Capitolo III. La negazione dell’anima spirituale.

Che il Materialismo sia condotto necessariamente a negare l’esistenza della così detta anima spirituale, dai teologi e dalle scuole metafisiche attribuita all’Uomo, lo si capisce a priori, giacchè, se non lo facesse, non sarebbe più Materialismo.

Dal momento ch’egli non vede altro nell’Universo fuorchè Materia e Forza, è troppo naturale che – dopo avere negata ogni fede a Dio e alla Finalità – non receda d’un passo sulla via delle negazioni, neppure di fronte al concetto dell’anima.

Un’anima spirituale, dotata di una propria essenza al tutto diversa dalla materia, capace di bene e di male, libera, imperitura, data all’uomo da Dio, non può necessariamente entrare nei postulati del credo del Materialismo. – Può esservi posto per lo spirito, dove tutto è materia? No, senza dubbio.

Si può ammettere l’esistenza di un fiat creato da Dio, se si nega Dio? Certo che no.

Sul terreno perciò dell’anima, la cui idea ha radici così profonde nella nostra organizzazione mentale, avvegnachè per un complesso di coefficienti immenso (storici-psicologici-morali ecc, ecc.) la sentiamo un po’ tutti, più quasi della stessa idea di Dio, il Materialismo dovette in ogni tempo, e particolarmente in questi ultimi anni, combattere la sua battaglia campale, decisiva.

È a pieno giustificabile l’interesse intenso, col quale dotti e indotti d’ogni paese hanno seguìto la polemica con vigore, se non pari sincerità, dibattuta da ambo le parti. – Negare l’esistenza dell’anima parve alla gran maggioranza, oltrechè un grave errore filosofico, un atroce colpo alla stessa felicità e moralità umana: Infatti: – se l’uomo non deve più credere di essere dotato di un’anima, che lo differenzi e lo sublimi su tutte le creature, egli deve per forza rassegnarsi a reputare sè stesso un bruto. E allora – dicevano e dicono teologi e spiritualisti – dove troverà egli la spinta a fare il bene o quanto meno a non fare il male? Che il Materialismo, con la negazione nell’anima, susseguente e conseguente alla negazione della Divinità, chiarita nel capitolo che precede, minacciasse di sovvertire non pure la Religione, ma lo stesso ordine morale e sociale, deviando insanabilmente e con pericolo di chi sa quali catastrofi, le rotaje su cui da secoli procede l’umanità – fu l’accusa categorica che contro di esso formularono gli avversarî suoi, additandolo al disprezzo e quasi alla persecuzione.

*
* *

Non è per buona ventura nel merito della controversia che io debbo addentrarmi, giacchè ho premesso di non volere dire parola, la quale mi porti fuori del mio compito di espositore. Osserverò solo di sfuggita – lungi dall’idea di implicarvi un qualsiasi atto di fede – che la tattica degli spiritualisti fu in ogni tempo, ma particolarmente negli ultimi anni, quella di evitare la discussione sul terreno sperimentale. Sia infatti ch’essi movano a bandiere spiegate contro i positivisti, sia invece che investano i materialisti, noi li vediamo sottrarsi per sistema al metodo di controversia e di indagine dei loro avversarî. E per tal modo, com’è sempre avvenuto, tutt’ora avviene che, mentre questi ultimi, non d’altro preoccupati che di stabilire sperimentalmente la verità, o ciò che credevano tale, attingevano larga messe di argomenti in sostegno delle loro teorie dalle scienze naturali, e si facevano capire da tutti perchè parlavano il linguaggio dei fatti, i loro oppositori si ostinavano a vogare in pieno mare di teorie a prioristiche e poi, battuti o quanto meno vigorosamente affrontati ancora in questo, si abbandonavano a querimonie e declamazioni altrettanto retoriche quanto inani, se pure non investivano il Materialismo con invettive e frasi, che nel vocabolario filosofico non dovrebbero avere diritto di cittadinanza.

*
* *

Io ho già tratteggiato in altro volume quale sia il metodo e quali le conclusioni principali della Psicologia sperimentale e a quel volume – per imperiose necessità di spazio – m’è qui duopo in parte rimandare il lettore.

