CAPITOLO XII.

GLI affetti chiamo io l'ira, il desiderio e gli altri simili, de' quali abbiamo trattato di sopra. Gli abiti domando le virtù ed i vizj, de' quali ancora s'è detto. S'è detto ancora di quelle cose che ciascuno elegge di fare, e dell'azioni in che si travaglia. L'età dico che sono la gioventù, il mezzo tempo e la vecchiezza. Per la fortuna intendo la nobiltà, le ricchezze, e la potenza, ed i lor contrarj, ed universalmente la prosperità e l'avversità.

I giovani dunque in quanto ai costumi sono vogliosi e pronti a cavarsi le lor voglie. E dei desiderj che si appartengono al corpo, sono maggiormente inchinati ai venerei, ed in quelli sono incontinenti. Facilmente si mutano, presto si saziano: desiderano fortemente, ma poco durano i lor desiderj; perciocchè le lor voglie sono acute e non molto fisse, come la sete e la fame degli ammalati. Sono iracondi e di subita collera, e si lasciano trasportare agl'impeti loro. Sono vinti dall'ira, perchè quando vengono dispregiati, per ambizione non lo sopportano: anzi si sdegnano a pensare solamente che si faccia loro ingiuria. Sono ben desiderosi d'onore, ma più di vittoria; perciocchè la gioventù desidera di restar sopra gli altri; e la vittoria è come il medesimo che restar superiore; e dell'una e dell'altra cosa di queste sono più vaghi che de' danari. E non istimano i danari, perchè non hanno ancor provato d'aver bisogno, secondo il detto di Pittaco ad Amfiarao. Non sono scaltriti, ma semplici; perciocchè non hanno ancora sperienza di molte malizie. Credono facilmente, perchè non sono ancora stati ingannati in molte cose. Sperano sempre bene, perchè sono tenuti caldi dalla natura, come gli ubbriachi dal vino; ed anco perchè non hanno ancora provato dar in fallo in molte cose; vivono per la più parte con la speranza, perchè lo sperare è dell'avvenire, e lo ricordarsi del passato. Ma i giovani dell'avvenire hanno assai, e del passato poco. Onde che trovandosi ne' primi giorni loro, par che non abbiano da ricordarsi di cosa alcuna, e da dover sperar ogni cosa. E per questo è facile ad ingannarli, perchè facilmente sperano. Sono ancora più forti, perchè sono spinti dall'ira, ed infiammati dalla speranza; delle quali cose l'una toglie via la paura, l'altra genera confidenza; perchè nessuno adirato teme, e lo sperar qualche bene fa che l'uomo confida. Sono vergognosi, perchè non conoscono ancora altro onesto, che quanto è stato insegnato loro, e prescritto solamente dalla legge. Sono d'animo e di spirito grande, perchè non sono ancor domi dal vivere, e non sanno che cosa sia necessità; ed anco lo stimarsi degno di cose grandi è magnanimità. E questa stima di sè vien dallo sperar bene. Nelle loro azioni s'attengono più tosto all'onesto che all'utile; perchè nel vivere guardano più alla creanza che al conto loro. Il conto ha l'occhio all'utilità, e la creanza mira nel dovere. Sono amorevoli degli amici, e vaghi di compagnie più che l'altre età, perchè s'allegrano di stare in conversazione. E perchè non giudicando ancora cosa alcuna dall'utilità, manco da quella giudicano gli amici; in ogni affare peccano nell'assai e nel soperchio contra al precetto di Chilone; perciocchè fanno ogni cosa troppo. Troppo amano, troppo odiano, ed ogn'altra cosa similmente. Si presumono, ed affermano di sapere ogni cosa. Che ancora questo è cagione che pecchino sempre nel troppo. Ingiuriano per soperchieria, non per malizia. Sono misericordiosi, perchè pensano che tutti gli uomini sieno giovevoli e buoni. E misurando gli altri dall'innocenza loro, facilmente si credono che sia fatto altrui male a torto. Si dilettano di cose da ridere: e per questo sono sollazzevoli. Perciocchè il burlare non è altro che un'ingiuriar destramente, e senza villania; e tali sono i costumi de' giovani.

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