LA narrazione del genere dimostrativo non si fa tutta in un luogo, ma spartitamente, perciocchè bisogna trascorrer per le azioni, e dalle azioni seguita il parlarne o con laude, o con biasimo; avvengachè una parte del parlamento si fa senza l'arte del parlatore; perchè chi dice non è cagione esso di quel che s'è fatto; e l'altra parte si fa con l'artifizio di chi parla. E questo consiste in dimostrare o che la cosa sia così quando non è credibile, o che sia tale, o che sia tanto grande, o veramente tutto insieme. E che non bisogni talvolta far la narrazione tutta in un luogo, è per questo, che venendosi poi alla dimostrazione delle cose narrate, difficilmente la memoria serve a replicar tutti quei capi che si son detti nella narrazione; perciocchè s'avrebbe a fare in questa forma. Da queste azioni si dava adunque che costui sia forte, e da queste altre che sia savio e giusto. E questo modo di narrare tutto d'un pezzo ha più del semplice, dove quell'altro è variato e non ha del povero. Quelle azioni che già son note e celebrate, basta che siano solamente rammemorate; e per questo molti non hanno bisogno di narrazione, come per esempio, volendo lodare Achille, perciocchè ognuno sa le cose che fece. Ce ne abbiamo nondimeno a valere con farne menzione. Ma volendo lodar Crizia bisogna narrar le azioni sue, perchè molti non sanno chi si sia. Ora quelli che dicono che la narrazione deve esser breve, sono degni di riso; perchè sì come a quel Panattiero che domandò se si dovea far l'intriso duro o molle, fu risposto: e che non si può intrider bene? così medesimamente avviene in questo, che non bisogna che la narrazione sia lunga, come nè anco l'esordio nelle prove; perciocchè il bene non consiste in questo d'esser breve, o d'esser mozza, ma nell'esser mediocremente fatta; cioè quanto basta ad espor la cosa di che si parla; o a far capace che così sia passata, o che ci sia di danno o d'ingiuria, o di tanta importanza, di quanta vogliamo che si creda. E che a colui che c'è contra basti a mostrare il contrario. E mentre che si narra si deve uscir talvolta in qualche parola che mostri la nostra virtù; come dire: Io lo consigliava sempre di quel che mi pareva che fosse ben fatto: che non si dovesse abbandonare i figliuoli; o che scopra il vizio dell'avversario, come sarebbe, che egli rispondeva che dovunque fosse, non gli mancherebbono degli altri figliuoli, come dice Erodoto, e come risposero gli Egizi a Psametico lor re, quando si ribellarono da lui. Ovvero inserirvi qualche cosa che sia grata a' giudici. La narrazione di chi difende è minore che quella dell'accusatore. E le sue questioni sono, o di non l'aver fatto, o che non gli ha fatto danno, o che non gli ha fatto ingiuria, o che non ha fatto tanto quanto gli s'oppone. Onde che non ci dobbiamo fermare nelle cose che sono certe, e che non si possono negare; se già non si facesse con intenzione d'entrare in qualcuna di quelle che si son dette; come a mostrare che sebbene è vero quel che s'oppone, non è però che sia ingiuria. Deve ancora l'accusato narrar delle cose fatte, quelle che facendosi non sono state tali da poter muovere il giudice, o a compassione verso colui che l'ha patite, o a sdegno contra di lui che l'ha commesse; per esempio di questa avvertenza ci sia l'Apologo d'Alcino che con una diceria di sessanta versi si fa fare a Penelope. E quell'aggiramento che faceva Faillo per non venire al punto. Ed anco il prologo nella tragedia d'Eneo.
Bisogna ben che la narrazione sia costumata. E costumata la faremo, se ci saranno note quelle cose che danno notizia del costume. Delle quali una è di mostrare, con che elezione ci siamo mossi a far quel che s'è fatto. Perchè i costumi si conoscono dalle elezioni, e le elezioni dal fine. Di qui procede che il parlar delle cose matematiche non ha costume, perchè non ha manco proposito; conciossiacosachè non si propone alcun fine. Ma i ragionamenti socratici son quelli che si portano i costumi con loro, perciocchè trattano di quelle cose che si indirizzano a qualche fine; un'altra sorte di cose costumate, cioè che danno indizio de' costumi, son quelle che vanno insieme con la natura di ciascuno; come dire: così parlando, volse le spalle. Il che mostra il costume dell'insolenza e della rustichezza. Apparisce il costume nel dir ancora non secondo che veramente sentiamo, come vogliono gli oratori d'oggidì, ma secondo il proponimento che ci abbiamo fatto; come dire: Io volsi così, e così mi risolvei di fare, ancora ch'io sapessi che fosse il peggio per me; perchè l'una di queste cose appartiene al prudente, e l'altra al buono, avvengachè i prudenti seguano l'utile, e i buoni l'onesto. E quando quel che si dice non è credibile bisogna che ci s'aggiunga la cagione, come per esempio fa Sofocle nell'Antigone, dove dice che si curava più del fratello che del marito e de' figliuoli; perchè questi perdendosi si possono racquistare, ma il fratello, morto il padre e la madre, non può più rinascere. E non potendone assegnar la cagione, dobbiamo mostrare che noi sappiamo di dir cose, che non sono facilmente da credere, e nondimeno che lo diciamo perchè siamo di così fatta natura. Altramente per l'ordinario non si crederebbe, che il voler nostro sia di far altro, che quel che ci torna utile. Narrando ancora s'hanno a dir cose che mostrino gli affetti e gli atti che vanno insieme con gli affetti, e che son noti agli ascoltanti, e che sono propriamente o nostri o di colui di chi si parla, come per esempio: Guatandomi a traverso andò via. E come disse Eschine di Cratilo, che fischiava, e batteva le mani. Le quali cose hanno del persuasivo per questo, che essendo questi segni noti agli auditori, danno lor notizia di quel che non sapevano de' costumi di coloro che gli usano. Di questa guisa ne sono molti in Omero come quello:
Così la vecchia
Disse: e già si ponea la mano al volto;
perciocchè quelli che cominciano a piangere, hanno per usanza di mettersi le mani agli occhi. E nel raccontare ci dobbiamo in un subito accomodar per modo che all'auditor paja di vederci disposti e condizionati di una certa qualità; e che l'avversario sia d'un'altra; avvertendo però che l'artifizio non si conosca. E che l'auditor facilmente si muova per questa disposizione, si può vedere in quelli che vengono con qualche novella, che sebbene non sappiamo quel che s'abbiano a dire, secondo che li vediamo disposti ce ne facciamo una certa immaginazione. Fassi la narrazione in diversi luoghi dell'orazione, e talvolta non da principio. Nel genere deliberativo non intervien quasi mai narrazione, perchè nissuno narra circa le cose da venire; e se pur ci interviene sarà delle cose passate, acciocchè rammemorandole si consulti meglio delle future. O veramente sarà per lodarle, o per biasimarle. Ma chi fa questo non lo fa come consigliero. E quando la cosa non è credibile, si deve promettere e dirne subito la cagione, ed offerir di renderne conto a chi vogliono, come fa Jocasta di Carcino nell'Edipode, che alla domanda di colui che cerca il figliuolo, risponde sempre promettendo. E così fa l'Emo di Sofocle.