CAPITOLO VII.

ORA venendo al decoro, diamo che allora avrà l'orazione il decoro suo, quand'ella sarà affettuosa, costumata, e proporzionata al soggetto. Proporzionata s'intende, quando non si parla di cose gravi con bassezza, nè di cose basse con gravità; e quando ad una parola vile non s'aggiunge ornamento, perchè si cade altramente nel comico: come Cleofonte che usava certi modi di parlare, come sarebbe a dire, o fico beato. Affettuosa sarà, se correndoci ingiuria, il parlar si farà con ira. Se trattando di cose nefande e brutte, si dirà con ischifezza e con abbominazione. Se di laudabili, con baldanza; e se di miserabili, con umiltà, e così medesimamente nell'altre cose. Che ancora questa proprietà di parlare ha del persuasivo; perciocchè l'animo degli uomini s'inganna di quella apparenza, come se si dicesse il vero. E, questo è, perchè in simili cose quando il vero si dice; coloro che dicono son così veramente disposti. Onde che si crede che la cosa stia nel modo che vien detta ancora che stia altramente; e gli ascoltanti hanno sempre il medesimo affetto con quelli che parlano affettuosamente, ancora che niente sia quel che dicono. E perciò son molti che percuotono gli auditori con questo commovimento dell'animo, ed in un certo modo gli stordiscono. Questa sorte di dimostrazione, la qual si fa per via di segni, è non solamente affettuosa, ma costumata; perchè s'accompagna, e s'accomoda con ciascun genere e con ciascun abito di persone; come dir d'una età, o d'un sesso, o d'una nazione; e intendo genere, come sarebbe a dire, fanciullo, o giovine, o vecchio; uomo, o donna; spartano, o tessalo. Abito chiamo quello, secondo il quale si può dire che l'uomo sia d'una certa qualità di vita; perchè non ogni abito informa il viver nostro. Dicendosi dunque parole appropriate agli abiti, si verranno a dimostrare i costumi; perciocchè non le medesime cose, nè al medesimo modo parlerà un contadino che un dotto. Si commuovono ancora in un certo modo gli auditori per quella guisa di dire che pur troppo spesso si suole usare da questi compositori d'orazioni: quale è colui che non lo sappia? questo si sa per ognuno; perciocchè gli auditori per vergogna l'accettano ancor essi, per non parer d'esser soli a non saper quel che si dice esser noto comunemente. Ma quando sia tempo d'usarlo, e quando non sia tempo, vi si deve aver quella medesima avvertenza, la quale è comune a tutte l'altre figure di dire; e in questa, ed universalmente in tutte l'altre maniere di parlare dove si trapassino i termini, dobbiamo usar per rimedio quel che volgarmente si dice, di ritrattarsi. Perciocchè bisogna che da vantaggio ci riprendiamo da noi medesimi d'aver detto poco. La qual cosa fa parer che si dica il vero; poichè il dicitore mostra d'avvedersi di quel che dice. Oltre di questo quanto all'esser l'orazion proporzionata, si deve avvertire che non si deve usare ogni cosa nel medesimo tempo; perciocchè non affettando la proporzione in tutto si fa il medesimo; e l'auditore non s'accorge dell'arte. E nondimeno per fuggire un estremo, non dobbiamo cader nell'altro, di proferire le cose morbide aspramente, nè l'aspre morbidamente; perchè così quel che si dice non avrebbe forza di persuadere. Quanto a quel che si diceva di sopra de'nomi, l'usar più epiteti e più composti, e voci forestiere, si conviene spezialmente al dire affettuoso. Perciocchè ad uno adirato si comporta facilmente che con parole doppie, dica che colui di chi parla fosse uno scavezzacollo, o uno squassaforche; o con parole forestiere, che fosse un vigliacco, ovvero un mecciante. Si può fare anco quando già ci siamo impadroniti degli auditori, e che gli abbiamo fatti alterare, o con lodarli, o con vituperarli, o con mostrar loro affezione; come fa Isocrate nel panegirico circa la fine, dove dice: fama, memoria, riputazione, quale, quanta s'ha da chiamare quella che vivendo n'acquisteranno, morendo ne lasceranno? E nel medesimo luogo chi, quali son quelli che hanno potuto soffrir di vederli? perciocchè in tal guisa alterati gli ascoltatori, ancor essi prorompono a dir di queste cose. E s'imprime questo parlar negli ascoltatori, perchè sono quasi in una medesima disposizion con loro. E di qui viene che queste voci sono appropriate alla poesia; perchè la poesia è una spezie d'alterazione o di furore. Bisogna dunque usarli, o ne' modi che si son detti, o per via d'ironia, come faceva Gorgia, e come si vede nel Fedro.

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