DICIAMO adunquee che la misericordia sia una certa passione di cosa che ne s'appresenti un male, o pernizioso o doloroso in persona che non meriti di riscontrarsi in esso male; e che chi lo vede potesse aspettar d'averlo a patir ancor esso, o qualcuno de' suoi; e questo s'intende quando sia vicino. Onde è manifesto che colui che deve esser compassionevole, sia necessariamente tale: cioè che s'immagini d'aver a patire qualche male, o esso, o qualcuno de' suoi; e di tal sorte è il male, quale abbiamo detto nella diffinizione, o simile, o presso che quello; e per questo non hanno misericordia coloro che sono in estrema perdizione; perchè avendo già sofferto non s'immaginano d'aver più oltre a soffrire. Nè anco coloro che si pensano d'essere in estrema felicità; anzi che questi sono ingiuriosi; perchè presumendosi di abbondare di tutti i beni, è chiaro che si credono anco di non poter patir male alcuno; perchè ancor questo è nel numero de' beni. Sono questi compassionevoli, e quelli che s'immaginano di poter patire, e quelli che hanno di già patito, e che sono scampati del male; ed anco i vecchi, così pel senno come per la sperienza che essi hanno; e quelli che son debili, e più quelli che son vili; e quelli che son dotti, perchè sono di buon sentimento; e quelli che hanno padri, madri, figliuoli e mogli; perchè questi sono quelli che si dicono esser de' nostri, e che possono patire i mali che si son detti; e quelli che non sono concitati dai moti della fortezza, come dall'ira e dall'audacia; perchè questi tali moti sono inconsiderati dell'avvenire, ed anco quelli che non sono in disposizione di fare oltraggio; essendo che ancora questi non considerino d'aver a patir cosa alcuna; ma quelli sono compassionevoli che stanno nel mezzo di questi così disposti, e quelli che non temono grandemente; perchè negl'impauriti per esser vessati dalla propria passione non ha luogo la misericordia; e quelli che stimano che si trovino pur degli uomini dabbene; perchè chi crede che nessuno sia buono, giudica tutti degni del male che patiscono; ed universalmente sono misericordiosi gli uomini, quando siano acconci a ricordarsi che simili casi sono avvenuti o a loro stessi, o a qualcuno de' loro; o temono che ad essi, o a loro non avvengano; e della disposizione de' misericordiosi s'è detto abbastanza. Le cose che ci muovono a misericordia vengono dichiarate per la diffinizione; perchè delle spiacevoli e delle dolorose sono miserabili tutte quelle che sono distruggitive, e quelle che possono addur morte, e quei mali de' quali è cagion la fortuna quando siano grandi. Dolorose e distruggitive sono le morti, le battiture, le afflizioni del corpo, la vecchiezza, le malattie e la fame. Tra quelle che procedono dalla fortuna sono il non avere amici ed averne pochi. E per questa cagione sono miserabili ancora i disgiungimenti dagli amici e dai domestici; l'esser brutto, l'esser debile, l'essere storpiato, avvenir male donde convenientemente s'aspetta bene. E l'accader spesse volte di simil cose; venir qualche bene accaduto che già sia il male, come i doni che furon mandati dal re di Persia a Diopita, che giunsero dopo che fu morto. Il non aver avuto mai bene, ovvero avuto che sia non goderlo. Queste dunque, e tali sono le cose miserabili. Le persone alle quali abbiamo misericordia sono quelle che noi conosciamo, quando con loro non abbiamo troppo stretta congiunzione; perchè con questi tali è come s'avessimo a patir noi medesimi. E per questo Amasi non lagrimò (come si dice) vedendo condurre il figliuolo a morte, e lagrimò vedendo mendicare un amico: perchè nell'amico è cosa miserabile, e nel figliuolo è calamitosa. Ed il calamitoso è diverso dal miserabile, e toglie via la misericordia. Anzi che è spesse volte utile a fare il contrario. Oltre di questo abbiamo compassione quando veggiamo la calamità vicina; e siamo compassionevoli verso quelli che ci sono simili per età, per costumi, per abito, per dignità e per parentato. Perciocchè tutti questi sono di quelli che maggiormente ci mostrano, che la medesima avversità possa toccare ancora a noi, avvenga che ancora in questo universalmente s'ha da presupporre, che tutte le cose che noi temiamo che non avvengano a noi, ci facciano pietosi, quando le veggiamo avvenire ad un altro; e conciossiachè le avversità allora sieno miserabili, quando le veggiamo da presso, e che quelle le quali son passate, o hanno a venir di mill'anni, per paura o per ricordanza che n'abbiamo, o in tutto non ci muovono a compassione, o non tanto; è necessario che coloro che si sono rappresentati con la figura, con le voci, con le vesti e con tutto il sembiante quali erano mentre pativano, si dimostrino maggiormente degni di compassione; perciocchè così ci si fanno parer da presso, mettendoci il male davanti agli occhi, o come futuro, o come passato. E le cose che poco innanzi son fatte, o da farsi di corto, per la medesima ragione sono più miserabili. Diventiamo ancora pietosi vedendo i segni e sentendo le azioni di coloro che sono mal capitati: poniam caso i lor vestimenti e cotali altre cose; e le parole che i pazienti hanno dette, come di quelli che sono in su il morire. E sopra tutto ci muove a pietà, quando si dice che quelli che si sono trovati in quel termine, si sono mostrati valorosi; perciocchè tutte queste cose fanno maggiormente compassione; perchè ci rappresentano il fatto da presso, e come se quei tali fossero indegni di quella avversità, e come se noi la vedessimo con gli occhi.