È dunque il proemio il principio dell'orazione, come il prologo nella poesia, e la ricercata nel suono. Che tutte queste cose sono cominciamenti, e come una spianata per entrare in quel che ci proponiamo. Ma la ricercata è simile al proemio del genere dimostrativo. Che siccome i suonatori suonando prima qualche bel gruppo di fantasia, entrano successivamente nel tuono del mottetto, o del madrigale che intendono di suonare, così nell'orazion dimostrativa si può dir da principio ciò che si vuole, ed appresso intonare, e continuare il ragionamento principale, ancora che sia di diversa materia. E di questo tutti adducono per esempio il proemio dell'Elena d'Isocrate; perciocchè il parlare in quel luogo de' sofisti, non ha punto che far con Elena. Oltre di questo con tutto che il proemio sia stato stravagante, non si disdice poi che tutta l'orazione non sia d'una medesima spezie. Si fanno i proemj del dimostrativo di laudi o di vituperj. Di laude come Gorgia nell' orazione Olimpica, dicendo: degni d'ammirazione appo di molti sono coloro, Signori Greci, ec., perciocchè celebra quelli che furono primi ad introdur quella solennità. Di vituperj, come fece Isocrate, biasimandoli che premiassero le virtù del corpo, non proponendo premio alcuno a quelle dell'animo. Cominciasi ancora dal consigliare, come fece quei che disse che si debbono onorar gli uomini dabbene, e continuò poi, che per questo egli lodava Aristide. O veramente, che si debbono lodar quelli che sono d'una certa sorte, come dir nè famosi, nè infami, ma buoni e non conosciuti per tali, come Alessandro di Priamo; perciocchè colui che così dice viene a dar consiglio. Cominciasi ancora nel dimostrativo coi proemj giudiziali, cioè con dir cose da farsi benevoli ed attenti gli auditori, quando il ragionamento sia di materia o meravigliosa, o difficile, o tanto divulgata che vi si ricerchi scusa o perdono. Il che fece Cherilo quando disse:
Perciocchè tutti son quasi i luoghi presi,
e quel che seguita. Onde che gli esordj che si son detti, si cavano da queste cose. Dalla laude e dal vituperio, dal persuadere e dal dissuadere, e dalle cose che appartengono a cattar attenzione e benevolenza dagli auditori. E bisogna che quella attaccatura del proemio con la narrazione sia fatta o di cose che abbian del forestiero, o di cose appropriate alla materia dell'orazione. I proemj del genere giudiziale s'ha da sapere che fanno il medesimo, che i prologhi delle favole e gli esordj de' proemj eroici. Non parlo de' principi de' Ditirambi; perciocchè sono simili a quelli che abbiamo detto nel genere dimostrativo:
Per te, per gli tuoi doni, o per le spoglie, ec.
E così nelle favole come nelle composizioni eroiche, i proemj sono come saggi delle lor materie; perchè si sappia prima di che s'ha da parlare, e non si tenga sospeso l'animo di chi ascolta; perciocchè tutte le cose che non sono determinate, ne fanno vacillare con la mente. Colui dunque che propone quel che intende di ragionare, come se mettesse in mano dell'auditore il capo di tutto il suo filo, fa che per sè medesimo può facilmente andar dietro al resto del ragionamento. E però propone Omero nella Iliade:
Cantiam l'ira d'Achille;
e nell'Odissea:
Vien Musa a dir del pellegrino eroe;
e quell'altro propose così:
Reggi Musa il mio canto in fin ch'io dica
De l'Asia incontr'Europa il fero assalto.
I tragici ancora usano mostrar l'argomento della favola, e se non così subito come Euripide, lo mostrano nondimeno nel processo del prologo, come fa Sofocle dove dice:
Polibo da Corinto era mio padre.
