misericordia; e sebbene sono differenti per le cagioni che si son dette, a tor via la compassione sono tutte utili similmente. Del disdegnare adunque diremo primamente con chi ci sdegniamo, e di che cose, e come son fatti i disdegnosi. E di poi parleremo degli altri affetti contrarj alla misericordia; e questo che vogliamo dire ora si fa chiaro per le cose dette di sopra; perciocchè se lo sdegnare è uno attristarsi per uno il quale ne paia che indegnamente abbia del bene; è manifesto in prima, che non tutti i beni sono atti a farne sdegnare; perchè quando uno sia giusto, o forte, o dotato d'altra virtù, nessuno si sdegnerà con esso lui; avvenga che quando fosse il contrario non gli s'avrebbe compassione. Ma lo sdegno nasce dalle ricchezze, dalle potenze, e d'altri simili beni, de' quali (parlando assolutamente) son degni gli uomini buoni. E quelli che posseggono i beni che vengono dalla natura, come sono la nobiltà, la bellezza, e gli altri di questa sorte. E conciossiacosachè l'antico s'accosti in un certo modo al naturale; è necessario che con quelli che hanno un medesimo bene, ci sdegniamo maggiormente se l'avranno per avventura poco tempo innanzi acquistato, quando per questo ne siamo in prospera fortuna; perciocchè maggior dispiacere ci danno gli arricchiti nuovamente, che quelli che sono stati ricchi per antico e per eredità de' lor maggiori. E così quelli che in un subito son divenuti principi potenti, e copiosi d'amici, e di buoni figliuoli, e di cotali altre cose; e se per questo ne risulta loro qualch'altro bene, avviene il medesimo; perchè maggior dispiacere ci danno ancora in questo i nuovi ricchi, che siano venuti in signoria per conto d'esse ricchezze, che quelli che sono anticamente ricchi; e così diciamo degli altri beni. La cagione è perchè pare che questi posseggano le cose loro, e quegli altri no. Conciossiachè quello che si vede star sempre in un modo, ci si rappresenta come cosa che veramente e legittimamente sia. Onde che i nuovi ricchi non ci si rappresentano come veri e legittimi posseditori di cose proprie; e perchè non ogni bene è conveniente a chi si sia che s'abbatta ad averlo; ma tra esso bene, e il posseditore deve esser in un certo modo proporzione e convenienza (come la bellezza dell'armi si conviene al forte e non al giusto; e le mogli illustri stanno bene a quelli che son nobili, e non a quelli che nuovamente son fatti ricchi); ci muove a sdegno un uomo ancora che sia buono, quando gli sia toccato un bene che non se gli convenga. E quando un inferiore contende con un superiore, e massimamente nelle medesima professione. Onde è stato ancor detto:

Ch'Ettor fuggìa d'Ajace il fero incontro

Poich'altra volta il gran Giove ebbe a sdegno

Chi ardì contra a guerrier di lui più degno.

E quando non sia anco in una professione, ci muove a sdegno in qualunque modo sia che un da manco contrasti con un da più; come se un musico contendesse con un giusto; perchè la giustizia è miglior della musica. Per quel che s'è detto adunque vien dichiarato con chi ci sdegniamo, e perchè cose; perchè queste sono e cotali. Ora gli sdegnosi sono quelli che si trovano esser degni di grandissimi beni, e sono posseditori di beni eguali con gl'indegni; perciocchè non è giusta cosa che i dissimili a loro sieno similmente riconosciuti. Disdegnosi sono di poi quelli che si trovano esser buoni e virtuosi; perciocchè giudicano rettamente ed hanno in odio le cose ingiuste. Si sdegnano gli ambiziosi, e quelli che son desiderosi d'essere in qualche maneggio; e massimamente quando aspirano a cose che sono state conseguite dagli altri, ancora che ne siano indegni. E finalmente coloro che si giudicano degni da lor medesimi di quel che non istimano meritevoli gli altri, con essi indegni, e d'esse cose si sdegnano. E per questo gli uomini servili, e gli abbietti, e quelli che non aspirano agli onori non sono disdegnosi; perchè non è cosa alcuna di che essi si reputino degni. Da queste cose vien dichiarato di che, e di quali persone ci abbiamo a rallegrare, e non dolere che sieno infortunate o afflitte, o che non conseguano l'intento loro; perciocchè dalle cose dette si manifestano gli oppositi loro. Onde che se l'orazione sarà tale, che disponga i giudici a disdegnarsi; e se dimostrerà che quelli che domandano compassione, o in quelle cose che la domandano non la meritano; anzi che sono degni del contrario, impossibil cosa sarà, che s'abbia lor misericordia.

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