Fino a circa sessanta, settant’anni fa le ricerche psicologiche erano state d’esclusiva pertinenza dei filosofi. Se non che a partire da Platone, giù giù venendo sino a Hegel, a Schopenhauer, all’Hartmann e agli odierni metafisici, non s’era fatto altro che smarrirsi in un ginepraio di questioni, la cui specialità sembrava quella di esser destinate... a rimaner sempre insolute. Furono i naturalisti che verso la seconda metà del decorso secolo, applicando il metodo sperimentale ai fenomeni del pensiero, ben lungi dal preconcetto di affermare o di negare l’esistenza dell’anima, diedero un indirizzo al tutto nuovo alla Psicologia. Medici e fisiologi constatarono le relazioni che passano fra la così detta anima e l’organismo, ne illustrarono la reciproca azione e reazione, misurarono la durata e l’intensità delle sensazioni, trattarono in una parola la psiche come, ad esempio, il fisico tratta un’energia, poniamo l’elettricità; per tal modo, senza entrare in merito ad alcuna delle questioni metafisiche sollevate, e invano agitate tanto tempo dalle scuole filosofiche, riuscì ai naturalisti di accumulare in pochi anni un vero e proprio tesoro di induzioni positive, scientificamente stabilite. – Si poteva incolpare il metodo sperimentale, se queste induzioni contraddicevano punto per punto ai dogmi fondamentali dello spiritualismo? Nelle scienze in genere e quindi anche nelle discipline psicologiche, non si può certo subordinare a priori l’applicazione di un metodo di indagine alla previsione dei risultati, ai quali condurrà.

Tornando al Materialismo, è fuor d’ogni contestazione che quest’ultimo trovò nel nuovo indirizzo scientifico un magnifico terreno al suo moderno sviluppo. E naturalmente ne approfittò a danno, manco dirlo, dello Spiritualismo.

*
* *

Il materialista esordisce col rilevare che ogni cangiamento, operato sulla sostanza del cervello, esercita la sua influenza sul pensiero. Il cervello, dice Moleschott, è l’organo naturale del pensiero; l’uno suppone l’altro. – A comprovare tale enunciato, il Materialismo chiama naturalmente a raccolta tutti i principali risultati degli studî sperimentali, cui poco sopra accennavo.

L’anatomia comparata – dice il materialista – ci dimostra come la intelligenza si trovi in costante rapporto con la costituzione materiale e col volume del cervello; così noi vediamo che fra gli stessi animali, quelli la cui massa cerebrale è più sviluppata, ad es. l’elefante, il delfino, la scimia, il cane, ecc., si distinguono come i più intelligenti.

Valentin scrive: «Non è soltanto la quantità, ma eziandio la qualità dei tronchi nervosi, la intensità delle forze e l’attività reciproca, che decidono dell’intelligenza...» E Bibra, istituendo un’analisi comparativa della composizione chimica dei cervelli di differenti animali, ha constatato che quelli degli animali superiori hanno in generale più sostanza grassa e quindi sono provveduti di una maggiore quantità di fosforo, che non quelli degli animali appartenenti all’ordine inferiore.

Anche la forma del cervello rivela una grande influenza sul pensiero! Secondo il prof. Husche l’intelligenza degli animali è anche proporzionata al numero e alla profondità dei solchi (anfrattuosità), che presenta la massa cerebrale. – E invero, come notarono altri naturalisti, queste anfrattuosità, che nell’uomo sono maggiori che in qualunque altro animale, hanno inizio nell’uomo stesso da un minimo e si sviluppano a poco a poco, parallelamente allo svilupparsi dell’intelligenza.

Insomma la così detta anima, di cui gli spiritualisti suppongono dotato l’uomo, non si svilupperebbe che a poco a poco, a misura che va perfezionandosi la organizzazione materiale del cervello e in conseguenza di questo perfezionamento.

Come il lettore vede, più che della filosofia, nel senso classico e tecnico che siamo abituati ad associare alla parola il materialismo fa della fisiologia. – La divergenza, che sotto questo punto di vista lo allontana dagli spiritualisti, è addirittura enorme. – Quale spiritualista s’è mai occupato della sostanza grassa, della forma, del peso, delle anfrattuosità del cervello? Nell’uomo di genio, come nel pazzo morale o nel cretino, egli vede la stessa quantità d’uomo, lo stesso numero di facoltà. Se un uomo privato del cervello potesse nondimeno seguitar a vivere, a nessun filosofo spiritualista verrebbe in mente di negargli gli attributi dell’anima. Qui il Materialismo fa suoi i risultati della nota esperienza di Flourens e di altri fisiologi sulla gallina e sui cani.

Com’è noto, Flourens levò successivamente e per strati le parti superiori del cervello, provando che le facoltà intellettuali diminuivano mano mano e ad ogni strato che veniva tolto, fino a scomparire del tutto. – Ridotte ad una imbecillità completa, le povere bestie non provavano alcuna impressione esterna e dovevano essere nutrite artificialmente fino alla morte.