Il medesimo fa la commedia. Onde che l'offizio più necessario e più proprio del proemio è d'accennare il fine, per cagion del quale si viene a ragionare. E però se la cagione è nota, e la cosa è piccola, non si deve usare il proemio. L'altre sorti di cose che s'usano nei proemj sono rimedj intorno all'auditore. E le cose comuni si cavano da chi dice, da chi ascolta, dall'avversario nella causa, e dalla causa stessa. Dalla persona nostra, e dell'avversario si cavano quelle che fanno a liberarci della calunnia, o veramente a calunniare altri; e non ad un medesimo modo; avvengachè chi si difende, la prima cosa risponde alla calunnia, e chi accusa si indugia a calunniare nell'epilogo. La cagione è chiara, perchè chi si difende, volendosi ingerire, è necessario che si levi prima dinanzi gli impedimenti; dunque bisogna prima che si purghi dalla calunnia. E chi vuole accusare deve serbare la imputazione all'ultimo, per imprimerlo meglio nella memoria degli ascoltanti. Quelle che appartengono all'auditore, si cavano o dall'indurre a benevolenza, o dal provocare ad ira. Ed alcuna volta dal farlo attento, o dal contrario; perchè non sempre è bene di procurarsi l'attenzione. E di qui viene che molti s'industriano di moverlo a riso. Docile faremo l'auditore (se questo sarà l'intento nostro di fare) con tutte quelle cose che ci posson far parere uomini dabbene, perciocchè a quelli che sono tali si presta maggiore attenzione. Ed attento si fa col prometter cose grandi, cose che tocchino l'interesse, cose meravigliose, e cose piacevoli. Bisogna dunque far impressione nell'animo dell'auditore che il parlar nostro sia di cose tali. E tornandoci bene a distorlo dall'attenzione s'ha da proporre il contrario; che la cosa sia di poco momento, che sia fastidiosa, e che non appartenga a lui. Avvertendo però che queste sono parti fuor dell'orazione e fuor del proposito della causa, e trovate solamente per commovere i giudici, che non sono buoni giudici, e che danno orecchio alle cose che sono impertinenti alla causa; perchè coi buoni non ci bisogna proemio, se non quanto basta a toccar sommariamente certi capi che contengono, per modo di dire, tutto il corpo della cosa. E questo far l'auditore attento s'usa comunemente in tutte le parti dell'orazione, quando bisogni; perciocchè per tutto s'attende manco che nel principio. E per questo è cosa ridicola a determinare che l'attenzione si debba procurar nel principio, quando tutti stanno attentissimi. Bisogna farlo adunque secondo che il tempo ricerca, come dire: ascoltatemi di grazia, che questa non è manco vostra causa che mia, ovvero, statemi a udire: che voi non sentiste mai cosa più atroce di questa, ovvero così meravigliosa. Questo è un far il medesimo che faceva Prodico quando vedeva i suoi discepoli sonnacchiosi, che per tenerli desti inframmetteva nel suo parlare qualche cosa di quella sua quistione, che egli soleva dire che valeva cinquanta dramme. E che queste cose siano fuor della causa, e che si volgano all'auditore, non come auditore, è manifesto; perchè tutti si vagliono dei proemj, o per imputar l'avversario, o per liberarsi dalla paura di qualche male; come fa nell'Antigone di Sofocle quel messo che dice:
Signor, temendo di venirvi avanti,
Restai più volte;
e dove Euripide fa dire a Toante:
Che proemi son questi, che comenti?
Parlami chiaro.
Il medesimo avviene a quelli che hanno, ovvero si credono d'avere cattiva causa alle mani; perciocchè sopra ogn'altra cosa mette lor meglio di fermarsi, che sopra quella di chi si parla; e però i servi non rispondono alle domande che son lor fatte, ma vanno girando con le parole e facendo dei proemj. Donde poi si cava il modo di acquistarsi la benevolenza degli auditori, e ciascuna dell'altre cose tali, s'è già detto; pure perchè quel luogo d'Omero è molto bello, dove dice:
Dammi che giunto al lido de' Feaci
O sembri amico, o degno di pietate,
si deve avvertire a queste due cose, di mostrarsi o benevolo, o miserabile.
Nel genere dimostrativo bisogna fare che l'auditore pensi, che insieme con quelli che si son presi a lodare, siano lodati ancor essi, o la lor gente, o i loro studj, o qualche altra lor cosa in qualunque modo; perciocchè quel che dice Socrate nell'orazione funebre è vero, che lodar gli Ateniesi fra gli Ateniesi non è difficile cosa, ma sì bene fra i Lacedemoni. Il deliberativo si serve de' proemj del giudiziale; perciocchè di sua natura non ha proemio; avvengachè avendosi a parlare con auditori che già sanno di quel che si consulta, se n'ha manco bisogno; anzi non se n'ha bisogno niente in quanto alla cosa per sè stessa; ma sì bene quanto alla persona nostra, o quanto a quelli che non sono del nostro parere, o che non hanno la cosa per sì grande, o per sì piccola, come abbiamo noi, ma di maggiore, o di minore importanza. Nel qual caso è necessario o accusar altri, o difender sè, o ampliare, o diminuire. Che per conto di queste cose nelle deliberazioni interviene il proemio, o veramente vi si fa per ornamento, perchè l'orazione che non ha principio pare una cosa fatta in un certo modo all'avventata, come quella di Gorgia agli Eliensi il quale non a uso di buono schermitore, ma come noi diciamo, da disperato, senza prima dimenarsi, o vibrarsi punto, entra in un subito a mezza lama, dicendo: Elide città felice.