CAPITOLO V.

IL capo principale dell'elocuzione è la correzione della lingua, la qual consiste in cinque cose. E primamente negli attaccamenti, che siano corrispondenti fra loro, secondo che naturalmente hanno a stare, o prima, o poi, secondo che richiede la dipendenza di certe parole da cert'altre. Come sarebbe se una particella cominciasse per, quantunque, le risponda un'altra per, nondimeno; o, non perciò; a guisa di questa. Ma quantunque cessata sia la pena, non perciò è la memoria fuggita de' benefizj già ricevuti. E dietro a Come, deve risponder, così:

Come è pungente, e saldo

Così vestisse d'un color conforme.

Dietro a Non pure, seguita Ma

Non pur mortal; Ma morto, ed ella è diva;

e dopo sì, viene appresso, Che;

Da indi in qua mi piace

Quest'erba sì, ch'altrove non ho pace.

E bisogna far rispondere le conseguenti avanti che si dimentichino per l'antecedenti. E non tener molto sospesa la continuazion necessaria con inframmessi d'altri congiungimenti. Perciocchè rade volte sarà ben usato, come in questo luogo. Io poichè l'intesi (perciocchè venne Cleone a ricercarmene, e pregarmene) me n'andai con essi. In questo dire avanti a quella che dovea risponder subito, ci si interpongono più altre congiunzioni. Ma se l'interponimento fosse molto lungo, quello Me n'andai, sarebbe confuso, e quasi smarrito dalla sua dependenza. Questo è uno avvertimento, per dir bene il qual consiste nell'attaccatura. Il secondo sta nella qualità de' nomi; e questo è che si parli con vocaboli proprj, e non generali e circoscritti. Il terzo, che le parole non siano di dubbio sentimento; se non vogliamo però fare il contrario studiosamente, come è solito di coloro che non hanno che parlare, e vanno componendo una certa lor diceria per parer di dir qualche cosa; perciocchè questi tali lo fanno nella poesia, come Empedocle. Essendo che questo aggiramento di parole, menando l'auditor per la lunga, l'abbaglia, e lo tien come confuso: nella guisa che avviene a molti nelle risposte degl'indovini, che quando sono dubbj, applicano l'animo a dar loro una certa credenza, come fu questo:

Creso d'Alì varcando oltre 'l confine;

D'un gran regno vedrà l'ultimo fine.

Sogliono ancora quelli che son preposti agli oracoli, quando rispondono, star più volentieri in su i generali, perciocchè vi si fa manco errore che venendo a' particolari. Come quelli che giuocano alla morra s'abbattono dir il vero più facilmente a dir pari e separi, che a specificar quanti sono. E così s'appongono meglio a dir che una cosa sarà, che dicendo quando sarà. E per questo gl'indovini a quel che dicono, non aggiungono determinatamente il tempo. Tutti questi modi di parlare sono simili infra loro, e tutti s'hanno a fuggire; se già per qualche cagione non s'usano a posta. Il quarto è (secondo la dottrina di Protagora) aver distinti i generi de' nomi, in mascolini, femminini e neutri; perciocchè è necessario che ancor questi, secondo il lor genere, abbiano buona corrispondenza fra loro, come qui:

Non d'atra tempestosa onda marina.

Il quinto è la concordanza de' numeri, cioè che siano accozzati rettamente insieme, secondo che sono di natura o d'uno, o di più:

Se l'onorata fronde, che prescrive

Datemi pace a duri miei pensieri.

Ed universalmente bisogna che quello che si scrive, si possa facilmente e leggere, e pronunziare, che in un medesimo modo si fa. La qual cosa non hanno quelle composizioni che son fatte con molte legature. E quelle che con fatica si possono distinguere, e puntare; come sono gli scritti d'Eraclito che faticosamente s'intendono, per alcune dizioni che non si posson discernere se vanno con la particella dinanzi, o con quella dipoi. Come si vede nel principio del suo libro, dove dice: Di questa ragion ch'è vera sempre, sono gli uomini ignoranti. Perciocchè non è chiaro, se quel sempre, s'accomoda con le parole di sopra, o con quelle di sotto. Oltre di questo si fa vizio nel parlare col non corrispondere, cioè quando a due cose se n'accomoda un'altra che non si confà con ambedue. Come sarebbe a dire, Che tu vedessi il colore e lo strepito; dove quel verbo di Vedere, si riferisce al colore, e non è comune con lo strepito. Ma se in luogo di vedere dicessi comprendere, sarebbe ben detto; perchè sarebbe comune così allo strepito come al colore. Ed oscura si fa l'orazione, quando accadendoci molte interposizioni, non si soggiunga subito quel che fa bisogno; come se si dicesse: Io disegnava, parlato che le avessi di queste cose, e di queste, e in questo modo, di partire. Che più chiaramente si direbbe: Parlato che gli avessi disegnava di partire; e quel che gli voleva dire era questo, e questo; e sta in questo modo.

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