Capo Sesto

Continuazione. Filosofia Platonica

1. - Dopo le predette filosofie sopravvenne la [4 P. 987 A.29] dottrina di Platone, seguace in molte cose della filosofia degli Italici, ma avendone delle sue proprie, estranee a questa. Familiarizzatosi da giovine con Cratilo e le opinioni Eraclitee, che tutte le cose sensibili fluiscano e non ce ne sia scienza, mai non ismise neppure dopo, questa dottrina. Se non che avendo egli seguito anche Socrate, che trattava di sole le cose morali, e di tutta la natura non si occupava punto, e cercava in quelle l'universale, ed avea, lui primo, fisso il pensiero alle definizioni, credette, per causa di quella prima sua opinione, che la definizione dovesse cadere sopra altre cose, e non sopr'alcuna delle sensibili: giacch'e' sia impossibile, che ci sia la definizione comune d'alcuna delle cose sensibili, di cose, cioè, che si rimutano sempre.

2. - Ora, egli chiamò idee queste altre sorte di enti, e pose i sensibili al di fuori esse, e denominati tutte da esse, le molteplicità univoche essendo per partecipazione alle specie con cui sono equivoche (O) .

3. - Questa partecipazione è una novità solo di nome: di fatto, i Pitagorei dicono che gli enti sono per imitazione de' numeri. Platone per partecipazione; muta il nome: ma quello che poi sia per loro questa imitazione o partecipazione delle specie, vattel a pesca.

4. - Ancora, oltre a' sensibili ed alle specie, afferma, che stiano di mezzo tra queste e quelli gli oggetti matematici, che differiscano da' sensibili per essere immobili ed eterni, e dalle specie per essercene parecchi simili. Invece, ciascuna specie è per sè una sola.

5. - E poichè le specie sono cause delle altre cose, perciò ritenne i loro elementi per elementi di tutti gli enti. E che come materia siano princi pii il grande e piccolo, e come essenza l' uno: giacchè, da que' due, per via della loro partecipazione dell'uno, risultano le idee, o i numeri che si voglia dire (P) .

6. - E in quanto all'essere l' uno l'essenza, e al dirsi uno , senza che sia qualcos'altro diverso, Platone la discorreva come i Pitagorei, e si conformava loro anche nel fare i numeri cause dell'essenza all'altre cose. Invece, l'ammettere una diade in luogo dell'infinito come uno, e il farlo, questo infinito, del grande e piccolo , sono punti suoi propri: e anche, ch'egli mette i numeri al di fuori de' sensibili, dove i Pitagorei fanno de' numeri le cose stesse, e non pongono tra mezzo le entità matematiche.

7. - Ora, l'ammetter l'uno e i numeri al di fuori delle cose, e non al modo dei Pitagorei, e l'introduzione delle specie furono effetti della considerazione posta a' concetti; giacchè i più vecchi di dialettica non sapevano. Fu fatta poi dell'altra natura una diade, perchè così i numeri, da' primi in fuori, [p. 988 A.] se ne generano, come da pasta improntabile, comodamente (Q) .

8. - Quantunque succeda appunto al contrario: che sarebbe così fuor d'ogni ragione. Per loro, la materia moltiplica; la specie genera sola una sola volta. Invece, una materia par tutta insieme una cosa sola, una tavola, per esempi: chi v'applica la specie, quantunque unico lui, ne fa molte. È quella relazione medesima che ha il maschio colla femmina; la femmina è piena con una sola montata: il maschio ne riempie molte. Ora, queste son pure immagini di que' principii.

9. - Questa fu dunque la conchiusione di Platone intorno a quello che ricerchiamo. Risulta perciò dalle cose dette, ch'egli ha adoperate solo due cause, quella del che è, e l'altra che ha ragione di materia, essendo le specie nell'altre cose, e l'uno nelle specie cagione del lor essere quello che sono. E quale è la materia soggiacente di cui si predicano le specie nelle cose sensibili e l'uno nelle specie? Una diade, il grande e piccolo.

10. - Ancora, recò agli elementi la causa del bene e quella del male, una per uno: come s'è detto che abbiano escogitato certi filosofi precedenti, Empedocle ed Anassagora.

Share on Twitter Share on Facebook