LA forma dell'orazione, nè in tutto fatta a misura di versi, nè in tutto senza numero convien che sia; perciocchè l'una, cioè la misurata, non ha del persuasivo; perchè mostra d'essere artifiziosamente composta, ed insiememente s'apparta dal parlare ordinario; perciocchè ne fa applicar l'animo a notare quando un'altra volta ritorna una simil cadenza, nel medesimo modo che i putti, quando si costituisce il procuratore a quelli che si mettono in libertà, perchè sanno che Cleone deve esser nominato dal banditore, prevenendo la sua voce, Cleone, dicono prima di lui. L'altra, che non ha numero, non ha manco termine dove fermarsi. E l'orazione deve esser terminata nelle sue parti, ma non con la misura de' versi; perciocchè procedendo senza alcuna intermissione, prima non ha del piacevole a sentire, di poi non è facile a comprendere. Terminasi ogni cosa col numero; ma quel che serve alla forma dell'orazione si dica andar numeroso, del quale le misure de' poeti sono particelle; e per questo deve l'orazione esser numerosa, ma non fatta in versi; perchè così sarebbe poema; ed anco numeroso non troppo esquisitamente; e questo sarà quando si faccia sino a un certo che. Tra i numeri il piede eroo ha del grande e del risonante. Del jambo risulta quella medesima favella che s'usa volgarmente; e per questo nessuna sorte di verso esce più facilmente di bocca a color che dicono, che i jambici. E l'orazione bisogna che abbia del grave e del ritirato dal volgo. Il trocheo ha più del saltarello che non si ricerca all'orazione, come si vede per i versi tetrametri, l'andar de' quali, perciocchè son fatti di trochei, è come a sdruccioli. Restaci il peane, il quale fu usato dagli antichi, incominciando infino da Trasimaco. Ma non sapevano però dire di qual natura si fosse. È questo peane d'una terza spezie tra quelli che si son detti, ed attaccato con essi; perciocchè la sua proporzione è come del tre al due; dove degli altri di sopra l'una specie è proporzionata come l'uno all'uno, e l'altra come il due all'uno. Dopo le quali proporzioni vien quella d'un mezzo più, che emiolto, e sesquialtera si chiama; e tale è quella del peane. Gli altri piedi dunque, e per le ragioni che si son dette, e perchè sono accomodati a far versi, s'hanno a lasciare e valersi del peane; perchè solo esso fra quelli che si son detti non cade facilmente in verso; e per questo cela maggiormente l'arte. Costoro usano adesso un sol peane, e l'usano solamente nel principio della tirata; ma bisogna che la fine sia diversa dal principio. Due sono le sorti de' peani, e contrarie infra di loro. L'una sta bene nel principio, sì come l'usano; e questo è quello che comincia con una lunga, e finisce con tre brevi, come quello:
Δαλογενέ ς εϊτελυχίαν
ed in quell'altro:
Χρυσεοχόμα έχατε π αϊ δίός
L'altro al contrario comincia con tre brevi, e finisce con una lunga; come per esempio:
Μετά δέ γαύ ύ δατά τ΄ ώχέανόν ηψανίσενύξ .
E questo è quello che si conviene alla fine; perchè la breve nel posamento, per non aver del finito sfuma, per modo di dire, e fa una gretta cadenza. Imperò bisogna tagliare il parlar di sopra, e terminarlo da quel che segue con una lunga, e che le fine della tirata sia distinta non dallo scrittore, o dal modo dello scrivere e del puntare, ma dal suo numero stesso; e così s'è dichiarato, che con certo bello andar numeroso, e non del tutto senza numero deve esser l'orazione; e s'è dimostrato di che sorte sono, e come s'hanno a dispor quei piedi che le danno questo tale andamento.