Non è forse il cretinismo l’equivalente psicologico di una deformazione del cervello? Chi ignora che il cranio dei cretini si caratterizza per la piccolezza, l’assimmetria ed altre anomalie? «Chi, scrive Büchner, non ha veduto in imagine o in natura il cranio di un negro, senza compararlo al cranio più voluminoso della razza caucasica e senza notare la grandissima differenza che esiste fra la nobile forma di questo e la fronte bassa e stretta di quello, che ha sì grandi attinenze colla scimia?»

Ma se gettiamo uno sguardo ai fatti lumeggiati dalla Patologia, la relazione in cui stanno il cervello e il così detto spirito apparisce anche più manifesta. Nessuno ignora che, se una parte qualunque del cervello patisce una lesione, ne soffrono più o meno le funzioni intellettuali. – Così ad es. un’infiammazione cerebrale è causa di delirio, l’emorragia provoca uno stato di stordimento e la completa perdita dei sensi: è inoltre noto che il cervello subisce l’azione di eccitanti e di narcotici, i quali, alterandone la composizione anatomica e chimica, alterano la psiche.

Nel concetto materialista insomma il cervello e l’anima si suppongono necessariamente, per modo che il volume del primo, del pari che la sua forma e sostanza, stanno in rapporto determinato e proporzionato all’intensità delle funzioni intellettuali, e lo «spirito» stesso reagisce a sua volta sullo sviluppo del cervello, il quale aumenta in forza e in massa per l’attività intellettuale, nello stesso modo che un muscolo cresce e si fortifica con l’uso e con l’esercizio. – E Feuerbach scrive:

«.... La funzione dell’intelletto è una peculiare manifestazione della forza vitale, determinata dalla costituzione specifica della materia del cervello, nel quale pensa quella stessa forza, che nello stomaco produce la digestione».

È in realtà l’organo del pensiero uno de’ più delicati e complessi stromenti che l’uomo conosca in natura! «Non ci deve quindi sorprendere – esclama Tuttle – se delicate e complesse sono altresì le sue manifestazioni! Senza dubbio «la sostanza materiale del cervello, per quanto poco ci sia conosciuta, presenta però nella sua composizione anatomica e chimica un carattere di varietà, sufficienti per invalidare tutte le objezioni mosse circa le sue relazioni coll’anima.» Quando pure così non fosse, chi ignora d’altra parte la straordinaria frequenza, con la quale coi mezzi più insignificanti la Natura sa produrre i più grandi effetti? Noi – scrive Büchner – non abbiamo «alcun motivo per diffidare della materia e contestarle la possibilità di produrre effetti prodigiosi, quand’anche la sua forma e la sua composizione non siano in apparenza troppo complicate». Se così è, perchè si dovrebbe negare a priori la possibilità che l’anima, quella, dirò meglio, che chiamiamo l’anima, sia il prodotto di una composizione specifica della materia, o in altre parole di uno stato particolare della materia? Il Materialismo non dubita un momento di affermarlo.

L’opinione dei materialisti intorno a quella che i metafisici chiamano anima, pensiero, spirito, ecc. non ha trovato tutt’ora, io credo, espressione più definita, quantunque evidentemente troppo cruda, di quella rimasta celebre di C. Vogt «Tale è il rapporto fra il pensiero e il cervello, quale fra la bile e il fegato, l’orina e i reni». È fuor di dubbio che, malgrado le riserve di Büchner, questa frase, ripeto, aspra, sintetizza ancor oggi il Credo psicologico del Materialismo.

*
* *

Che cosa dice infatti il Materialismo? Interroghiamo il Büchner, le cui opere sono meritamente e largamente citate come i testi ortodossi della scuola.

Egli prende a termine di paragone con l’uomo la macchina a vapore. «La macchina a vapore ha in un certo senso una vita e produce, come risultato di una peculiare combinazione di sostanze dotate di forze, un’azione combinata, di cui noi facciamo uso, senza però poterla vedere, sentire o toccare. Il vapore rigettato dalla macchina è una cosa accessoria, non ha nulla di comune con lo scopo della macchina e può, come materia, essere veduta e sentita. – Tuttavia nessuno oserebbe dire che la natura della macchina a vapore è di produrre il vapore. – Ora, nello stesso modo che la macchina produce il movimento, l’organizzazione complicata delle sostanze del corpo animale dotate di forze, in modo analogo produce un insieme di effetti, che nella loro unità noi chiamiamo spirito, anima o pensiero....»

E Lotze scrive: «È certissimo che lo stato fisico degli elementi corporali può creare un insieme di condizioni, da cui assolutamente dipendano l’esistenza e la forma della nostra vita intellettuale».

Share on Twitter Share on Facebook